Trattando di format. Tralasciando
considerazioni politiche già espresse ieri.
E’ ovvio che il format di Sky non
sostituisca nessun altro. Si aggiunge ad altri. Rispetto a ciò che mediamente offre
la tv, la caratteristica che lo distingue è il limite nel tempo a disposizione
nelle risposte.
Personalmente, voglio sentire concetti
espressi in modi e tempi ragionevoli. Per rispondere a certe domande, un minuto
è anche troppo. Per rispondere ad altre è insufficiente. E fuorviante.
Mi pare però che quando si valutano certi format, si faccia lo stesso grossolano errore di quando ci
si occupa di riforma elettorale. Non
c’è schema di riforma elettorale che sostituisce la qualità della persona. Che è l’ingrediente principale. Se applichiamo il concetto ai format: l’ingrediente
principale è l’intervistato. Ma anche l’intervistatore.
E, allora, partiamo dal presupposto che se
stiamo assistendo a domande e risposte, chi
chiede dev’essere preparato sul suo interlocutore, dev’essere indipendente,
dotato di senso critico, veloce nell’assimilare e pronto a controbattere. Senza
interruzioni irritanti e cafone. L’entrata giusta al momento giusta. Senza fare
fallo, ma contrapponendosi all’avversario per impedirci che ci freghi andando
in gol (fuori dalla metafora: raccontare balle, eludere..).
L’intervistato
deve
avere modo e tempo per esprimere opinioni, rispondere alle osservazioni. Sono bandite le sbrodolate inutili dei politici, sono banditi gli slogan perché l’intervistatore
ti marca stretto.
Non
mi pare che la tv italiana abbondi di questo genere di relazioni
intervistato-intervistatore. Non certo Michele
Santoro. Il numero uno di un format televisivo con il “vezzo” di stabilire le risposte che devono arrivare; in assenza: scatta
il suo lato arrogante. Irritante da vedere e ascoltare.
Vi è da dire che da quando fa ‘Servizio
Pubblico’ ha un po’ regolato questo vezzo. Ne ha un altro…. Che trovo
accettabile. Al momento tralascio di specificare. Ci tornerò prossimamente
(forse..).
E’ vero che il format Sky non ammazza i talk.
Si stanno ammazzando da soli. Perché
gli ospiti sono quella classica politica di morti viventi che ama sbrodolare in
tv. Perché le sovrapposizioni di voci sono la costante.
Perché l’interruzione dell’intervistatore è
spesso irritante anziché la giusta entrata incisiva. Perché, in sostanza, a
parte sporadiche eccezioni, seguire ciò che dicono non serve a nulla. E la gente
ha bisogno di guardare qualcosa di più accattivante o divertente.
Ma a Sky non c’era certo una rappresentanza
di classe politica diversa da quella dei talk show della Rai. Certa “materia prima” era identica. Ma l’effetto
visivo e sonoro è stato diverso. Dovuto probabilmente a un genere finora
assente nella tv italiana.
Se l’effetto è stato diverso non significa
che – sostanzialmente – un format come quello di Sky sia diverso da un talk
come ‘Che tempo che fa’.
Ovvio. La differenza sta nel limite
temporale. Ma, con buona pace dei
detrattori di Fabio Fazio (che ho criticato in alcune “interviste), le
domande poste da Gianluca Semprini erano prevedibili. Come le sue.
Avevano una “maglia larga”. Come le sue.
Vale a dire: consentivano all’interlocutore,
seppure il tempo a disposizione fosse minimalista, di esprimere la sua verità
senza che altri gli si opponessero o se ne evidenziassero incoerenze e
contraddizioni. Che è quello che alcuni imputano a Fazio: di non “braccare” l’interlocutore.
Il bravo
Semprini, in realtà, ha anche avuto la prontezza di controbattere immediatamente
ad alcune risposte. Ovviamente, poiché il tempo a disposizione per rispondere
era pochissimo non era pensabile che l’intervistatore “entrasse” ogni volta nel
minuto e poco più di risposta o replicasse al termine. Che è quello che
Travaglio si aspetta nell’interazione tra intervistato e intervistatore.
Da questo punto di vista, Fazio o altro
conduttore di talk ha modo e tempo per essere incisivo, per porre obiezioni, per
sottoporre altre domande. Tutto allo scopo di fare informazione.
Talk o confronto tipo all’americana (più
efficace e spettacolare se gli intervistati sono due e non cinque), le domande
fatte in un format non erano così diverse da quelle fatte in altro format. Il
vantaggio di Fazio – che Semprini non può avere per il limite temporale imposto
– è che il conduttore del talk ‘Che
tempo che fa’ ha modo e tempo di dimostrare un’interazione con i suoi
interlocutori più ricca di contenuti e maggiormente critica. Ed è su questo
che, oggettivamente, va valutato.
Quanto sopra, non fa però che confermare quanto scrivevo all’inizio:
è la qualità dell’intervistato e dell’intervistatore
che fa il programma. Più del format.
E se c’è un format che non abbonda in tv -
con l’eccezione di ‘Otto e mezzo’ che ne ha alcune caratteristiche – è proprio
questo: un faccia a faccia tra giornalista
o conduttore preparato sull’interlocutore, indipendente, dotato di senso
critico, abile nel domandare e veloce nell’assimilare la risposta per passare a
obiezioni, scovare contraddizioni e prese per il culo. Se l’intervistato sarà
capace di trasmettere contenuti: bene. Contrariamente, noi spettatori avremo gli
elementi per capire con chi abbiamo a che fare. E la rete che trasmette avrà
fatto tv. Di quella che si segue. Che non ci annoia o non ci rompe i coglioni.
Quella in cui il contenuto è l’ingrediente principale e il format solo…forma. Perché
se qualcuno pensa che l’informazione politica, sui politici, si faccia con il
format di Sky, o non capisce un organo sessuale maschile o prende per il
sedere. Ma se qualcuno pensa che l’informazione passi tramite talk alla ‘Ballarò
o all’interno di ‘Che tempo che fa’ o ‘Servizio Pubblico’, idem. Perché ciò che
conta è il tipo di conduzione e di relazione tra interlocutori. Un minuto è
troppo corto per trattare certi argomenti, un quarto d’ora troppo lungo se l’intervistato
è privo di contenuti o incapace di trasmetterli. Tempi maggiori, non
proporzionati per ospiti e argomenti, e senza un rapporto paritario (quello che
Santoro non consente quando non gli arrivano le risposte che attende) rischia
di annoiare. E si cambia canale. Si smette di seguire un programma.
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