da: Lettera 43
Spinelli,
il giallo del riscatto
Il cassiere
del Cav rapito per una notte, i pm: forse 8 milioni per il rilascio. La ricostruzione dei fatti,
però, non convince.
Un sequestro lampo, durato 11 ore o poco
più: le vittime sono Giuseppe Spinelli, 69enne contabile di Silvio Berlusconi,
e la moglie Anna Rosconi.
I fatti risalgono alla notte tra il 15 e il
16 ottobre scorsi, quando tre malviventi armati aspettarono Spinelli fuori
dalla sua residenza di Bresso, prima di spingerlo di forza dentro casa e
presentargli le condizioni per il rilascio: 35 milioni di euro in cambio di
un'ampia documentazione in grado di ribaltare la sentenza sul lodo Mondadori
- che vede la Fininvest di Berlusconi condannata in appello - in favore del
Cav.
I rapitori, due albanesi e l'ex pentito
pugliese Francesco Leone, costrinsero Spinelli a chiamare l'ex presidente del
Consiglio per informarlo delle loro richieste: gli uomini della scorta di
Berlusconi prelevarono il contabile alle 9 di mattina del 16 ottobre, ma non è
chiaro se Silvio nel frattempo abbia pagato il riscatto.
IPOTESI RISCATTO, 8 MILIONI SOSPETTI. Gli inquirenti hanno dapprima escluso categoricamente questa possibilità, salvo ammettere in un secondo tempo l'esistenza di uno spostamento di denaro sospetto da tre cassette di sicurezza in una banca svizzera.
La cifra in questione si aggira intorno
agli 8 milioni di euro: «Potrebbe trattarsi di una parte del riscatto», ha
fatto sapere il giudice per le indagini preliminari. Le verifiche sono già
partite.
«Fui
portato ad Arcore, dissi a Berlusconi di pagare»
Spinelli è noto alle cronache come il
«ragionier bunga bunga» (leggi il profilo): a
lui si rivolgevano le 'Olgettine' per avere i soldi. Dopo il rilascio, fu
portato dalla scorta del Cavaliere in una località segreta, Arcore secondo il
diretto interessato: «Per ragioni di sicurezza bisognava dormire altrove»,
ha raccontato ai pm.
LE VALIGIE E LA TELEFONATA. «Quindi, quando
sono tornato a casa l'ho riferito a mia moglie, lei ha cominciato a fare le
valigie e in quel frangente, verso le 15, è arrivata sull'utenza fissa di casa
una telefonata. Sicuramente non era uno dei tre sequestratori (quelli che
avevano la coppia in custodia, ndr) perché ho avuto tante ore per imprimermi la
loro tonalità di voce».
Il ragioniere ha quindi ricordato che
«questa persona mi ha subito chiamato Giuseppe e mi ha chiesto cosa si fosse
deciso a riguardo alla proposta che avevano fatto. Io ho risposto che in quei
termini non era accettabile, che avevo cercato di convincere Berlusconi che
voleva vedere però i filmati e fare una cosa più trasparente».
«DISSI CHE DOVEVA FIDARSI». E ancora: «Io mi spesi molto con il Cavaliere Berlusconi dicendo che si doveva fidare di me, che quello che avevo visto era valido e che conveniva pagare per ottenere questo filmato».
«DISSI CHE DOVEVA FIDARSI». E ancora: «Io mi spesi molto con il Cavaliere Berlusconi dicendo che si doveva fidare di me, che quello che avevo visto era valido e che conveniva pagare per ottenere questo filmato».
IL VIAGGIO ANNULLATO. «Berlusconi», ha
proseguito Spinelli, «disse che a questo punto non sarebbe più partito per
Roma, cosa prevista proprio per la mattina del martedì, che mi avrebbe
aspettato lì ad Arcore con il filmato».
«Naturalmente», ha spiegato il ragioniere, «gli aggressori, che sentivano quello che diceva Berlusconi, mi facevano cenno con la mano di no e cercai ancora di convincere il Cavaliere che conveniva pagare per ottenere questo filmato».
«Naturalmente», ha spiegato il ragioniere, «gli aggressori, che sentivano quello che diceva Berlusconi, mi facevano cenno con la mano di no e cercai ancora di convincere il Cavaliere che conveniva pagare per ottenere questo filmato».
«BERLUSCONI CAPÌ». Secondo Spinelli però,
evidentemente l'ex premier «che mi conosce da una vita e sa che io non mi
permetto mai di insistere più di tanto, ha avuto qualche perplessità, tant'è
che disse 'le faccio telefonare dall'avvocato Ghedinì e la telefonata finì
lì'».
«DISSERO CHE FINI PREGÒ I GIUDICI». Secondo
i racconti del contabile, uno dei tre sequestratori, quello arrivato a casa
Spinelli alle due di notte, parlò di una cena in cui «Fini avrebbe parlato ai
magistrati pregandoli di aiutarlo a mettere in difficoltà Berlusconi e che per
questo gli sarebbe stato grato per tutta la vita».
IL NOME DEL MAGISTRATO FORNO. Il rapitore,
chiamato da lui «il terzo uomo», quella notte gli fece «vedere un foglio A4, un
po' ingiallito e sgualcito, si vedeva che era stato piegato» su cui c'era
scritto «in alto Lodo Mondadori, De Benedetti, l'indicazione di due avvocati di
cui una donna, i nominativi dei magistrati di primo grado il dottor Forno,
questo nome me lo ricordo bene», quelli di secondo grado tra cui «il nome (che
non ricorda nello specifico, ndr) di un presidente e un giudice a latere» e
«una cena di Fini con magistrati e i nominativi per quello che ricordo erano
gli stessi indicati nel primo e secondo grado, il nome che ricordo era quello
di Forno...».
Spinelli ha precisato che quel foglio non
gli è mai stato lasciato «ma il terzo uomo l'ha ripiegato e messo in un
taschino».
CHIAVETTA USB E DVD CONTRO DE BENEDETTI. Uno dei sequestratori di Giuseppe Spinelli e della moglie «sulla testata del divano ha messo una chiavetta e un dvd dicendomi che in questi supporti informatici c'erano sette ore e 41 minuti di registrazione di cose che avrebbero danneggiato De Benedetti sempre in relazione al Lodo Mondadori».
CHIAVETTA USB E DVD CONTRO DE BENEDETTI. Uno dei sequestratori di Giuseppe Spinelli e della moglie «sulla testata del divano ha messo una chiavetta e un dvd dicendomi che in questi supporti informatici c'erano sette ore e 41 minuti di registrazione di cose che avrebbero danneggiato De Benedetti sempre in relazione al Lodo Mondadori».
Nessuno però quella notte era riuscito a
vederne il contenuto perché «il sistema del computer» che possedeva Spinelli
«non era compatibile con il programma» dei due supporti informatici, per altro
mai ritrovati dagli inquirenti.
Dopo
la denuncia tardiva l'intervento della 'nemica' Ilda Boccassini
L'accaduto fu denunciato solo il giorno
seguente, il 17 ottobre, dallo studio Ghedini-Longo alla procura milanese: di
lì, l'intervento di Ilda Boccassini (la acerrima nemica a cui due giorni dopo
Berlusconi, in aula per il processo Ruby, stringerà la mano), gli interrogatori
delle vittime e le indagini sul territorio sfociate, un mese dopo, negli
arresti del 19 novembre.
TRE ITALIANI E TRE ALBANESI. In manette
sono finite sei persone: oltre a Leone e ai due albanesi, esecutori materiali
del sequestro, sono stati arrestati Pierluigi Tranquilli, pregiudicato di
34 anni, residente a Olevano Romano (Roma), Alessio Maier, 46enne residente a
Malnate (Varese), anch'egli con precedenti, e un terzo albanese.
IL CAPO BANDA TRADITO DALLE SCARPE. Il capo della banda si sarebbe tradito anche per via di un paio di scarpette rosse con le stringhe nere, da appassionato milanista quale egli è.
IL CAPO BANDA TRADITO DALLE SCARPE. Il capo della banda si sarebbe tradito anche per via di un paio di scarpette rosse con le stringhe nere, da appassionato milanista quale egli è.
Gli agenti avevano seguito Leone anche allo
stadio San Siro di Milano dove il 51enne era andato il pomeriggio dell'11
novembre per assistere a Milan-Fiorentina.
TRE ALBANESI PIÙ VOLTE IN CARCERE. Inoltre
Laurenc e Ilirjan Tanko, i due fratelli albanesi che vivevano nel trevigiano,
avevano subito entrambi una condanna a 13 anni di carcere per fatti diversi.
Anche Marius Anuta, benché residente nel grossetano, era spesso nel trevigiano, era stato fermato spesso con i fratelli Tanko, e arrestato più volte in Toscana, l'ultima il 13 agosto.
Anche Marius Anuta, benché residente nel grossetano, era spesso nel trevigiano, era stato fermato spesso con i fratelli Tanko, e arrestato più volte in Toscana, l'ultima il 13 agosto.
IMMIGRAZIONE CLANDESTINA. Laurenc Tanko era
finito con le manette dei carabinieri di Castelfranco il 22 ottobre scorso per
immigrazione clandestina.
Era assieme ad Anuta in un'Alfa 166 nella
quale c'erano attrezzi da scasso e passamontagna. Messo agli arresti
domiciliari, Laurenc aveva indicato quale domicilio quello del fratello, ma il
giudice s'era opposto perché quest'ultimo aveva una serie di reati a suo
carico.
Pertanto Laurenc scelse di andare dalla
sorella a Castelfranco Veneto, da dove il 27 ottobre s'è allontanato,
rendendosi irreperibile.
SEQUESTRO DI PERSONA PER ESTORSIONE.
Laurenc era già stato arrestato a Monza il 13 agosto del 1997 per concorso in
sequestro di persona a scopo di estorsione e per questo condannato a 13 anni di
carcere.
Il 25 luglio 2011, finita la pena, la Prefettura di Caserta aveva emesso un decreto di espulsione. Il fratello Ilirjan invece aveva avuto di recente la carta di soggiorno per motivi di lavoro.
Il 25 luglio 2011, finita la pena, la Prefettura di Caserta aveva emesso un decreto di espulsione. Il fratello Ilirjan invece aveva avuto di recente la carta di soggiorno per motivi di lavoro.
RAPINA E VIOLENZA SESSUALE. Era uscito dal
carcere nel 2010 dopo una condanna a 13 anni per rapina, violenza sessuale e
induzione alla prostituzione per le quali era stato arrestato a Monza il 10
ottobre 1998.
GUIDA IN STATO DI EBBREZZA E RISSA. Marjus Anuta si muoveva nell'area toscana dove è stato più volte arrestato: a marzo per aver provocato un incidente in stato di ebbrezza, in luglio per rissa aggravata e l'11 agosto per furto aggravato di rame.
GUIDA IN STATO DI EBBREZZA E RISSA. Marjus Anuta si muoveva nell'area toscana dove è stato più volte arrestato: a marzo per aver provocato un incidente in stato di ebbrezza, in luglio per rissa aggravata e l'11 agosto per furto aggravato di rame.
Tutti e tre gli albanesi si muovevano tra
il trevigiano e le zone fra il bresciano e il monzese, dove sono stati in
questi anni più volte fermati per controlli. Le case dove i fratelli Tanko
hanno vissuto sono stati oggetto, la mattina del 19 novembre, di perquisizioni.
Una
lista di magistrati e quel video su Gianfranco Fini
L'attenzione degli inquirenti, adesso, è
focalizzata sul materiale al centro della richiesta di riscatto.
Che genere di documenti poteva valere i 35 milioni di euro chiesti dalla banda Leone a Berlusconi? Secondo le prime ricostruzioni, i rapitori avrebbero mostrato a Spinelli - tra le altre cose - un foglio di carta con una lista di nomi di pubblici ministeri e parlato di Gianfranco Fini come di un uomo disposto a trafficare con la magistratura per rovinare il Cav.
Che genere di documenti poteva valere i 35 milioni di euro chiesti dalla banda Leone a Berlusconi? Secondo le prime ricostruzioni, i rapitori avrebbero mostrato a Spinelli - tra le altre cose - un foglio di carta con una lista di nomi di pubblici ministeri e parlato di Gianfranco Fini come di un uomo disposto a trafficare con la magistratura per rovinare il Cav.
NESSUNA TRACCIA DEL CD. Il contabile,
sentito dai pm, ha detto che i rapitori gli proposero un filmato nel quale
Fini, a colloquio con i giudici del lodo Mondadori, chiedeva aiuto «per mettere
in difficoltà Berlusconi». Ma di questo cd, da quanto si apprende, non c'è
traccia e non è mai stato trovato dagli inquirenti.
E SILVIO DISSE: «NON PAGHIAMO UNA LIRA». Visionato il materiale, Spinelli alzò il telefono e, davanti ai rapitori, chiamò Berlusconi: «Se noi non vediamo i documenti non paghiamo una lira», avrebbe risposto l'ex premier, secondo la ricostruzione dell'avvocato Niccolò Ghedini. «Così li ha convinti a liberarli».
E SILVIO DISSE: «NON PAGHIAMO UNA LIRA». Visionato il materiale, Spinelli alzò il telefono e, davanti ai rapitori, chiamò Berlusconi: «Se noi non vediamo i documenti non paghiamo una lira», avrebbe risposto l'ex premier, secondo la ricostruzione dell'avvocato Niccolò Ghedini. «Così li ha convinti a liberarli».
GHEDINI: «I DOCUMENTI? UNA SCUSA». Per il
legale di Silvio «non c'è stato nessun ricatto: i rapitori dicevano di voler
dare qualcosa a Berlusconi in cambio del denaro, ma quella dei documenti sul
lodo Mondadori era solo una scusa».
Sulla vicenda, e sui contenuti di quella
telefonata, gli inquirenti però vogliono vederci chiaro. La testimonianza resa
da Spinelli non risolve tutti gli interrogativi. Per questo le indagini
proseguono senza sosta, con perquisizioni a tappeto alla ricerca dei documenti
incriminati.
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