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Il Sole 24 Ore
Almost
Famous / 13. Piccoli Gaber crescono: tra i più promettenti c'è Luigi Mariano
Parleremo di chi ha tante idee e pochi soldi per realizzarle. Spietatamente.
Se
proprio si vuol restare in tema di artisti pienamente ascrivibili alla
categoria dei «quasi famosi» - quelli che cioè da un po' di tempo stanno lì lì
per esplodere ma manca solo quella scintilla lì – tocca prendere in
considerazione il particolarissimo caso di Luigi Mariano, cantautore nato in
Salento e trasferitosi a Roma che di apprezzamenti importanti ne ha messi in
fila parecchi. Quando si esibisce, che sia nella Capitale, che sia in Campania,
a Firenze o nella nativa Galatone, il pienone è assicurato.
Continua
a gravitare nella galassia degli indipendenti, quando sarebbe pronto per il
grande salto nel circuito mainstream. Lo rivela «Asincrono», suo cd d'esordio
datato 2010 nel quale dimostra di avere più di una buona carta da giocare nella
partita del «raccontar cantando». Più in là vedremo, ma Mariano per ora ha un
solo limite: ha un timbro parecchio simile a quello di Giorgio Gaber, lo sa e
si comporta di conseguenza in quanto a scelte autorali. Spesso ironiche,
talvolta intimiste. Al primo caso è ascrivibile «Il giorno no», brano con cui
si apre il disco. Un folk elegante retto dal riff di chitarra acustica sul
quale s'appoggiano le innumerevoli disavventure con cui è chiamato a fare i
conti il cantautore in una giornata sciagurata.
Meglio
prenderla come viene: «Vincerà chi non teme/ bianco e nero si alternano».
D'impronta politica più marcata è «Il negazionista», dedicata a quelli che,
oltre alla Shoah, sarebbero capaci di mettere in discussione persino il
massacro degli innocenti. Ballata alla Francesco De Gregori «Questo tempo che
ho» che trova il suo momento migliore nell'orecchiabile ritornello. «Solo
un'isola deserta» è un reggae acustico che se la prende con il peggio
dell'Italia contemporanea attraverso sentenze del tipo: «Con quei nomi che
votate/ voi la mafia la volete». «Il singhiozzo» sembra invece una divertente
rivisitazione 2.0 della leggendaria «Goganga» che il Signor G. portò al
successo ai tempi belli. Un tantino populista «Vogliamo la Rai libera!», inno
combat-folk contro «ogni ingerenza politica» sulla televisione di Stato. Un po'
troppo fuori dai denti. «Edoardo» è un sofferto omaggio pianistico in prima
persona all'Agnelli che non accettò il proprio destino («Non sono come te,
papà») e finì in circostanze tragiche.
La
title track, spagnoleggiante pop sulle ordinarie incomprensioni uomo-donna, è
forse il momento migliore dell'album. La tesi proposta è interessante: stai a
vedere che non sia tutto un problema di «tempi diversi» tra lui e lei.
L'arpeggiatissima «Io non ti chiamerò» documenta la fine di un amore e potrebbe
essere il secondo, disperato tempo di «Asincrono». Bella «Il solito giro di
blues», nella quale il cantautore salentino tira fuori il meglio dalla sua
voce, mentre la slide accompagna una progressione armonica che commenta alla
perfezione le innumerevoli indigestioni cui tutti i giorni la vita ci
sottopone. In «Cos'avrebbe detto Giorgio?» Mariano scopre le carte e rivela il
suo amore per l'inventore del teatro-canzone, mentre l'autobiografica «Canzone
di rottura» e la ballata di chiusura «Intimità» confermano le sue potenzialità
mainstream. Il ragazzo può farcela. In specie se si affranca dai modelli di
riferimento.
Luigi Mariano
«Asincrono»
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