da: la Repubblica
Iniziata
una rivoluzione degna di Gutenberg
di Mario
Pirani
Ha preso il via una rivoluzione epocale nell’ambito della scuola ma, al di fuori degli istituti, quasi nessuno se ne è accorto. Anche se si tratta di una realizzazione degna di essere tramandata alla storia. Una svolta segnata dal passaggio dei due terzi dei libri di testo, dal cartaceo al digitale. Una rivoluzione paragonabile a quella che venne compiuta nel 1455 da Gutenberg, quando stampò il primo libro scritto, la Bibbia. Da allora tutto l’assieme delle conoscenze scritte passò dalla copia a mano e da altre forme di trascrizione al linguaggio stampato. La cultura cambiò forme, contenuti, dimensione e diffusione. Oggi l’occasione è analoga e solo la sordità mediatica di un governo tecnico poteva non accorgersi di quale piatto si stava bollendo nelle sue pentole. Comunque sia lode ai suoi autori.
La normativa è già stata approvata per
legge. Non starò a tradurla dal linguaggio legal-burocratese (decreto Sviluppo 2.0, ottobre 2012) e
mi limiterò all’essenziale da cui risulta che da ora in avanti i libri di testo per le scuole del primo
ciclo d’istruzione e per gli istituti d’istruzione del secondo grado
saranno prodotti in tre versioni: a stampa,
online scaricabile da Internet
oppure derivante dai contenuti digitali
integrativi (tablet, programmi specifici, ecc). Il piano è già stato
avviato e pubblicato con il suo inserimento nell’Agenda digitale italiana sulla
scia dell’analogo documento europeo le cui linee erano state fissate dal summit
di Lisbona. Il ministero fisserà le caratteristiche tecniche della parte
cartacea dei libri nonché della parte digitale. Rilevante si annuncia una ridefinizione dei tetti di spesa alla luce
dell’attesa riduzione di costi della componente cartacea per effetto
dell’introduzione del digitale.
Uno dei più competenti formatori del nostro
sistema scolastico, il professor Giovanni
Biondi, ci ha permesso di dare una scorsa ai primi capitoli di un suo libro
in corso di pubblicazione sull’Information and Communications Technologyche
affronta i temi dello sconvolgimento avviato nella scuola italiana , “il più
grande sistema sociale del paese ed anche la più grande azienda, con quasi 9
milioni di studenti e 700.000 insegnanti… se però analizziamo gli strumenti
utilizzati nelle aule ci accorgiamo che il 90%
applica contenuti su carta e solo il 16
si avvale di un setting didattico innovativo. Contemporaneamente, però, ben
il 93% dei ragazzi tra i 12 e i 18 anni
usano Internet quotidianamente; di poco inferiore (92,1%) la percentuale di
studenti che usa quotidianamente il computer”. Si giunge così all’assurdo che la Rete è diffusissima fuori della scuola
mentre all’interno investe una esigua minoranza. Ne consegue un gap di
competenze che pone gli insegnanti sovente in una posizione di inferiorità nei
confronti dei propri allievi. Ad aggravare la situazione interviene un dato
anagrafico: l’Italia ha il più alto
numero di insegnanti che superano i 50 anni, solo il 3% è inferiore ai 30.
È facile capire perché la resistenza alle trasformazioni sia la più radicata in
questi strati, a cui si uniscono gli editori e qualche gruppo di pedagoghi
conservatori. Ma è possibile rassegnarsi ad una disconnessione pressoché totale
della scuola nei confronti della società ? Una società che “parla digitale”,
che sfrutta nella vita di tutti i giorni le opportunità offerte dalle nuove
tecnologie ed una scuola basata invece sulla “carta” ... una scuola che ancora
troppo spesso insegna l’inglese come il latino, attraverso una comunicazione
distante dai nostri studenti abituati ad apprendere da altri linguaggi
multimediali molto più efficaci e soprattutto interattivi, che permettono loro
di entrare nell’infinitamente piccolo o esplorare l’infinitamente grande? I
cosiddetti “nativi digitali” hanno
spesso poche motivazioni a stare in classe. Uno di loro, su un blog, ha scritto recentemente un frase
emblematica: “Se la noia fosse un
fossile la scuola sarebbe un museo”. Difficile contestarlo.
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