mercoledì 14 novembre 2012

Carlo Maria Martini: Le età della vita / 2


Dialogando insieme


Raccontare la Bibbia ai piccoli non è un’impresa facile. Ammiro molto i catechisti che riescono a farlo con competenza e amore: parlare ai bambini significa saper ritornare bambini, entrare nel loro mondo, acquisire il loro linguaggio. Per un genitore forse è naturale; li si concepisce, li si sente vivere già nel grembo, li si vede nascere, crescere, mettere i dentini, fare i primi passi, elargire grandi e contagiosi sorrisi. Per me, per un vescovo che non ha consuetudine con loro se non per qualche tenero abbraccio, passare per la porticina della loro vita appena sbocciata e comunicare la bellezza delle cose che da sempre mi stanno più a cuore è un tentativo audace. Sono ormai passati ottantatrè anni da quando sono nato; sono stato bambino anch’io, ma ho trascorso gran parte della mia vita nel mondo accademico, e poi a «pilotare una macchina» grande e complessa come la diocesi di Milano. Per quanto abbia sempre sentito con forza le esigenze, le necessità e le urgenze che si impongono sul piano educativo, avevo l’idea che occorresse parlare ai grandi come se fossero piccoli e così, con i piccoli, avrebbero capito anche i grandi. Non avevo però mai provato a «sedermi» nella stanza dei giochi con loro. Lo faccio ora, nel «tempo della canizie», una sorta di sfida alle stratificazioni di esperienze che mi si sono accumulate nel cuore. Lo faccio cominciando con una preghiera: «E ora nella vecchiaia e nella canizie, Dio, non abbandonarmi, finché io annunzi la tua potenza, a tutte le generazioni le tue meraviglie» (Sal 70[71],1).

[..] La proposta delle seguenti meditazioni mi è venuta da amici e per amicizia; così ho provato a «fare il nonno» e a consegnare le storie che sono la sostanza della
mia vita ai bambini: per un uomo della mia età sono gli eredi. Un tempo i valori più grandi e belli si tramandavano proprio tessendo racconti intorno al fuoco. La vita si faceva storia e la storia tornava a essere vita, nella vita dei più piccoli. Qualsiasi cosa ne dicano i promotori dell’universo mediatico e gli incantatori del mondo virtuale, penso che sedersi accanto al grande cuore di un piccolo uomo con la Parola aperta sulle ginocchia, e magari cominciando dicendo «c’era una volta», sia ancora valido.
Raccontare il Vangelo significa raccogliere le verità immutabili del passato, fugare i dubbi e le fatiche del presente e illuminare di speranza il futuro. Ciò che di prezioso verrà messo nel grande cuore di un piccolo uomo farà di lui un grande uomo con il cuore di un bambino.
Ho scritto con questo augurio alcune lettere. La parola di Dio mi ha guidato nella scelta dei valori che ritengo sia indispensabile consegnare alle nuove generazioni, nel tentativo di dire loro qualcosa sul perdono, sull’amicizia, sulla lealtà e sulla preghiera, con la speranza di aiutarli a crescere più forti e felici.

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