da: Lettera 43
Orsi,
l'archeologo del vino
Da
consulente aziendale a viticoltore.
di Antonietta
Demurtas
Nel 2005 Federico Orsi, dopo una laurea in
ingegneria gestionale e un lavoro come consulente aziendale, non è stato certo
«choosy» (schizzinoso), come direbbe il
ministro Elsa Fornero, ma piuttosto «foolish» (folle). Perché, come consigliava
Steve Jobs, ha creduto in un'idea e ha fatto di tutto per realizzarla.
LA TENUTA SUI COLLI BOLOGNESI.Con l’aiuto
della sua famiglia Federico a soli 30 anni ha comprato una tenuta di 14 ettari
sui colli bolognesi ed è diventato agricoltore.
«Mi ero rotto le scatole di lavorare per
gli altri, volevo costruire qualcosa per me, raccogliere i frutti del mio
lavoro», dice a Lettera43.it. E così grazie alla passione per il vino, che
coltivava nel tempo libero facendo il sommelier, ha deciso di creare la sua
azienda.
VITIGNI AUTOCTONI PLURIMPREMIATI. Ora
Vigneto San Vito di Monteveglio (in provincia di Bologna) produce 80 mila
bottiglie l'anno e conta di chiudere il 2012 con un fatturato di 500 mila euro.
Nel 2011 con il vino Vigna del Grotto 2009
ha vinto il premio i Tre bicchieri del Gambero rosso; l’annata 2010 si è
aggiudicata il premio Eccellenza della guida dell’Espresso ed è uno dei
vini slow presentati domenica 28 ottobre a Slow wine, in occasione della
rassegna torinese Terra madre.
LA NATURA IN BOTTIGLIA. Un successo,
quello di Orsi, che arriva da lontano. «All’inizio abbiamo studiato che tipo di
coltura fare e quale strategia adottare per dare al vino un’anima che
riflettesse il territorio», racconta, «qui si parla di vino dall’inizio del
Medioevo, c’è una tradizione millenaria che volevo sfruttare e portare in
bottiglia».
Nessun
additivo per sfuggire al fenomeno della «cocacolizzazione»
Per questo Orsi ha preferito piantare
vitigni autoctoni invece di quelli internazionali. «Abbiamo pignoletto,
barbera», continua l'imprenditore, «e ora stiamo riscoprendo altre antiche
varietà dei colli bolognesi come l'alionza e il negretto». E sempre per
rispettare la tradizione il metodo usato è quello dell'agricoltura biodinamica.
IL DINAMISMO DELLA NATURA. Una parola
dietro la quale in realtà non c’è altro che il ritorno agli antichi metodi di
lavorare la terra. «Prima che arrivasse la chimica», dice Orsi, «il contadino
osservava il dinamismo della natura, i suoi ritmi, le fasi lunari, il giorno e
la notte. E quindi per esempio potava o seminava con la luna discendente».
Cose banali che però la tecnologia e il progresso hanno messo in secondo piano. «L’uomo ha deciso di governare la natura col rischio però di perdere il legame con il territorio», commenta. L’enologia moderna ha infatti aiutato a produrre «vini mediamente buoni», ammette Orsi, «ma a scapito di una omologazione del gusto».
CONTRO L'OMOLOGAZIONE. Per sfuggire al fenomeno della «cocacolizzazione» (da coca cola, ndr) come lo chiama l’agricoltore, «cioè quel principio che mira a produrre vini sempre uguali», Federico ha rinunciato ai lieviti selezionati.
Cose banali che però la tecnologia e il progresso hanno messo in secondo piano. «L’uomo ha deciso di governare la natura col rischio però di perdere il legame con il territorio», commenta. L’enologia moderna ha infatti aiutato a produrre «vini mediamente buoni», ammette Orsi, «ma a scapito di una omologazione del gusto».
CONTRO L'OMOLOGAZIONE. Per sfuggire al fenomeno della «cocacolizzazione» (da coca cola, ndr) come lo chiama l’agricoltore, «cioè quel principio che mira a produrre vini sempre uguali», Federico ha rinunciato ai lieviti selezionati.
Sono oltre 90 gli additivi a disposizione
del vinicoltore, come per esempio la gomma arabica utile per rendere i rossi
più morbidi e accattivanti. «Ma alla fine queste sostanze», spiega, «fanno sì
che il vino diventi il frutto dell’enologo non della terra». E che ogni
produzione sembri uguale, più o meno buona.
LA TECNICA DEL SOVESCIO. Un rischio
che Orsi non corre. «Il 2012, per esempio, sia per la quantità inferiore sia
per colpa del troppo caldo non è una grande annata», ammette Federico, «certo
dal punto di vista commerciale non conviene dirlo ma è così: il vino non è
sempre uguale».
In questi giorni per far sì che la prossima
annata sia migliore nel Vigneto San Vito stanno facendo il sovescio. «Una
tecnica antica che serve per rigenerare il terreno visto che abbiamo una
monocoltura», spiega l’agricoltore. L'operazione consiste nel seminare a mano
tra i filari tanti semi diversi: dalla senape al trifoglio, dal favino al
pisello. Piante che servono per arricchire il terreno e aiutarlo a rimanere in
equilibrio.
Dal
2005 l'azienda ha raddoppiato il fatturato
In campagna il lavoro non manca mai. «È
dura, una continua sfida, in questo settore c’è molta concorrenza», spiega, «il
vino ormai ha dei costi bassissimi, puoi trovare bottiglie che costano meno di
un litro di latte».
Ma investire sulla qualità non è stata una scelta sbagliata: nel 2005 con la prima produzione, l’azienda registrò un fatturato di 200 mila euro, nel 2011 è arrivato a 400 e per il 2012 la previsione è di chiudere a 500 mila.
UNA SCELTA DA RIFARE. Piccoli passi e grandi soddisfazioni che spesso sono rovinati dal solito parassita: la burocrazia. «Ogni regola è fatta ragionando sulle grandi realtà. Per noi piccole medie imprese è quindi tutto più difficile». Ma alla fine Federico, che oggi ha 37 anni, una moglie e due bambini, non tornerebbe indietro per nulla al mondo.
Ma investire sulla qualità non è stata una scelta sbagliata: nel 2005 con la prima produzione, l’azienda registrò un fatturato di 200 mila euro, nel 2011 è arrivato a 400 e per il 2012 la previsione è di chiudere a 500 mila.
UNA SCELTA DA RIFARE. Piccoli passi e grandi soddisfazioni che spesso sono rovinati dal solito parassita: la burocrazia. «Ogni regola è fatta ragionando sulle grandi realtà. Per noi piccole medie imprese è quindi tutto più difficile». Ma alla fine Federico, che oggi ha 37 anni, una moglie e due bambini, non tornerebbe indietro per nulla al mondo.
«Non mi sono pentito», dice guardando fuori
dalla finestra dell’ufficio dell’azienda. Nononostante i successi però, amette:
«Oltre all’incoscienza e alla follia, ci vuole anche tanta fortuna. Quando
inizi un’attività di questo tipo è più facile che vada male anzichè bene». Alla
fine però solo chi semina raccoglie i frutti.
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