mercoledì 31 ottobre 2012

Federico Orsi: da consulente aziendale a viticoltore


da: Lettera 43

Orsi, l'archeologo del vino
Da consulente aziendale a viticoltore.
di Antonietta Demurtas

Nel 2005 Federico Orsi, dopo una laurea in ingegneria gestionale e un lavoro come consulente aziendale, non è stato certo «choosy» (schizzinoso), come direbbe il ministro Elsa Fornero, ma piuttosto «foolish» (folle). Perché, come consigliava Steve Jobs, ha creduto in un'idea e ha fatto di tutto per realizzarla.



LA TENUTA SUI COLLI BOLOGNESI.Con l’aiuto della sua famiglia Federico a soli 30 anni ha comprato una tenuta di 14 ettari sui colli bolognesi ed è diventato agricoltore.
«Mi ero rotto le scatole di lavorare per gli altri, volevo costruire qualcosa per me, raccogliere i frutti del mio lavoro», dice a Lettera43.it. E così grazie alla passione per il vino, che coltivava nel tempo libero facendo il sommelier, ha deciso di creare la sua azienda.
VITIGNI AUTOCTONI PLURIMPREMIATI. Ora Vigneto San Vito di Monteveglio (in provincia di Bologna) produce 80 mila bottiglie l'anno e conta di chiudere il 2012 con un fatturato di 500 mila euro.
Nel 2011 con il vino Vigna del Grotto 2009 ha vinto il premio i Tre bicchieri del Gambero rosso; l’annata 2010 si è aggiudicata il premio Eccellenza della guida dell’Espresso ed è uno dei vini slow presentati domenica 28 ottobre a Slow wine, in occasione della rassegna torinese Terra madre.

LA NATURA IN BOTTIGLIA. Un successo, quello di Orsi, che arriva da lontano. «All’inizio abbiamo studiato che tipo di coltura fare e quale strategia adottare per dare al vino un’anima che riflettesse il territorio», racconta, «qui si parla di vino dall’inizio del Medioevo, c’è una tradizione millenaria che volevo sfruttare e portare in bottiglia».

Nessun additivo per sfuggire al fenomeno della «cocacolizzazione»

Per questo Orsi ha preferito piantare vitigni autoctoni invece di quelli internazionali. «Abbiamo pignoletto, barbera», continua l'imprenditore, «e ora stiamo riscoprendo altre antiche varietà dei colli bolognesi come l'alionza e il negretto». E sempre per rispettare la tradizione il metodo usato è quello dell'agricoltura biodinamica.
IL DINAMISMO DELLA NATURA. Una parola dietro la quale in realtà non c’è altro che il ritorno agli antichi metodi di lavorare la terra. «Prima che arrivasse la chimica», dice Orsi, «il contadino osservava il dinamismo della natura, i suoi ritmi, le fasi lunari, il giorno e la notte. E quindi per esempio potava o seminava con la luna discendente».
Cose banali che però la tecnologia e il progresso hanno messo in secondo piano. «L’uomo ha deciso di governare la natura col rischio però di perdere il legame con il territorio», commenta. L’enologia moderna ha infatti aiutato a produrre «vini mediamente buoni», ammette Orsi, «ma a scapito di una omologazione del gusto».
CONTRO L'OMOLOGAZIONE. Per sfuggire al fenomeno della «cocacolizzazione» (da coca cola, ndr) come lo chiama l’agricoltore, «cioè quel principio che mira a produrre vini sempre uguali», Federico ha rinunciato ai lieviti selezionati.
Sono oltre 90 gli additivi a disposizione del vinicoltore, come per esempio la gomma arabica utile per rendere i rossi più morbidi e accattivanti. «Ma alla fine queste sostanze», spiega, «fanno sì che il vino diventi il frutto dell’enologo non della terra». E che ogni produzione sembri uguale, più o meno buona.
LA TECNICA DEL SOVESCIO. Un rischio che Orsi non corre. «Il 2012, per esempio, sia per la quantità inferiore sia per colpa del troppo caldo non è una grande annata», ammette Federico, «certo dal punto di vista commerciale non conviene dirlo ma è così: il vino non è sempre uguale».
In questi giorni per far sì che la prossima annata sia migliore nel Vigneto San Vito stanno facendo il sovescio. «Una tecnica antica che serve per rigenerare il terreno visto che abbiamo una monocoltura», spiega l’agricoltore. L'operazione consiste nel seminare a mano tra i filari tanti semi diversi: dalla senape al trifoglio, dal favino al pisello. Piante che servono per arricchire il terreno e aiutarlo a rimanere in equilibrio.

Dal 2005 l'azienda ha raddoppiato il fatturato

In campagna il lavoro non manca mai. «È dura, una continua sfida, in questo settore c’è molta concorrenza», spiega, «il vino ormai ha dei costi bassissimi, puoi trovare bottiglie che costano meno di un litro di latte».
Ma investire sulla qualità non è stata una scelta sbagliata: nel 2005 con la prima produzione, l’azienda registrò un fatturato di 200 mila euro, nel 2011 è arrivato a 400 e per il 2012 la previsione è di chiudere a 500 mila.
UNA SCELTA DA RIFARE. Piccoli passi e grandi soddisfazioni che spesso sono rovinati dal solito parassita: la burocrazia. «Ogni regola è fatta ragionando sulle grandi realtà. Per noi piccole medie imprese è quindi tutto più difficile». Ma alla fine Federico, che oggi ha 37 anni, una moglie e due bambini, non tornerebbe indietro per nulla al mondo.
«Non mi sono pentito», dice guardando fuori dalla finestra dell’ufficio dell’azienda. Nononostante i successi però, amette: «Oltre all’incoscienza e alla follia, ci vuole anche tanta fortuna. Quando inizi un’attività di questo tipo è più facile che vada male anzichè bene». Alla fine però solo chi semina raccoglie i frutti.

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