mercoledì 14 novembre 2012

Format tv con politici: talk e modello Sky


Trattando di format. Tralasciando considerazioni politiche già espresse ieri.
E’ ovvio che il format di Sky non sostituisca nessun altro. Si aggiunge ad altri. Rispetto a ciò che mediamente offre la tv, la caratteristica che lo distingue è il limite nel tempo a disposizione nelle risposte.
Personalmente, voglio sentire concetti espressi in modi e tempi ragionevoli. Per rispondere a certe domande, un minuto è anche troppo. Per rispondere ad altre è insufficiente. E fuorviante.
Mi pare però che quando si valutano certi format, si faccia lo stesso grossolano errore di quando ci si occupa di riforma elettorale. Non c’è schema di riforma elettorale che sostituisce la qualità della persona. Che è l’ingrediente principale. Se applichiamo il concetto ai format: l’ingrediente principale è l’intervistato. Ma anche l’intervistatore.

E, allora, partiamo dal presupposto che se stiamo assistendo a domande e risposte, chi chiede dev’essere preparato sul suo interlocutore, dev’essere indipendente, dotato di senso critico, veloce nell’assimilare e pronto a controbattere. Senza interruzioni irritanti e cafone. L’entrata giusta al momento giusta. Senza fare fallo, ma contrapponendosi all’avversario per impedirci che ci freghi andando in gol (fuori dalla metafora: raccontare balle, eludere..).
L’intervistato deve avere modo e tempo per esprimere opinioni, rispondere alle osservazioni. Sono bandite le sbrodolate inutili dei politici, sono banditi gli slogan perché l’intervistatore ti marca stretto.
Non mi pare che la tv italiana abbondi di questo genere di relazioni intervistato-intervistatore. Non certo Michele Santoro. Il numero uno di un format televisivo con il “vezzo” di stabilire le risposte che devono arrivare; in assenza: scatta il suo lato arrogante. Irritante da vedere e ascoltare.

Vi è da dire che da quando fa ‘Servizio Pubblico’ ha un po’ regolato questo vezzo. Ne ha un altro…. Che trovo accettabile. Al momento tralascio di specificare. Ci tornerò prossimamente (forse..).

E’ vero che il format Sky non ammazza i talk. Si stanno ammazzando da soli. Perché gli ospiti sono quella classica politica di morti viventi che ama sbrodolare in tv. Perché le sovrapposizioni di voci sono la costante.
Perché l’interruzione dell’intervistatore è spesso irritante anziché la giusta entrata incisiva. Perché, in sostanza, a parte sporadiche eccezioni, seguire ciò che dicono non serve a nulla. E la gente ha bisogno di guardare qualcosa di più accattivante o divertente.
Ma a Sky non c’era certo una rappresentanza di classe politica diversa da quella dei talk show della Rai.  Certa “materia prima” era identica. Ma l’effetto visivo e sonoro è stato diverso. Dovuto probabilmente a un genere finora assente nella tv italiana.
Se l’effetto è stato diverso non significa che – sostanzialmente – un format come quello di Sky sia diverso da un talk come ‘Che tempo che fa’.
Ovvio. La differenza sta nel limite temporale. Ma, con buona pace dei detrattori di Fabio Fazio (che ho criticato in alcune “interviste), le domande poste da Gianluca Semprini erano prevedibili. Come le sue.
Avevano una “maglia larga”. Come le sue.
Vale a dire: consentivano all’interlocutore, seppure il tempo a disposizione fosse minimalista, di esprimere la sua verità senza che altri gli si opponessero o se ne evidenziassero incoerenze e contraddizioni. Che è quello che alcuni imputano a Fazio: di non “braccare” l’interlocutore.
Il bravo Semprini, in realtà, ha anche avuto la prontezza di controbattere immediatamente ad alcune risposte. Ovviamente, poiché il tempo a disposizione per rispondere era pochissimo non era pensabile che l’intervistatore “entrasse” ogni volta nel minuto e poco più di risposta o replicasse al termine. Che è quello che Travaglio si aspetta nell’interazione tra intervistato e intervistatore.
Da questo punto di vista, Fazio o altro conduttore di talk ha modo e tempo per essere incisivo, per porre obiezioni, per sottoporre altre domande. Tutto allo scopo di fare informazione.
Talk o confronto tipo all’americana (più efficace e spettacolare se gli intervistati sono due e non cinque), le domande fatte in un format non erano così diverse da quelle fatte in altro format. Il vantaggio di Fazio – che Semprini non può avere per il limite temporale imposto – è che il conduttore del talk ‘Che tempo che fa’ ha modo e tempo di dimostrare un’interazione con i suoi interlocutori più ricca di contenuti e maggiormente critica. Ed è su questo che, oggettivamente, va valutato.

Quanto sopra, non fa però che confermare quanto scrivevo all’inizio: è la qualità dell’intervistato e dell’intervistatore che fa il programma. Più del format.
E se c’è un format che non abbonda in tv - con l’eccezione di ‘Otto e mezzo’ che ne ha alcune caratteristiche – è proprio questo: un faccia a faccia tra giornalista o conduttore preparato sull’interlocutore, indipendente, dotato di senso critico, abile nel domandare e veloce nell’assimilare la risposta per passare a obiezioni, scovare contraddizioni e prese per il culo. Se l’intervistato sarà capace di trasmettere contenuti: bene. Contrariamente, noi spettatori avremo gli elementi per capire con chi abbiamo a che fare. E la rete che trasmette avrà fatto tv. Di quella che si segue. Che non ci annoia o non ci rompe i coglioni. Quella in cui il contenuto è l’ingrediente principale e il format solo…forma. Perché se qualcuno pensa che l’informazione politica, sui politici, si faccia con il format di Sky, o non capisce un organo sessuale maschile o prende per il sedere. Ma se qualcuno pensa che l’informazione passi tramite talk alla ‘Ballarò o all’interno di ‘Che tempo che fa’ o ‘Servizio Pubblico’, idem. Perché ciò che conta è il tipo di conduzione e di relazione tra interlocutori. Un minuto è troppo corto per trattare certi argomenti, un quarto d’ora troppo lungo se l’intervistato è privo di contenuti o incapace di trasmetterli. Tempi maggiori, non proporzionati per ospiti e argomenti, e senza un rapporto paritario (quello che Santoro non consente quando non gli arrivano le risposte che attende) rischia di annoiare. E si cambia canale. Si smette di seguire un programma.

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