mercoledì 17 ottobre 2012

Musica indipendente, piccoli Gaber crescono: Luigi Mariano


da: Il Sole 24 Ore

Almost Famous / 13. Piccoli Gaber crescono: tra i più promettenti c'è Luigi Mariano


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Parleremo di chi ha tante idee e pochi soldi per realizzarle. Spietatamente.

Se proprio si vuol restare in tema di artisti pienamente ascrivibili alla categoria dei «quasi famosi» - quelli che cioè da un po' di tempo stanno lì lì per esplodere ma manca solo quella scintilla lì – tocca prendere in considerazione il particolarissimo caso di Luigi Mariano, cantautore nato in Salento e trasferitosi a Roma che di apprezzamenti importanti ne ha messi in fila parecchi. Quando si esibisce, che sia nella Capitale, che sia in Campania, a Firenze o nella nativa Galatone, il pienone è assicurato.
Continua a gravitare nella galassia degli indipendenti, quando sarebbe pronto per il grande salto nel circuito mainstream. Lo rivela «Asincrono», suo cd d'esordio datato 2010 nel quale dimostra di avere più di una buona carta da giocare nella partita del «raccontar cantando». Più in là vedremo, ma Mariano per ora ha un solo limite: ha un timbro parecchio simile a quello di Giorgio Gaber, lo sa e si comporta di conseguenza in quanto a scelte autorali. Spesso ironiche, talvolta intimiste. Al primo caso è ascrivibile «Il giorno no», brano con cui si apre il disco. Un folk elegante retto dal riff di chitarra acustica sul quale s'appoggiano le innumerevoli disavventure con cui è chiamato a fare i conti il cantautore in una giornata sciagurata.
Meglio prenderla come viene: «Vincerà chi non teme/ bianco e nero si alternano». D'impronta politica più marcata è «Il negazionista», dedicata a quelli che, oltre alla Shoah, sarebbero capaci di mettere in discussione persino il massacro degli innocenti. Ballata alla Francesco De Gregori «Questo tempo che ho» che trova il suo momento migliore nell'orecchiabile ritornello. «Solo un'isola deserta» è un reggae acustico che se la prende con il peggio dell'Italia contemporanea attraverso sentenze del tipo: «Con quei nomi che votate/ voi la mafia la volete». «Il singhiozzo» sembra invece una divertente rivisitazione 2.0 della leggendaria «Goganga» che il Signor G. portò al successo ai tempi belli. Un tantino populista «Vogliamo la Rai libera!», inno combat-folk contro «ogni ingerenza politica» sulla televisione di Stato. Un po' troppo fuori dai denti. «Edoardo» è un sofferto omaggio pianistico in prima persona all'Agnelli che non accettò il proprio destino («Non sono come te, papà») e finì in circostanze tragiche.
La title track, spagnoleggiante pop sulle ordinarie incomprensioni uomo-donna, è forse il momento migliore dell'album. La tesi proposta è interessante: stai a vedere che non sia tutto un problema di «tempi diversi» tra lui e lei. L'arpeggiatissima «Io non ti chiamerò» documenta la fine di un amore e potrebbe essere il secondo, disperato tempo di «Asincrono». Bella «Il solito giro di blues», nella quale il cantautore salentino tira fuori il meglio dalla sua voce, mentre la slide accompagna una progressione armonica che commenta alla perfezione le innumerevoli indigestioni cui tutti i giorni la vita ci sottopone. In «Cos'avrebbe detto Giorgio?» Mariano scopre le carte e rivela il suo amore per l'inventore del teatro-canzone, mentre l'autobiografica «Canzone di rottura» e la ballata di chiusura «Intimità» confermano le sue potenzialità mainstream. Il ragazzo può farcela. In specie se si affranca dai modelli di riferimento.

Luigi Mariano
«Asincrono» 

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