da: Rockol
Ho
iniziato questa recensione quattro volte e per quattro volte ho sentito di non
essere sulla strada giusta. Credo che la risposta sia nella dirompente
spontaneità che ho trovato in questo disco, il settimo di Niccolò Fabi,
difficile da raccontare perché rispondente a una tale ispirazione e urgenza
creativa che ogni giudizio ne mangerà la polvere. Ma tant’è. Chi legge si
aspetta che gli venga esposto criticamente questo lavoro e allora sappiate che
le undici tracce che troverete in “Ecco” contengono - con ottimi risultati -
tutta la presenza e la partecipazione sottintese nel titolo.
Chi dice “ecco”
mostra o porge qualcosa, spesso ha ragione e qualche volta si arrende. Una
piccola parola adatta a tante circostanze, così come tante sono le sfumature
emotive e sonore che abitano queste canzoni inedite, tutte scritte e prodotte
dallo stesso Fabi (con la sola eccezione del singolo di lancio “Una buona
idea”, al cui testo ha partecipato anche Stefano Diana). Dicevamo tante
sfumature, quindi riflessioni a cascata, sfoghi (“voglio essere indipendente
perché solo da indipendente si esiste, si resiste”), narrazioni (“la notte qui
è notte davvero, è la madre del buio”), ricordi (“sono stato un bambino bello,
o meglio fotogenico”) e sguardi rivolti a una società che manca di
collettivismo (“si chiama egomania la nuova malattia di questa società”); cosa
che non si può certo dire di questo disco, al quale ha preso parte uno stuolo
di amici musicisti di Niccolò: da Roberto Angelini a Pier Cortese, da Andrea Di
Cesare a Gabriele Lazzarotti fino a Daniele “Mr Coffee” Rossi, passando per
Riccardo Parravicini e Fabio Rondanini. Tre settimane di vita comune negli
studi pugliesi di Roy Pacy e il risultato sa di grande impegno, perché
l’atmosfera di gruppo si sente; li immaginiamo tutti intorno a Fabi, tutti
presenti e partecipi per lui, ognuno con il suo “ecco”. Peccato solo si fatichi
a sentirne il senso di festa, a dispetto di una seriosità tipica dei
professionisti più attenti.
La
modalità di scrittura resta alta, come nella tradizione del cantautore romano,
uomo che con le parole ha una certa confidenza e le sa maneggiare con
esperienza. Musicalmente aspettatevi del sano pop-soft-rock, dal retrogusto
folk, e poi tante ballate e altrettante incursioni: dai fiati di Roy Paci
(“Indipendente”) alla banda di Aradeo (“Io), fino all’orchestra di archi
dell’APM arrangiata da Stefano Cabrera e chiamata a fare la differenza in
“Elementare” e ne “I cerchi di gesso”. C’è ritmo in questo disco e c’è
pacatezza, ma soprattutto c’è la naturalezza della scrittura – che si avverte
sensibilmente – e di conseguenza la bellezza della spontaneità. Due in assoluto
i momenti più alti: su tutti la title track, che chiude il disco con una forza
interpretativa che non sarà facile replicare, la ruvidità della voce di Niccolò
che grida “di certo non ti lascerò mai andare, di certo non ti lascerò sparire,
ecco” - legata al suo vissuto personale - ci stordisce e azzittisce. Il secondo
momento più godibile è “I cerchi di gesso”, un pop cadenzato, effettato e ricco
di archi, complessità che si contrappone alla semplicità del testo che
condivide uno spaccato dell’infanzia di Fabi. Non è da meno “Una buona idea”,
che già in radio ha saputo anticipare l’alto spessore autorale dell’intero
album. Ecco, quello che andava detto è stato scritto, il resto va lasciato alla
sensibilità di ciascuno.
di Paola Simone
Tracklist:
“Una buona idea”
“Io”
“I cerchi di gesso”
“I cerchi di gesso”
“Indipendente”
“Elementare”
“Le cose che non abbiamo detto”
“Elementare”
“Le cose che non abbiamo detto”
“Sedici modi di dire verde”
“Lontano da me”
“Verosimile”
“Indie”
“Ecco”
“Indie”
“Ecco”
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