da: Lettera 43
«Il
cinema italiano? Vecchio e troppo costoso»
Crisi
di idee e incassi. Il produttore Valsecchi: «La nostra è una casta che continua
a sbagliare. Diamo spazio al nuovo».
di Michele
Anselmi
«Mi chiede di chi è la colpa se il cinema
italiano va così male e la quota di mercato dei nostri film è scesa al 24% dopo
le sbornie del 2011? Anche nostra. Le dico di più: i veri cecchini del cinema
siamo noi produttori. Di fronte alla cruda realtà delle cifre cerchiamo scuse.
Dovremmo chiederci dove sbagliamo».
Pietro Valsecchi, classe 1953, da Brema,
titolare di Taodue con la moglie Camilla Nesbitt, produttore televisivo e
cinematografico legato a Mediaset, ha fama di uomo che parla chiaro. È ricco,
potente, spesso un po’ arrogante, ma non si nasconde dietro un dito.
NEL
2012 BIGLIETTI VENDUTI IN CALO DELL'11%. Sa bene che dal
primo gennaio al 30 ottobre 2012 si sono venduti 78 milioni e 768 mila
biglietti (l'11,3% in meno rispetto ai primi dieci mesi del 2011); e si sono
incassati 464 milioni 672 mila euro (-9,1%). In questa situazione è il cinema
italiano a soffrire di più, non più solo quello d’autore, commercialmente in
picchiata. Per dire: Bella addormentata di Marco Bellocchio s’è
fermato a 1 milione e 300 mila euro; Reality di Matteo Garrone a 2
milioni; Io e te di Bernardo Bertolucci a 1 milione e 600 mila; È
stato il figliodi Daniele Ciprì a 850 mila.
DOMANDA. Dunque
sono i produttori i primi a dover fare un esame di coscienza?
RISPOSTA. La
nostra è diventata una specie di casta che non è in grado di lasciar spazio ai
più giovani. In un sistema efficiente, di fronte a ripetuti insuccessi, si
dovrebbe chiudere bottega. Invece, anche dopo tre-quattro flop di seguito,
tanti di noi continuano a produrre tranquillamente.
D. Vale
anche con i politici: restano sempre al loro posto.
R. Infatti
coi politici ci indigniamo, vogliamo che sloggino. Poi, magari, contribuisce
anche una certa stampa che difende certi gruppi di lavoro, certe conventicole.
Tu sei mio amico e io faccio finta di niente.
D. Ancora
con la stampa? La critica conta poco, specie sul fronte degli incassi. Pagine
piene e sale vuote.
Dovrebbe saperlo.
R. Vero,
però ogni tanto mi arrabbio a leggere certi articoli.
D.
Torniamo al suo lavoro di produttore. Non sarà che troppi film, oggi in Italia,
arrivano 'chiavi in mano', pronti a uscire senza che il produttore abbia potuto
dire la sua?
R. Sì.
Il produttore non può essere 'l’accompagnatore dell’autore', deve portare una
dialettica e una collaborazione, ci vuole coraggio e libertà. Lo so: io sono
ritenuto un gran rompicoglioni, perché intervengo sul copione, sul montaggio,
sulle musiche. Voglio vincere sul mercato. Ci sto male se faccio flop.
D. E
quindi?
R. Il problema sono i contenuti che
proponiamo. I contenuti sono contenuti: se i ragazzini li trovano sui tablet,
bisogna chiedersi dove va la loro fantasia, che cosa li fa divertire e
piangere. Dobbiamo far parlare i giovani: capire perché rifiutano il cinema
italiano. E poi a un ragazzo i film in sala, almeno per cinque giorni su sette,
glieli devi dare a 4 euro, non a 8.
D.
Però i giovani 'scaricano' tutto: dai film alla musica.
R. Anche
i 50enni, se è per questo. Zalone venne scaricato selvaggiamente, ma Che
bella giornata ha continuato a incassare due mesi dopo l’uscita nelle
sale.
D.
Però ammetterà: la sala non può più essere così centrale nella vita di un film.
Ci sono tante altre piattaforme da sfruttare.
R. E
certo. La sala deve essere la vetrina di un film, ma poi bisogna smetterla con
questa storia delle 'finestre' (il lasso di tempo che deve passare tra uscita
nei cinema e sfruttamento in dvd o in tv, ndr). Il film oggi dovresti
metterlo dovunque, quasi contemporaneamente.
D. Ma
gli esercenti protestano, fanno barricate, dicono che chiudono se va avanti
così.
R. Gli
esercenti investono poco nel loro campo. Pensano che la sala imploderà da qui a
poco. In effetti, un mondo nuovo sta arrivando. Io pagherei volentieri 5 euro
per vedere un film a casa mia. Se devo uscire, invece, voglio uno spettacolo
che mi dia la voglia di prendere l’auto.
D.
Ormai tutto è stravolto. Si grida al successo per i 4 milioni e 700 mila euro
incassati daViva l’Italia in tre settimane.
R. In effetti sono valori bassi, non possiamo accontentarci di queste cifre. Per lanciare un film, tra copie e promozione, si spende almeno 1 milione e mezzo di euro. Quindi devi incassare il triplo, 4 milioni, solo per stare in pari su quella voce. E il resto?
R. In effetti sono valori bassi, non possiamo accontentarci di queste cifre. Per lanciare un film, tra copie e promozione, si spende almeno 1 milione e mezzo di euro. Quindi devi incassare il triplo, 4 milioni, solo per stare in pari su quella voce. E il resto?
D. Già,
il resto, cioè il costo vero del film, come si ammortizza?
R. Non
si può più difendere l’indifendibile. I film costano troppo. Poi certo anch’io
sbaglio. Soprattutto non si dovrebbero fare i film perché Rai, Medusa o Warner
Bros ci danno i soldi.
D.
Aurelio De Laurentiis sta girando l’Italia per convincere gli esercenti a
dargli più sale. Il suo film di Natale, Colpi di fulmine, ha perso appeal.
R. Aurelio
è stato il produttore più importante. L’hanno sempre strattonato, nessuno lo
difendeva. Faceva incassi da leone e dava fastidio. Adesso è un momento di
svolta. Io farei una tournée come la sua solo se diventassi premier.
D.
Nessun problema con gli esercenti per Natale?
R. Per
fortuna sono loro a chiamarci. Per I 2 soliti idioti usciamo con 500
copie, distribuisce Medusa. Ben venga la sfida con Antonio Albanese e il suo Tutto
tutto niente niente.
D. Le
faccio qualche numero: 155 film italiani (incluse le coproduzioni) realizzati
nel 2011, 142 nel 2010, 131 nel 2009. Non sono troppi?
R. Ricorda
più di 20 titoli tra tutti? Eppure dovrebbe essere il contrario. Lo scarto è
preoccupante. Io sono della scuola che bisogna rischiare. Oggi, in verità,
rischio meno, perché mi sono fatto una posizione in questo mondo.
D. Ma
un tempo osava di più.
R. Nel
1995, per produrre Un eroe borghese di Michele Placido sulla morte di
Ambrosoli, i soldi li abbiamo messi io e Camilla Nesbitt con le banche. Abbiamo
rischiato. Con La condanna di Marco Bellocchio ho perso 600 milioni
di lire. Eppure non feci fallire la mia società di allora.
D.
Checco Zalone incassa 45 milioni di euro con Che bella giornata e I
soliti idiotiarrivano a 11. Ma anche lei tende a ripetersi ormai.
R. Veramente
Zalone fu una mia scoperta, nessuno ci scommetteva. Mi sono imposto. Poi,
certo, bisogna imparare a tenere botta. Guardi Carlo Verdone. Sempre
appassionato, certosino, attento a cogliere i personaggi e le situazioni.
Servono mestiere e passione per fare cinema a 60 anni.
D.
Avete trovato finalmente una storia per Zalone? C’è un titolo?
R. L’onestà
di Checco sta qui. Poteva uscire a Natale 2012 con tutte le sale che voleva.
Invece mi ha detto:
«Non me la sento, non ho un’idea che sta in
piedi, devo rifletterci». Gli ho dato un anno in più. Sta scrivendo una specie
di viaggio in Italia, ha trovato la chiave.
D. Vero
che la giuria parallela da lei organizzata per il Festival di Roma, in tema di
opere prime e seconde, fatica a trovare un film da premiare?
R. Non
è una domanda che può fare a me, non ne faccio parte. Alla fine vedrà che film
da premiare verranno fuori. Le due Camere d’oro, disegnate da Gianni Bulgari,
andranno a produttore e regista.
D.
S’è pentito di avere sponsorizzato con tanta energia Marco Müller alla guida
della kermesse capitolina, paragonandolo addirittura all’omino di Tienanmen in
piedi di fronte al carro armato?
R. No.
Marco è un grandissimo lavoratore e costruttore di festival, un fuoriclasse.
Alla fine tireremo le somme.
Leggo di sale semivuote. Io sono andato tre
volte ed era sempre pieno.
D. Il
calo c’è, sia sul fronte dei biglietti venduti, sia sul fronte del ritorno
mediatico, ammetterà.
R. Di sicuro, Marco non ha fatto il festival di Alemanno e della Polverini.
D.
Lei è tra i pochi che non utilizza i soldi pubblici del ministero. D’altra
parte sono pochi ormai: 25 milioni all’anno alla voce produzione.
R. Non
ho nulla contro il denaro pubblico speso bene, ma bisogna spenderlo bene,
appunto. Se 80 film su 100 sono brutti, poi la gente schioda le sedie e grida
allo spreco. Mi spiega perché non si può leggere la realtà italiana con
divertimento?
D. Si
può certo, ma non si può chiedere a Bellocchio, Amelio, Bertolucci o Martone di
fare per forza commedie.
R. Certo. Però Clint Eastwood, che è
un genio totale, fa film sempre diversi. Non li scrive, li dirige. Io ogni
volta che mando un copione a un autore… Una sofferenza.
D.
L’alternativa?
R. Nanni
Moretti. La Sacher è un ottimo punto di riferimento. A certi autori dico: fate
la vostra società, spendete i vostri soldi, diventate imprenditori di voi
stessi. Nanni è bravissimo.
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