da: La Stampa
Un
brutto copione e due domande
di Michele Brambilla
Probabilmente non c’è italiano che non sia
rimasto interdetto, ieri, nel seguire le notizie sul sequestro lampo ai danni
del cassiere di fiducia di Silvio Berlusconi. Quello che si è scoperto, con un
mese di ritardo, è un episodio di cronaca nera: ma lo scenario nel quale si
sono svolti i fatti, e mossi i suoi interpreti, sembra da commedia, o peggio da
farsa. Una via di mezzo tra «Romanzo
criminale» e un film di Totò. L’ex premier entra in scena come parte lesa:
ma forse il danno più rilevante che
subisce non è il tentativo di estorsione,
quanto la ricaduta d’immagine che
gliene deriva.
Un fido
ragioniere venuto alla ribalta per la puntualità con cui versa lo stipendio
a ragazze chiamate «Olgettine». Sei balordi, tre italiani e tre albanesi,
che vanno a casa sua con la pistola in pugno. Una chiavetta usb che conterrebbe le prove di un complotto del
presidente della Camera e dei magistrati ai danni di Berlusconi e che nessuno
riesce a collegare a un computer. Una richiesta
di 35 milioni di euro; tre cassette
di sicurezza, una Ferrari prenotata, una telefonata in cui si parla di otto
milioni già in Svizzera e forse non è vero, ma è vero che il tutto viene
denunciato con oltre un giorno di ritardo.
E infine un pranzo con il presidente del
Consiglio Monti e un convegno europeo del Ppe che vengono rinviati, fatti
saltare per stare dietro a tutta questa sporca e grottesca faccenda.
Credo non si sia mai visto un grande imprenditore e leader politico
coinvolto in questo modo - sia pure, lo ripetiamo, come vittima - in una tragicommedia di così basso livello.
Eppure i fatti e i personaggi sopra
descritti fanno parte dell’inquietante mondo dell’ultimo Silvio Berlusconi.
C’è ahimè un filo rosso, che poi è una medesima antropologia, che lega attori e
comparse del «pasticciaccio brutto del ragionier Spinelli» con gli attori e le
comparse di altri fatti di cronaca che hanno contrassegnato gli ultimi tre anni
- quelli del declino - del Cavaliere. La festa
a Casoria per la diciottenne Noemi; quel Tarantini di Bari e Patrizia
D’Addario che a letto fa i filmini
con il cellulare; i bunga bunga ad
Arcore con Lele Mora e le sue ragazze; il compagno di un’Olgettina
pescato con chili di cocaina; l’igienista
dentale e la finta nipote di Mubarak; il caso Lavitola. E via di questo
livello.
C’è chi dice che cattive frequentazioni
Berlusconi le abbia sempre avute. Non sappiamo se è vero, e comunque prove in
questo senso non ce ne sono. Sicuro è però che le amicizie del Berlusconi degli
ultimi anni sono tali da suscitare due domande. La prima è: ma che bisogno ha, un uomo così ricco e potente, di frequentare certa gente per
divertirsi? La seconda, decisiva: quale affidabilità può dare un leader
politico che senza alcuno scrupolo, anzi con ostentazione, bazzica ambienti
simili? Fino al punto da venire ricattato da balordi di quart’ordine?
Quando scoppiarono
i vari casi Noemi, D’Addario, Ruby eccetera, il Cavaliere (allora premier) venne difeso da tutta una serie di intellettuali e giornalisti che gridarono al «moralismo». La parola
d’ordine era: ciascuno a letto fa ciò che vuole, separiamo la politica dalla
vita privata. Fu un modo abile e
imbroglione per distogliere
l’attenzione dal vero problema, che
non è la moralità ma l’affidabilità: dell’uomo e soprattutto del politico.
Se molti leader mondiali non vollero più avere a che fare con l’Italia, è
perché non volevano più rapporti con Berlusconi. Il danno per il nostro Paese è
stato quel che sappiamo, non fosse altro per il tempo perso.
Oggi Berlusconi appare come prigioniero di
quella rete di rapporti e di interessi che ha intessuto da troppo tempo.
Processi, casi Ruby e lodi Mondadori, tentativi di ricatto e tentativi di
estorsione. Eppure, dopo un anno di
panchina anzi di tribuna, sta meditando se tornare in campo. Non è neanche
il caso di immaginare a quale film
assisteremmo se dovesse decidere per il «sì».
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