I
due messaggi di Netanyahu
di Vittorio
Emanuele Parsi
Netanyahu ha cominciato alla sua maniera la
campagna elettorale per le legislative, facendo assassinare il capo militare
del partito-milizia di Hamas, a Gaza, con una serie di bombardamenti che hanno
ucciso almeno 7 innocenti civili palestinesi oltre ad Ahmad Jaabari e a suo
figlio (altrettanto innocente).
Con questa decisione, il premier di Tel
Aviv ha anche recapitato un messaggio al presidente degli Stati Uniti
sinistramente analogo a quello inviato esattamente quattro anni fa con
l’operazione «piombo fuso», ovvero l’attacco violentissimo contro la Striscia
di Gaza, che causò oltre 1200 morti tra i palestinesi. I bombardamenti sono
stati presentati come rappresaglia per gli attacchi contro le forze armate
israeliane compiuti nelle scorse settimane da parte dei miliziani al comando di
Jaabari e per il lancio di una cinquantina di razzi Qassam verso il territorio
israeliano, che nelle scorse ore si era fatto più intenso, pur senza aver provocato
morti tra la popolazione. È da escludere che quanto accaduto ieri non abbia
serie ripercussioni sulla regione e non c’è da dubitare che, al di là delle
dichiarazioni con cui si cerca di non criticare troppo apertamente i raid
israeliani, a Washington regni perlomeno il disappunto. La scelta del momento
per una simile azione – che comunque non trova nessuna giustificazione legale –
apparentemente non poteva essere più infelice. O forse è meglio dire
«rivelatrice» delle vere intenzioni che hanno mosso Netanyahu: ottenere un
successo propagandistico
ad uso interno e contemporaneamente contribuire a
radicalizzare il quadro regionale, così da provocare quell’effetto di rally
’round the flag sul quale il premier israeliano conta per rendere ancora più difficoltoso
il formarsi di una coalizione elettorale nel litigioso fronte della sua
opposizione politica. La rivelazione, subito diffusa dalle autorità militari
israeliane, che Ahmad Jaabari era stato «il carceriere del caporale Shalit» (il
militare israeliano detenuto per sei anni da Hamas e poi rilasciato in cambio
di un migliaio di prigionieri palestinesi) è volta a dimostrare la
determinazione del primo ministro, che si staglia con ancora maggiore forza
sull’immagine del profilo timido ed emaciato del coscritto Shalit, la cui
vicenda aveva creato un movimento di forte e insieme tenera coesione
nell’opinione pubblica israeliana e in larga parte di quella occidentale.
Evidentemente, una rappresaglia così
violenta in questo momento, rende il quadro regionale ancora più teso, come se
non bastasse la guerra civile siriana con il rischio che essa contagi il Libano
e intacchi il già precario equilibrio giordano. Ed è appena il caso di
accennare al fatto che l’omicidio di 9 persone a Gaza non potrà che costringere
lo stesso Morsi ad assumere una posizione molto dura nei confronti del governo
di Tel Aviv. Si tratta cioè di un vero e proprio regalo fatto alla componente
più radicale dei Fratelli Musulmani (di cui Hamas è una lontana filiazione) e
dei salafiti. Tutto questo proprio nel momento in cui il presidente Obama
sembrava intenzionato a proseguire nella coraggiosa e cauta apertura di credito
verso il regime egiziano, proprio allo scopo di concorrere alla stabilizzazione
dell’intera regione. La cosa più triste, pensando alla tradizione democratica
di Israele e alla straordinaria levatura morale di tanti dei suoi
intellettuali, è dover prevedere che questo attacco sarà probabilmente
interpretato dalle opinioni pubbliche arabe come una risposta indiretta alle
«primavere» di questi due anni. Il fatto, sottolineato da tutti i commentatori,
che esse avessero sostanzialmente disertato i più consueti «luoghi» dell’odio
anti-israeliano, rischia di diventare solo un ricordo. E l’onda lunga della
rabbia rivoluzionaria domestica potrebbe saldarsi con quella antica
dell’esasperazione per l’umiliante e sistematica violazione dei diritti del
popolo palestinese. Il rischio è che ne nasca un vero tsunami regionale, capace
di far ritrovare gli Stati Uniti invischiati in un conflitto che non vogliono e
che il presidente Obama si era ripromesso di contribuire a disinnescare nel
corso del suo secondo mandato.
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