mercoledì 17 ottobre 2012

Nuovi potenti, Giuseppe Rotelli: Ospedale San Raffaele e Corriere della Sera


da: L’Espresso – aprile 2012 

Nuovi potenti: chi è Rotelli 
di Luca Piana e Michele Sasso 

E' diventato il primo azionista del 'Corriere'. Si è comprato il San Raffaele. Possiede altre 17 cliniche in Lombardia. Dove è stato benedetto dal sistema Formigoni. Ma lui parla pochissimo: e non si sa neanche bene da dove nascano le sue fortune.

La valanga di quattrini, ben 272 milioni di euro, investiti nel "Corriere della Sera"? "Sono tutti miei, non ho tolto un euro ai miei ospedali". I 405 milioni per comprare il San Raffaele? "Le banche non mi servono, il mio gruppo si finanzia da solo". In questa primavera che lo vede tornare al centro dei grandi affari milanesi, Giuseppe Rotelli cerca in ogni occasione di allontanare ogni sospetto da sé. Nell'influente quotidiano di via Solferino, dov'è diventato primo azionista a dispetto delle perplessità dei soci storici, è entrato perché, ha sempre detto, "voglio fare l'editore, non dar voce ai miei interessi". E il grande ospedale fondato da don Luigi Verzè ha deciso di strapparlo allo Ior e a uno degli uomini più liquidi d'Italia, l'imprenditore genovese Vittorio Malacalza, semplicemente perché così il suo gruppo, il primo nella sanità privata, sarà sempre più irraggiungibile.

A dispetto del basso profilo che usa nelle dichiarazioni pubbliche, Rotelli sa però che con la duplice mossa sul "Corriere" e sul San Raffaele si sta giocando una partita cruciale. Il dissolvimento del sistema di potere che in Lombardia ruota
attorno al presidente Roberto Formigoni rappresenta un interrogativo per l'impero che Rotelli, 67 anni e tre figli, ha creato in un trentennio di lavoro. Dei 18 ospedali e case di cura che controlla, 17 sono in Lombardia. E ben 15, compresi colossi come il Policlinico San Donato e l'Istituto Ortopedico Galeazzi (737 posti letto in due), godono dei benefici della riforma sanitaria formigoniana: non c'è differenza fra ospedali pubblici e privati. Con la ricetta medica un paziente può presentarsi nei primi come negli altri, e la Regione rimborsa - la visita specialistica, l'esame, l'intervento chirurgico - allo stesso modo. Un sistema che dal 2001 al 2010 ha inondato le casse del gruppo Rotelli con rimborsi per 5,5 miliardi, un totale che supera i 6 miliardi se si considerano anche i dati provvisori del 2011. Nessun altro, negli anni di Formigoni, è riuscito a sfruttare in maniera così redditizia un sistema che ha visto gli ospedali privati prosperare a discapito di quelli pubblici. E che, in futuro, dovrà resistere all'uscita di scena del governatore.

Se combattere una battaglia politica è difficile, farlo da principale azionista del "Corriere" può essere di conforto. Si spiega forse così il blitz di fine marzo, quando Rotelli si è aggiudicato a un prezzo pari al doppio di quello di Borsa il pacchetto del 5,2 per cento della Rcs, la casa editrice del quotidiano, ceduto dai costruttori romani Toti. E portando, così, al 16,5 per cento la sua quota complessiva, la prima in valore assoluto e la seconda per peso in assemblea, superata solo dal 58 per cento controllato tutti insieme da Mediobanca, Fiat, Pesenti, Ligresti, Intesa, Pirelli e altri. Un gruppo di soci (il patto di sindacato) che hanno cercato a lungo di tenere Rotelli fuori dalla stanza dei bottoni.

La mossa di Sua Sanità, come lo chiamano, fa dunque parte di una battaglia ben precisa dell'imprenditore degli ospedali. Il quale due anni fa è entrato nel consiglio di amministrazione della Rcs grazie al posto riservato ai soci di minoranza, conquistando una poltrona che però ha rischiato di perdere lo scorso marzo. Se la quota dei Toti fosse andata a un altro degli azionisti in rotta con il patto, Diego Della Valle, il proprietario della Tod's sarebbe diventato infatti il primo azionista privato di Rcs e avrebbe strappato il posto in consiglio a Rotelli. Quest'ultimo non c'è stato, ha offerto un super-prezzo e si è assicurato di poter continuare la battaglia per influenzare la gestione intrapresa in questi primi anni. Durante i quali, stando alle indiscrezioni, si è dato parecchio da fare: ha chiesto un aumento di capitale per rilanciare la controllata francese Flammarion (ora messa in vendita) e la stampa periodica, ha invocato un ricambio del management, si è battuto per tagliare la strada alla candidatura di Luca Cordero di Montezemolo alla presidenza e il ritorno di Paolo Mieli alla direzione del quotidiano.

Con l'assegno di 53 milioni staccato ai Toti per rafforzare le posizioni nel "Corriere", Rotelli ha dimostrato due cose. La prima è di essere indifferente alle perdite che ha accumulato sul pacchetto di azioni Rcs già in suo possesso, comprato a prezzi quattro volte superiori a quelli segnati attualmente in Borsa. La seconda è di poter mettere in gioco, come ha fatto anche con il San Raffaele, un sacco di quattrini in contanti per portare avanti i suoi piani.

I contorni della sua ricchezza personale, fuori dalle società del gruppo, non sono in realtà molto noti. La versione accreditata dalle biografie ufficiali è che la sua famiglia sia facoltosa da generazioni. Il nonno materno era tra i proprietari degli Zuccherifici Meridionali, poi venduti all'Eridania, nonché della casa di cura Città di Pavia guidata dal papà di Rotelli, Luigi. Nel 1980 Luigi finisce coinvolto nel crac del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi ed è allora che, racconta lui stesso, Giuseppe prende in mano le redini del gruppo. Nell'Ambrosiano, di cui è azionista, Rotelli incontra due personaggi che incrocerà anche in seguito. Il primo è Giovanni Bazoli, il banchiere bresciano che viene incaricato della rinascita della banca di Calvi, attorno alla quale costruisce nei decenni il gruppo Intesa Sanpaolo. Il secondo è Pietro Strazzera. Nell'Ambrosiano era direttore centrale e in seguito ha fondato a Milano uno studio di commercialisti che ha elaborato la complicata architettura societaria del gruppo Rotelli. In Borsa, poi, si è fatto un nome per diversi, fortunati raid.

L'incontro più fruttuoso è però con Formigoni. Nel 1995, quando viene eletto presidente della Lombardia, Rotelli entra nella squadra di esperti che mette a punto la riforma sanitaria. Quanto conti per lui lo rivelano i bilanci della sua capogruppo ospedaliera, la società per azioni Policlinico San Donato. Nel '95 i ricavi scendono del 6,7 per cento e il bilancio recrimina contro i tagli alle tariffe fatti dalla giunta precedente. Nel '96, a riforma in vigore, i ricavi schizzano (più 5,3 per cento, a 118 milioni), iniziando la corsa che, anche grazie alle acquisizioni, li porterà a superare nel 2010 quota 800 milioni, a fronte di uno stratosferico margine operativo lordo di 130 milioni.

Le norme che aiutano il decollo di Rotelli non finiscono qui. Nel 2004 la Lombardia decide di accreditare altri posti letto dedicati alla cura dei pazienti con malattie invalidanti, una specialità che il gruppo San Donato coglie al volo, portando a 679 i letti dedicati. Nel 2006, poi, la Regione candida il Policlinico San Donato e il Galeazzi al riconoscimento tra gli Istituti di ricerca a carattere scientifico (Irccs), un ruolo che dà accesso ai fondi per la ricerca. Non è tutto: tre anni dopo il Pirellone decide di premiare le sedi delle università di medicina e degli stessi Ircss (il San Donato lo è di entrambi) con una maggiorazione delle risorse per didattica e ricerca.

Che cosa pensare del boom di Rotelli? La discussione sui pregi e sui difetti del sistema lombardo, in effetti, può essere infinita. C'è però un fattore preliminare che, con Formigoni, non ha mai superato i dubbi: quello dei controlli. Dopo lo scandalo della clinica degli orrori Santa Rita di Milano (operazioni inutili per avere i rimborsi), il governatore fece la promessa di riferire al Consiglio regionale ogni sei mesi proprio sull'attività di controllo. Da allora non se n'è più fatto nulla.

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