Grillo
e Di Pietro, il mito infranto del partito degli onesti
di Michele
Brambilla
Dunque la stagione politica di Di Pietro
pare giunta al capolinea: è stato per
anni il leader della protesta,
ora al massimo diventerà un grillino di
complemento. Non è la prima volta che un integerrimo trova qualcuno più
integerrimo di lui: accadde anche a Robespierre, e parabole del genere le ha
raccontate benissimo perfino Alberto Sordi con i suoi film, dal «Vigile» al
«Moralista».
Non stupiscono quindi né la cancellazione
del nome dal simbolo del partito (quante icone, in politica, sono diventate
all’improvviso motivo di imbarazzo), né la probabile dissoluzione della stessa
Italia dei Valori. A stupire, piuttosto, è la reazione, diciamo così,
«garantista», dell’intero fronte, diciamo così, «giustizialista».
Di
Pietro è difeso a sciabola sfoderata sia dal «Fatto quotidiano» sia da Beppe Grillo, il quale l’ha
addirittura proposto per il Quirinale.
«Certamente meglio lui, uomo onesto, di Napolitano, il peggior presidente che
abbiamo avuto», ha detto più o meno il comico e nuotatore genovese, e
basterebbe questo per far capire di chi e di che cosa stiamo parlando.
Comunque. Perché chi è sempre stato tanto
spietato con tutti i politici indagati o anche solo chiacchierati è ora tanto
indulgente con Di Pietro? Perché le inchieste
di Milena Gabanelli sono il Verbo quando toccano i professionisti della
politica e spazzatura quando toccano
quelli dell’antipolitica?
Azzardando una prima ipotesi benevola, si
potrebbe dire questo: Grillo e il fronte
giustizialista che lo sostiene non
vogliono che si cada nell’equivoco del «tutti colpevoli quindi tutti
innocenti». Non vogliono insomma che si corra il rischio di mettere ogni
cosa e ogni persona sullo stesso piano. Questa è una preoccupazione legittima
perché, effettivamente, sul motto «non facciamo i moralisti perché tanto tutti
abbiamo qualcosa da farci perdonare» c’è chi ci ha marciato, in questi
anni.
Ma è chiaro che questa ipotesi benevola non
basta a spiegare il motivo di tanto accanimento alla rovescia sul caso Di
Pietro. Perché è certamente possibile
che il leader dell’Italia dei Valori non abbia commesso alcun reato, e che
possa chiarire tutto ciò che riguarda l’utilizzo del denaro ricevuto per
l’attività politica. Ma è ancora più certo che, in casi analoghi e anche per molto meno, Grillo e i suoi alleati
giornalistici non hanno usato la stessa
clemenza. Hanno piuttosto gridato al ladro, chiesto immediate dimissioni,
invocato ergastolo politico, suggerito di buttare via la chiave.
E allora, perché? Avanziamo un’altra
ipotesi, questa. La scoperta della non impeccabilità di Di Pietro (che non
impeccabile lo è a prescindere da quanto denunciato da Report: basta pensare
alla scelta di tanti dirigenti sbagliati nel partito) smaschera il nulla politico che si nasconde dietro tutto quel fronte che da anni sta vivendo e
lucrando sui peccati altrui.
Intendiamoci: meno male che c’è chi
denuncia, punta il dito, s’indigna. Non ci fosse, politici e affaristi
sarebbero ancor più liberi e indisturbati nelle loro razzie. Ma denunciare,
puntare il dito e indignarsi, anche quando è legittimo, non è sufficiente per
candidarsi a guidare un Paese. Per questo diciamo che tanta furia garantista pro Di Pietro è dovuta al fatto che quel che
emerge sull’Italia dei Valori smaschera il nulla che c’è dietro a quel partito,
ma anche dietro a Grillo e ai suoi sodali. Cioè dietro a tutto quel movimento
di protesta che periodicamente si affaccia sulla scena di ogni nazione,
denunciando (non senza ragioni) il marcio del potere, ma fermandosi lì.
Come si è presentato, quasi vent’anni fa,
Di Pietro in politica? «Sono l’uomo dalle mani pulite». Come si chiama il suo
partito. «Dei Valori». È di destra o di sinistra? «Sono onesto». Che programmi
ha per la ripresa economica? «I corrotti in galera». E la sanità? «Non bisogna
rubare». E l’Europa, l’America, i mercati emergenti, la questione ambientale,
la bioetica? «Io non rubo». Tutto così. La verginità, anzi l’immacolata
concezione come unica ragione sociale.
Ecco perché quando il mito dell’onestà
assoluta si rivela per quello che è - un mito, appunto - non resta più niente.
A Di Pietro e al suo successore Beppe Grillo.
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