martedì 20 novembre 2012

Spinelli, il ragionier “bunga bunga”: il giallo del riscatto




da: Lettera 43

Spinelli, il giallo del riscatto
Il cassiere del Cav rapito per una notte, i pm: forse 8 milioni per il rilascio. La ricostruzione dei fatti, però, non convince.

Un sequestro lampo, durato 11 ore o poco più: le vittime sono Giuseppe Spinelli, 69enne contabile di Silvio Berlusconi, e la moglie Anna Rosconi.
I fatti risalgono alla notte tra il 15 e il 16 ottobre scorsi, quando tre malviventi armati aspettarono Spinelli fuori dalla sua residenza di Bresso, prima di spingerlo di forza dentro casa e presentargli le condizioni per il rilascio: 35 milioni di euro in cambio di un'ampia documentazione in grado di ribaltare la sentenza sul lodo Mondadori - che vede la Fininvest di Berlusconi condannata in appello - in favore del Cav.
I rapitori, due albanesi e l'ex pentito pugliese Francesco Leone, costrinsero Spinelli a chiamare l'ex presidente del Consiglio per informarlo delle loro richieste: gli uomini della scorta di Berlusconi prelevarono il contabile alle 9 di mattina del 16 ottobre, ma non è chiaro se Silvio nel frattempo abbia pagato il riscatto.

IPOTESI RISCATTO, 8 MILIONI SOSPETTI. Gli inquirenti hanno dapprima escluso categoricamente questa possibilità, salvo ammettere in un secondo tempo l'esistenza di uno spostamento di denaro sospetto da tre cassette di sicurezza in una banca svizzera.
La cifra in questione si aggira intorno agli 8 milioni di euro: «Potrebbe trattarsi di una parte del riscatto», ha fatto sapere il giudice per le indagini preliminari. Le verifiche sono già partite.

«Fui portato ad Arcore, dissi a Berlusconi di pagare»

Spinelli è noto alle cronache come il «ragionier bunga bunga» (leggi il profilo): a lui si rivolgevano le 'Olgettine' per avere i soldi. Dopo il rilascio, fu portato dalla scorta del Cavaliere in una località segreta, Arcore secondo il diretto interessato: «Per ragioni di sicurezza bisognava dormire altrove», ha raccontato ai pm.

LE VALIGIE E LA TELEFONATA. «Quindi, quando sono tornato a casa l'ho riferito a mia moglie, lei ha cominciato a fare le valigie e in quel frangente, verso le 15, è arrivata sull'utenza fissa di casa una telefonata. Sicuramente non era uno dei tre sequestratori (quelli che avevano la coppia in custodia, ndr) perché ho avuto tante ore per imprimermi la loro tonalità di voce».
Il ragioniere ha quindi ricordato che «questa persona mi ha subito chiamato Giuseppe e mi ha chiesto cosa si fosse deciso a riguardo alla proposta che avevano fatto. Io ho risposto che in quei termini non era accettabile, che avevo cercato di convincere Berlusconi che voleva vedere però i filmati e fare una cosa più trasparente».
«DISSI CHE DOVEVA FIDARSI». E ancora: «Io mi spesi molto con il Cavaliere Berlusconi dicendo che si doveva fidare di me, che quello che avevo visto era valido e che conveniva pagare per ottenere questo filmato».
IL VIAGGIO ANNULLATO. «Berlusconi», ha proseguito Spinelli, «disse che a questo punto non sarebbe più partito per Roma, cosa prevista proprio per la mattina del martedì, che mi avrebbe aspettato lì ad Arcore con il filmato».
«Naturalmente», ha spiegato il ragioniere, «gli aggressori, che sentivano quello che diceva Berlusconi, mi facevano cenno con la mano di no e cercai ancora di convincere il Cavaliere che conveniva pagare per ottenere questo filmato».
«BERLUSCONI CAPÌ». Secondo Spinelli però, evidentemente l'ex premier «che mi conosce da una vita e sa che io non mi permetto mai di insistere più di tanto, ha avuto qualche perplessità, tant'è che disse 'le faccio telefonare dall'avvocato Ghedinì e la telefonata finì lì'».
 

«DISSERO CHE FINI PREGÒ I GIUDICI». Secondo i racconti del contabile, uno dei tre sequestratori, quello arrivato a casa Spinelli alle due di notte, parlò di una cena in cui «Fini avrebbe parlato ai magistrati pregandoli di aiutarlo a mettere in difficoltà Berlusconi e che per questo gli sarebbe stato grato per tutta la vita».
IL NOME DEL MAGISTRATO FORNO. Il rapitore, chiamato da lui «il terzo uomo», quella notte gli fece «vedere un foglio A4, un po' ingiallito e sgualcito, si vedeva che era stato piegato» su cui c'era scritto «in alto Lodo Mondadori, De Benedetti, l'indicazione di due avvocati di cui una donna, i nominativi dei magistrati di primo grado il dottor Forno, questo nome me lo ricordo bene», quelli di secondo grado tra cui «il nome (che non ricorda nello specifico, ndr) di un presidente e un giudice a latere» e «una cena di Fini con magistrati e i nominativi per quello che ricordo erano gli stessi indicati nel primo e secondo grado, il nome che ricordo era quello di Forno...».
Spinelli ha precisato che quel foglio non gli è mai stato lasciato «ma il terzo uomo l'ha ripiegato e messo in un taschino».
CHIAVETTA USB E DVD CONTRO DE BENEDETTI. Uno dei sequestratori di Giuseppe Spinelli e della moglie «sulla testata del divano ha messo una chiavetta e un dvd dicendomi che in questi supporti informatici c'erano sette ore e 41 minuti di registrazione di cose che avrebbero danneggiato De Benedetti sempre in relazione al Lodo Mondadori».
Nessuno però quella notte era riuscito a vederne il contenuto perché «il sistema del computer» che possedeva Spinelli «non era compatibile con il programma» dei due supporti informatici, per altro mai ritrovati dagli inquirenti.

Dopo la denuncia tardiva l'intervento della 'nemica' Ilda Boccassini

L'accaduto fu denunciato solo il giorno seguente, il 17 ottobre, dallo studio Ghedini-Longo alla procura milanese: di lì, l'intervento di Ilda Boccassini (la acerrima nemica a cui due giorni dopo Berlusconi, in aula per il processo Ruby, stringerà la mano), gli interrogatori delle vittime e le indagini sul territorio sfociate, un mese dopo, negli arresti del 19 novembre.
TRE ITALIANI E TRE ALBANESI. In manette sono finite sei persone: oltre a Leone e ai due albanesi, esecutori materiali del sequestro, sono stati arrestati Pierluigi Tranquilli, pregiudicato di 34 anni, residente a Olevano Romano (Roma), Alessio Maier, 46enne residente a Malnate (Varese), anch'egli con precedenti, e un terzo albanese.
IL CAPO BANDA TRADITO DALLE SCARPE. Il capo della banda si sarebbe tradito anche per via di un paio di scarpette rosse con le stringhe nere, da appassionato milanista quale egli è.
Gli agenti avevano seguito Leone anche allo stadio San Siro di Milano dove il 51enne era andato il pomeriggio dell'11 novembre per assistere a Milan-Fiorentina.


TRE ALBANESI PIÙ VOLTE IN CARCERE. Inoltre Laurenc e Ilirjan Tanko, i due fratelli albanesi che vivevano nel trevigiano, avevano subito entrambi una condanna a 13 anni di carcere per fatti diversi.
Anche Marius Anuta, benché residente nel grossetano, era spesso nel trevigiano, era stato fermato spesso con i fratelli Tanko, e arrestato più volte in Toscana, l'ultima il 13 agosto.
IMMIGRAZIONE CLANDESTINA. Laurenc Tanko era finito con le manette dei carabinieri di Castelfranco il 22 ottobre scorso per immigrazione clandestina.
Era assieme ad Anuta in un'Alfa 166 nella quale c'erano attrezzi da scasso e passamontagna. Messo agli arresti domiciliari, Laurenc aveva indicato quale domicilio quello del fratello, ma il giudice s'era opposto perché quest'ultimo aveva una serie di reati a suo carico.
Pertanto Laurenc scelse di andare dalla sorella a Castelfranco Veneto, da dove il 27 ottobre s'è allontanato, rendendosi irreperibile.
SEQUESTRO DI PERSONA PER ESTORSIONE. Laurenc era già stato arrestato a Monza il 13 agosto del 1997 per concorso in sequestro di persona a scopo di estorsione e per questo condannato a 13 anni di carcere.
Il 25 luglio 2011, finita la pena, la Prefettura di Caserta aveva emesso un decreto di espulsione. Il fratello Ilirjan invece aveva avuto di recente la carta di soggiorno per motivi di lavoro.
RAPINA E VIOLENZA SESSUALE. Era uscito dal carcere nel 2010 dopo una condanna a 13 anni per rapina, violenza sessuale e induzione alla prostituzione per le quali era stato arrestato a Monza il 10 ottobre 1998.
GUIDA IN STATO DI EBBREZZA E RISSA. Marjus Anuta si muoveva nell'area toscana dove è stato più volte arrestato: a marzo per aver provocato un incidente in stato di ebbrezza, in luglio per rissa aggravata e l'11 agosto per furto aggravato di rame.
Tutti e tre gli albanesi si muovevano tra il trevigiano e le zone fra il bresciano e il monzese, dove sono stati in questi anni più volte fermati per controlli. Le case dove i fratelli Tanko hanno vissuto sono stati oggetto, la mattina del 19 novembre, di perquisizioni.

Una lista di magistrati e quel video su Gianfranco Fini

L'attenzione degli inquirenti, adesso, è focalizzata sul materiale al centro della richiesta di riscatto.
Che genere di documenti poteva valere i 35 milioni di euro chiesti dalla banda Leone a Berlusconi? Secondo le prime ricostruzioni, i rapitori avrebbero mostrato a Spinelli - tra le altre cose - un foglio di carta con una lista di nomi di pubblici ministeri e parlato di Gianfranco Fini come di un uomo disposto a trafficare con la magistratura per rovinare il Cav.
NESSUNA TRACCIA DEL CD. Il contabile, sentito dai pm, ha detto che i rapitori gli proposero un filmato nel quale Fini, a colloquio con i giudici del lodo Mondadori, chiedeva aiuto «per mettere in difficoltà Berlusconi». Ma di questo cd, da quanto si apprende, non c'è traccia e non è mai stato trovato dagli inquirenti.
E SILVIO DISSE: «NON PAGHIAMO UNA LIRA». Visionato il materiale, Spinelli alzò il telefono e, davanti ai rapitori, chiamò Berlusconi: «Se noi non vediamo i documenti non paghiamo una lira», avrebbe risposto l'ex premier, secondo la ricostruzione dell'avvocato Niccolò Ghedini. «Così li ha convinti a liberarli».
GHEDINI: «I DOCUMENTI? UNA SCUSA». Per il legale di Silvio «non c'è stato nessun ricatto: i rapitori dicevano di voler dare qualcosa a Berlusconi in cambio del denaro, ma quella dei documenti sul lodo Mondadori era solo una scusa».
Sulla vicenda, e sui contenuti di quella telefonata, gli inquirenti però vogliono vederci chiaro. La testimonianza resa da Spinelli non risolve tutti gli interrogativi. Per questo le indagini proseguono senza sosta, con perquisizioni a tappeto alla ricerca dei documenti incriminati.

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