da: la Repubblica
Italiani al lavoro fino a 67 anni record europeo
nella previdenza
di Roberto Mania
Stiamo diventando
il paese europeo più virtuoso per le pensioni. Per la prima volta la
Commissione di Bruxelles non ha più raccomandazioni destinate all´Italia. Di
più: il nostro modello sta diventando un esempio per il vecchio continente. Nel
2020 gli italiani, uomini e donne, andranno in pensione con almeno 66 anni e
undici mesi. Meglio della Germania di Angela Merkel (65 anni e nove mesi) che
sta dettando le rigidissime regole per l´equilibrio dei conti pubblici per
fronteggiare la crisi dei debiti sovrani; meglio della piccola Danimarca (66
anni), dove è nata quella flexsecurity che anche noi vorremmo adottare. Nel
2060, legando l´età per la pensione alle speranze di vita, raggiungeremo per
entrambi i sessi addirittura i 70 anni e tre mesi. Un record. Tutti gli altri
paesi si fermeranno prima. Sta scritto nel Libro Bianco della Commissione
europea (“Un´agenda dedicata a pensioni adeguate, sicure e sostenibili”) appena
pubblicato.
L’EFFETTO “RIFORMA FORNERO”
Le nostre
performance sono dovute all´ultima riforma pensionistica, firmata dal ministro
del Lavoro, Elsa Fornero, che ha deciso di accelerare senza più tentennamenti
nel passaggio al metodo contributivo per il calcolo della pensione e di
innalzare progressivamente l´età pensionabile, superando di fatto i
prepensionamenti. La riforma italiana sembra, almeno per tre quarti, quasi
un´applicazione in laboratorio di tutti i suggerimenti che Bruxelles ha per i
sistemi pensionistici continentali: allungamento dell´età in rapporto alla
speranza di vita (nel 2050 gli europei over 65 saranno la metà della
popolazione); ridurre il ricorso ai prepensionamenti; estendere la formazione a
tutto il ciclo della vita lavorativa e non solo alla fase iniziale (qui l´Italia
è molto deficitaria); equiparare l´età di donne e uomini; incrementare i fondi
pensionistici integrativi.
IL MERCATO DEL LAVORO VA CAMBIATO
L´altro lato della
medaglia, però, raffigura il lavoro. E qui arrivano anche le note dolenti per
il nostro paese. Siamo in fondo alla classifica dell´Unione europea relativa al
tasso di occupazione dei lavoratori anziani, cioè quelli compresi tra 55 e 64
anni. Appena il 36,6 per cento contro il 57,1 per cento della Gran Bretagna o
il 57,7 per cento della Germania, fino al 70,5 per cento della Svezia. A
colmare questo nostro divario dovrebbe servire proprio la riforma del mercato
del lavoro in discussione tra il governo e le parti sociali: meno lavoro
precario, più formazione per poter passare da un lavoro ad un altro, ma
soprattutto da una mansione ad un´altra anche nella stessa azienda. Proprio il
modello (la flessibilità interna) su cui ha investito la Germania con le
riforme contenute nel “pacchetto Hartz” varato all´inizio di questo secolo. E
non è un caso che il ministro Fornero guardi al caso tedesco come a un esempio
da seguire: «Gli interventi hanno consentito alla Germania – ha scritto ieri il
ministro sulla Stampa – di cogliere più rapidamente ed efficacemente che in
precedenza l´onda positiva della congiuntura avviatasi nella seconda metà dello
scorso decennio».
Il passaggio dal
retributivo al contributivo avrà effetti non secondari sul tasso di
sostituzione (rapporto tra la pensione e l´ultima retribuzione) delle future
pensioni: la Commissione stima, per gli italiani, un calo del 15 per cento tra
il 2008 e il 2048 che sarà compensato però dall´allungamento del periodo di
lavoro e dall´eventuale adesione ai fondi complementari.
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