da: La Stampa
L’ultimo
treno
Come Bertoldo che non riusciva mai a
trovare l’albero a cui impiccarsi, il Senato ha rinviato a martedì il voto di
fiducia sul decreto che taglia i costi della politica, a causa di uno sciopero
dei treni. Sono venuto a capo per consentirvi di smaltire l’incredulità.
Martedì cosa si inventeranno, un’indigestione di cozze collettiva? Oltretutto
pare che la storia dello sciopero sia una scusa raffazzonata lì per lì, pur di
nascondere i dissidi interni ai partiti e giustificare la più politica di tutte
le arti: il rinvio. Ma come fanno a non capire che qualunque verità
risulterebbe meno fastidiosa di quella penosa bugia? Un Paese dove un
operaio scompare in mare durante la bufera cadendo da una gru su cui non doveva
nemmeno stare, e dove una barista pendolare muore di stanchezza alla fermata
della metro dopo essersi alzata per l’ennesima volta di domenica alle quattro
del mattino, ecco, un Paese così serio e duramente provato pretende di non
essere offeso dagli sfoggi di tracotanza di coloro che dovrebbero fornire il
buon esempio. Questa era davvero l’ultima occasione per un colpo d’ala.
Immaginate il presidente dell’assemblea Schifani che annuncia alle telecamere:
«Abbiamo deciso all’unanimità di restare a Roma nel weekend per votare una
legge tanto attesa dall’opinione pubblica. Il Senato rimane aperto sabato e
domenica. Invito i cittadini ad assistere dai palchi al nostro lavoro». Non
dico che si sarebbero guadagnati la rielezione, ma uno sconto del venti per
cento sulle pernacchie sì. Così invece niente, neanche la mancia.
Nessun commento:
Posta un commento