Sanità
con l’assicurazione?
di Guglielmo
Pepe
«Il nostro Sistema sanitario nazionale, di
cui andiamo fieri, potrebbe non essere garantito se non si individuano nuove
modalità di finanziamento». Le parole pronunciate dal premier sono da un lato
oggettive, ma sorprendenti sotto un altro punto di vista, anche perché lasciano
spazio alle interpretazioni.
Che il Servizio pubblico non sia più
garantito lo sanno benissimo i cittadini italiani che devono fare i conti ,
ogni giorno, con la riduzione di migliaia di posti letto, con la scomparsa di
interi reparti e ospedali, con le lunghissime liste di attesa e, in caso di
necessità, con il pagamento delle prestazioni in intramoenia. La situazione è
allarmante anche per il personale sanitario che alcune settimane fa, in massa,
è sceso in piazza per difendere la qualità del Ssn.
La nostra sanità un tempo era tra le
migliori al mondo – nel 2000 fu classificata al secondo posto dall’Oms – ma
negli ultimi anni ha perso parecchi colpi.
Un fatto è evidente: i costi sono
crescenti, perché la popolazione aumenta e invecchia, mentre le risorse a
disposizione sono sempre di meno. Pertanto se la domanda sale, anche a parità
di finanziamenti, cosa peraltro impossibile, il sistema collassa. E’ giusto
quindi dire che il sistema va riformato. Già, ma come?
Qui nascono le diverse interpretazioni
sulle parole del presidente del Consiglio. Cosa significa “trovare nuove forme
di finanziamento del Ssn”? Si tratta di tasse? Credo questa una strada non
percorribile, perché siamo già pesantemente
tartassati. Un’altra ipotesi – però
è una mia supposizione – è la forte spinta verso le assicurazioni private. Se
così è, siamo ad un cambiamento radicale del sistema, che potrebbe
diventare molto simile a quello americano: cure di base ed essenziali a chi non
ha e ai redditi più bassi, servizio di qualità a chi invece ha la possibilità
di investire in una assicurazione privata. Altre modalità di finanziamento non
ne vedo (a parte la tassazione crescente sui redditi più alti).
Con le assicurazioni più o meno
obbligatorie, l’universalismo delle prestazioni – pietra fondante del Ssn –
verrebbe a mancare. Alcune forze politiche di sinistra hanno lanciato un grido
d’allarme – senza far riferimento alle assicurazioni – dicendo che bisogna
trovare i fondi per sostenere la Sanità. Ma se i malati di Sla e quelli con
altre patologie gravissime vengono costretti a scendere in piazza con le loro
carrozzine e i loro letti di dolore per riuscire a ottenere i fondi per
l’assistenza domiciliare (e non è detto che li otterranno), dubito che, ad
oggi, ci siano i soldi per salvaguardare la qualità dell’intero Ssn.
Tuttavia altri percorsi sono possibili.
Come ricordano Ignazio Marino, il Pd, l’Idv: prima fra tutte la
razionalizzazione delle spese. E di pari passo la lotta agli sprechi. Senza
dimenticare il fiume di soldi che se ne va nella corruzione. Non parliamo di
bruscolini, bensì di miliardi di euro. Purtroppo negli ultimi anni, nonostante
quanto detto e scritto una infinità di volte, questi semplici interventi
correttivi non sono mai stati messi in atto. Perché in tante, in troppe
Regioni, una certa politica ha voluto mantenere in piedi un sistema clientelare
e corruttivo. Oggi però lo stato di necessità induce a intervenire
energicamente per risparmiare. Non ci sono alternative: o si trovano i soldi da
settori non strategici, o si risparmia e si taglia cercando di non smantellare
il Ssn, o si introducono nuove tasse per i redditi più alti, o si passa alle
assicurazioni private. Ma questa è la strada meno felice, come dimostra la
storia della sanità statunitense.
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