venerdì 30 novembre 2012

Marco Travaglio: Aridatece D’Alema


da: il Fatto Quotidiano

Aridatece D’Alema
di Marco Travaglio

Ma che gli han fatto, a Renzi, l’altra sera?  L’hanno ipnotizzato? Imbottito di bromuro?  Già l’ambiente, gli studi di Rai1, conciliava  il sonno. Già il format delle domande  uguali per tutti, concordate con i rispettivi  staff, ricordava più la Bulgaria che l’America.  Per non parlare di quelle “preparate dalla redazione  del Tg1” e dai suoi acuti aficionados  (Palestina, Afghanistan, mancava solo il Sahara  Occidentale): da tagliarsi le vene. Già le due  claque che applaudivano qualunque banalità  suonavano fasulle. Ci si aspettava che il sindaco  di Firenze, dovendo recuperare terreno  soprattutto tra i vendoliani, desse qualche segnale di vita attaccando la mummia di Bersani. Non aveva, per sua fortuna, che l’imbarazzo della scelta. Gli sarebbe bastato, visto  che dà del tu a Obama (all’insaputa del medesimo),  copiare dalle primarie Usa: Biden  fece nero Barak, prima di diventare il suo vice  alla Casa Bianca. Invece niente: la solita polemica  generazionale, io giovane tu vecchio, io camicia bianca tu giacca color caghetta, io contro i fondi pubblici ai partiti tu solo per  dimezzarli, io critico col centrosinistra tu al  governo per 2.547 giorni. Per il resto “sono  d’accordo con l’amico Pier Luigi”. E dire che non capita tutti i giorni di trovarsi di fronte un  avversario così ingessato, imbalsamato, spento e vulnerabile. Un avversario che – proprio  mentre esplode il caso Ilva – si scopre essersi fatto finanziare la campagna elettorale anche  da Emilio Riva (98 mila euro) e da Federacciai  (100 mila). Che ha dato il suo nome al decreto  che consente agli enti ecclesiastici di non pagare  l’Ici. Che aveva al suo fianco uno come  Penati. Che ha sponsorizzato Gavio, i capitani  coraggiosi di Telecom, i furbetti del quartierino  e il loro protettore Fazio. Che non s’è mai  perso un Meeting
di Cl. Eppure passa per  quello “di sinistra”, mentre Renzi per liberista,  confindustriale, ciellino, bigotto, “di destra”.  Ma il sindaco non ha schiacciato nemmeno  una di queste palle che chiedevano soltanto  uno smash e che Bersani continuava ad alzargli  col suo eloquio da bocciofila emiliana, le sue  battute alla piadina, le sue metafore allo squacquerone  col lambrusco: “Girare la ruota”,  “mettersi le dita nel naso”, “’sto paese qua”,  “’sta mafia è un dramma”, “non puoi tagliare il  braccio e il ramo su cui sei seduto”, “la politica  costa, vedi Clistene e Pericle”. Per non parlare  del ridicolo discorso sul conflitto d’interessi,  ridotto a una banale questione di “incompatibilità  e antitrust nelle comunicazioni”, come  se i conflitti d’interessi li avesse solo B. e non  fossero dappertutto, dalla politica all’economia.  E dire che, ancora mercoledì mattina, il rottamatore assicurava una sfida tutta all’attacco,  per conquistare non Vendola, ma almeno  i suoi, sensibilissimi ai temi dell’autonomia  dalla grande industria e dal Vaticano.  Poi dev’essere accaduto qualcosa. Infatti il Renzi dopo la cura era l’opposto del Renzi  prima della cura. Risultato: 0-0. Un pareggio  che puzza di torta, di biscotto. Dopo aver detto  “voglio vincere il festival, non il premio della  critica”, lo sfidante s’è accontentato del premio  della critica. Non sappiamo se i due si  siano messi d’accordo, e su quale accordo. Ma  nemmeno la presenza al suo fianco di un anestesista,  di un emolliente come Gori può spiegare  l’autorottamazione del rottamatore. Forse lo ritroveremo a braccetto con l’amico Pier  Luigi in campagna elettorale. Certo, a vederli  duettare per finta in quello studio bulgaro-cecoslovacco,  affogati in quella nebbia di mediocrità  che rendeva frizzanti persino gli spot  pubblicitari, qualcuno avrà pensato (per poi  immediatamente pentirsene): “D’Alema, dove  sei?”. Perché il conte Max, l’altra sera, li  avrebbe asfaltati entrambi con una battuta.  Almeno nei talk show, era imbattibile. Il guaio  è che poi pretendeva pure di far politica e di  governare. 

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