da: Il Fatto Quotidiano
Csx
Factor
di Marco
Travaglio
L’interesse con cui il pubblico di Sky e
dei social network ha seguito il confronto all’americana dei cinque candidati
del centrosinistra dimostra la sete di politica che serpeggia in Italia. Onore
agli sfidanti di Bersani, Renzi in primis, per aver imposto al Pd una tenzone
inizialmente esclusa dallo statuto del partito. E onore a Sky per l’impeccabile
allestimento. Ma ciò non significa, diversamente da quel che sostiene qualcuno,
che il formatCsx Factor possa o debba sostituire i programmi di
approfondimento giornalistico: quelli che per comodità chiamiamo talk show, e
che non sono tutti uguali. Ci sono quelli fatti col bilancino Cencelli
travestito da par condicio, tipo Porta e Porta e Ballarò, e quelli
più irregolari e scapigliati, che seguono l’attualità e i suoi protagonisti
senza allestire il solito presepietto della destra, del centro e della sinistra
con rispettive claque, tipo Infedele , Piazzapulita e Servizio
Pubblico (ma anche Secondo voi di Del Debbio). Nei primi due il
contributo del giornalismo è scarso: ciò che conta è il verbo (o la rissa) dei
politici. Negli altri domina il punto di vista del conduttore, che
seleziona inchieste e domande, inchiodando (quando ci riesce) i suoi ospiti per
saggiarne la coerenza e la credibilità. Nei primi due, ciascuno può dire tutto
e il contrario di tutto, senza tema di smentite. Negli altri è più difficile,
perché il punto di partenza non sono le parole del politico, ma la realtà vera
con cui il politico deve misurarsi. Il confronto
all’americana è un terzo genere di talk show (sempre show è), dov’è più difficile mentire che
nel primo e più
facile che nel secondo, ma è comunque più
facile svicolare. Tant’è che i docenti dell’Università Tor Vergata
reclutati per testare la veridicità dei dati enunciati dai cinque sono rimasti
disoccupati: i discorsi erano talmente
vaghi che non c’era praticamente niente da testare. E proprio questo è il
punto: le obiezioni da muovere ai
presunti Magnifici Cinque non erano materia da professori, ma da giornalisti.
Perché attengono alla maggiore o minore
credibilità dei candidati che prendono questo o quell’impegno. Ma questi
elementi, fondamentali per la scelta degli elettori, sono programmaticamente esclusi dal format di Sky: l’unico
giornalista è il bravo conduttore che imbecca i suoi ospiti con domande
precotte, cioè lancia assist per consentire loro di esporre il programma. Se Bersani vuole privatizzare le società partecipate dai comuni, non c’è statistico
di Tor Vergata che possa replicargli: “Scusi,
ma l’anno scorso non ha messo il cappello sul referendum contro la
privatizzazione delle società partecipate?”. Spetta al giornalista. Che
naturalmente nel talk show fa la figura del piantagrane, dell’agente del
nemico. Idem se Vendola propone la
sua mitica Puglia come ombelico del
buongoverno: è la stessa regione degli scandali
della malasanità, del dolce far nulla sui veleni killer dell’Ilva, delle
voragini di bilancio, del ciclo dei rifiuti appaltato ai Marcegaglia? Se Renzi parla di tagliare le spese alla casta, chi parlerà delle obiezioni della
Corte dei conti sulle mega-spese inutili
della sua Provincia di Firenze? Lo stesso vale per la questione morale, che
infatti l’altra sera non è stata nemmeno affrontata, altrimenti si sarebbe
dovuto parlare dello sponsor di Renzi con affari alle Cayman, ma anche dei
rapporti fra Bersani e Penati, Gavio, Montepaschi, Consorte, Colaninno, o fra
Vendola e don Verzé, e addio presepe del centrosinistra dove tutti sono amici e
si vogliono bene. Il Csx Factor è perfetto alla fine di una campagna
elettorale (infatti gli Usa, che l’hanno inventato, lo limitano a un paio di
repliche alle ultime settimane prima delle presidenziali, poi lo mandano in
soffitta), ma se diventasse un appuntamento settimanale, fin dalla seconda
puntata ammazzerebbe milioni di persone. Di noia.
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