mercoledì 14 novembre 2012

Marco Travaglio: Csx Factor


da: Il Fatto Quotidiano

Csx Factor
di Marco Travaglio

L’interesse con cui il pubblico di Sky e dei social network ha seguito il confronto all’americana dei cinque candidati del centrosinistra dimostra la sete di politica che serpeggia in Italia. Onore agli sfidanti di Bersani, Renzi in primis, per aver imposto al Pd una tenzone inizialmente esclusa dallo statuto del partito. E onore a Sky per l’impeccabile allestimento. Ma ciò non significa, diversamente da quel che sostiene qualcuno, che il formatCsx Factor possa o debba sostituire i programmi di approfondimento giornalistico: quelli che per comodità chiamiamo talk show, e che non sono tutti uguali. Ci sono quelli fatti col bilancino Cencelli travestito da par condicio, tipo Porta e Porta e Ballarò, e quelli più irregolari e scapigliati, che seguono l’attualità e i suoi protagonisti senza allestire il solito presepietto della destra, del centro e della sinistra con rispettive claque, tipo Infedele , Piazzapulita e Servizio Pubblico (ma anche Secondo voi di Del Debbio). Nei primi due il contributo del giornalismo è scarso: ciò che conta è il verbo (o la rissa) dei politici. Negli altri domina il punto di vista del conduttore, che seleziona inchieste e domande, inchiodando (quando ci riesce) i suoi ospiti per saggiarne la coerenza e la credibilità. Nei primi due, ciascuno può dire tutto e il contrario di tutto, senza tema di smentite. Negli altri è più difficile, perché il punto di partenza non sono le parole del politico, ma la realtà vera con cui il politico deve misurarsi. Il confronto all’americana è un terzo genere di talk show (sempre show è), dov’è più difficile mentire che
nel primo e più facile che nel secondo, ma è comunque più facile svicolare. Tant’è che i docenti dell’Università Tor Vergata reclutati per testare la veridicità dei dati enunciati dai cinque sono rimasti disoccupati: i discorsi erano talmente vaghi che non c’era praticamente niente da testare. E proprio questo è il punto: le obiezioni da muovere ai presunti Magnifici Cinque non erano materia da professori, ma da giornalisti. Perché attengono alla maggiore o minore credibilità dei candidati che prendono questo o quell’impegno. Ma questi elementi, fondamentali per la scelta degli elettori, sono programmaticamente esclusi dal format di Sky: l’unico giornalista è il bravo conduttore che imbecca i suoi ospiti con domande precotte, cioè lancia assist per consentire loro di esporre il programma. Se Bersani vuole privatizzare le società partecipate dai comuni, non c’è statistico di Tor Vergata che possa replicargli: “Scusi, ma l’anno scorso non ha messo il cappello sul referendum contro la privatizzazione delle società partecipate?”. Spetta al giornalista. Che naturalmente nel talk show fa la figura del piantagrane, dell’agente del nemico. Idem se Vendola propone la sua mitica Puglia come ombelico del buongoverno: è la stessa regione degli scandali della malasanità, del dolce far nulla sui veleni killer dell’Ilva, delle voragini di bilancio, del ciclo dei rifiuti appaltato ai Marcegaglia? Se Renzi parla di tagliare le spese alla casta, chi parlerà delle obiezioni della Corte dei conti sulle mega-spese inutili della sua Provincia di Firenze? Lo stesso vale per la questione morale, che infatti l’altra sera non è stata nemmeno affrontata, altrimenti si sarebbe dovuto parlare dello sponsor di Renzi con affari alle Cayman, ma anche dei rapporti fra Bersani e Penati, Gavio, Montepaschi, Consorte, Colaninno, o fra Vendola e don Verzé, e addio presepe del centrosinistra dove tutti sono amici e si vogliono bene. Il Csx Factor è perfetto alla fine di una campagna elettorale (infatti gli Usa, che l’hanno inventato, lo limitano a un paio di repliche alle ultime settimane prima delle presidenziali, poi lo mandano in soffitta), ma se diventasse un appuntamento settimanale, fin dalla seconda puntata ammazzerebbe milioni di persone. Di noia.

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