da: il Fatto Quotidiano
Aridatece
D’Alema
di Marco
Travaglio
Ma che gli han fatto, a Renzi, l’altra
sera? L’hanno ipnotizzato? Imbottito di bromuro? Già l’ambiente,
gli studi di Rai1, conciliava il sonno. Già il format delle domande
uguali per tutti, concordate con i rispettivi staff, ricordava più la
Bulgaria che l’America. Per non parlare di quelle “preparate dalla
redazione del Tg1” e dai suoi
acuti aficionados (Palestina, Afghanistan, mancava solo il
Sahara Occidentale): da tagliarsi le vene. Già le due claque che
applaudivano qualunque banalità suonavano fasulle. Ci si aspettava che il
sindaco di Firenze, dovendo recuperare terreno soprattutto tra i
vendoliani, desse qualche segnale di vita attaccando la mummia di Bersani. Non
aveva, per sua fortuna, che l’imbarazzo della scelta. Gli sarebbe bastato,
visto che dà del tu a Obama (all’insaputa del medesimo), copiare
dalle primarie Usa: Biden fece nero Barak, prima di diventare il suo vice
alla Casa Bianca. Invece niente: la solita polemica generazionale,
io giovane tu vecchio, io camicia bianca tu giacca color caghetta, io contro i
fondi pubblici ai partiti tu solo per dimezzarli, io critico col
centrosinistra tu al governo per 2.547 giorni. Per il resto “sono
d’accordo con l’amico Pier Luigi”. E dire che non capita tutti i giorni di
trovarsi di fronte un avversario così ingessato, imbalsamato, spento e
vulnerabile. Un avversario che – proprio mentre esplode il caso Ilva – si
scopre essersi fatto finanziare la campagna elettorale anche da Emilio
Riva (98 mila euro) e da Federacciai (100 mila). Che ha dato il suo nome
al decreto che consente agli enti ecclesiastici di non pagare
l’Ici. Che aveva al suo fianco uno come Penati. Che ha sponsorizzato
Gavio, i capitani coraggiosi di Telecom, i furbetti del quartierino
e il loro protettore Fazio. Che non s’è mai perso un Meeting
di Cl.
Eppure passa per quello “di sinistra”, mentre Renzi per liberista,
confindustriale, ciellino, bigotto, “di destra”. Ma il sindaco non ha
schiacciato nemmeno una di queste palle che chiedevano soltanto
uno smash e che Bersani continuava ad alzargli col suo eloquio
da bocciofila emiliana, le sue battute alla piadina, le sue metafore allo
squacquerone col lambrusco: “Girare la ruota”, “mettersi le dita
nel naso”, “’sto paese qua”, “’sta mafia è un dramma”, “non puoi tagliare
il braccio e il ramo su cui sei seduto”, “la politica costa, vedi
Clistene e Pericle”. Per non parlare del ridicolo discorso sul conflitto
d’interessi, ridotto a una banale questione di “incompatibilità e
antitrust nelle comunicazioni”, come se i conflitti d’interessi li avesse
solo B. e non fossero dappertutto, dalla politica all’economia. E
dire che, ancora mercoledì mattina, il rottamatore assicurava una sfida tutta
all’attacco, per conquistare non Vendola, ma almeno i suoi,
sensibilissimi ai temi dell’autonomia dalla grande industria e dal
Vaticano. Poi dev’essere accaduto qualcosa. Infatti il Renzi dopo la cura
era l’opposto del Renzi prima della cura. Risultato: 0-0. Un
pareggio che puzza di torta, di biscotto. Dopo aver detto “voglio
vincere il festival, non il premio della critica”, lo sfidante s’è
accontentato del premio della critica. Non sappiamo se i due si
siano messi d’accordo, e su quale accordo. Ma nemmeno la presenza al suo
fianco di un anestesista, di un emolliente come Gori può spiegare
l’autorottamazione del rottamatore. Forse lo ritroveremo a braccetto con
l’amico Pier Luigi in campagna elettorale. Certo, a vederli
duettare per finta in quello studio bulgaro-cecoslovacco, affogati in
quella nebbia di mediocrità che rendeva frizzanti persino gli spot
pubblicitari, qualcuno avrà pensato (per poi immediatamente pentirsene):
“D’Alema, dove sei?”. Perché il conte Max, l’altra sera, li avrebbe
asfaltati entrambi con una battuta. Almeno nei talk show, era
imbattibile. Il guaio è che poi pretendeva pure di far politica e
di governare.
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