da: la Repubblica
Ne primi secondi dello streaming dalla Sala
del Cavaliere di Montecitorio, una commessa in divisa è passata davanti alla
videocamera e poi le ha dato le spalle e si è chinata a posare due bicchierisul
tavolo. La sua inconsapevole o comunque involontaria passerella ha detto subito
con chiarezza da quale posizione avremmo assistito a dieci minuti di
irresistibile vacuità: è la posizione di chi spia dal buco della serratura.
L’immagine era di qualità bassa, tanto quanto era magniloquente la scenografia:
arredi e quadri pomposi, una bandiera europea, un tavolo lungo il cui asse tre
persone stavano sedute a sinistra, quattro a destra. Nessuna di loro era una
donna. Visione sfocata, audio approssimativo, punto fisso di osservazione,
dettagli inessenziali e imbarazzanti in primo piano, sensazione di perdersi
quanto di realmente importante sta succedendo. È appunto quel che succede
spesso, spiando e origliando.
Lo streaming non è che uno dei più
aggiornati dispositivi che la tecnologia offre alla nostra stremata curiosità.
Sono svariati, e spesso li confondiamo tra loro. La scorsa settimana, alla fine
della campagna per le regionali sarde, la candidata Michela Murgia ha
pronunciato una frase quando, plausibilmente, pensava che il suo microfono
fosse spento. Era acceso e la frase è andata in
onda. Ebbene, nel riprenderla,
tutte le cronache hanno parlato, a sproposito, di un «fuori onda». Non è
capitato solo per sciatteria lessicale, ma anche per il confuso accumularsi di
occasioni in cui sentire voci dal sen fuggite, dichiarazioni estorte,
comunicazioni riservate che non lo sono più. L’ormai anziana fattispecie del
«retroscena» giornalistico (con il cronista parlamentare che si apposta sino
alle toilette parlamentari per carpire segreti) si è evoluta: streaming,
fuorionda, candid camera, intercettazioni lecite e illecite, teppismi
telefonici, agguati di troupe, microspie, registrazioni di conversazioni,
interviste a bruciapelo e a inconscio aperto, labioletture, biglietti
fotografati a Montecitorio con lo zoom… Tutti buchi della serratura da cui
sembriamo tanto golosi di vedere finalmente come stanno le cose.
Non importa quanto ogni singolo
protagonista di queste comunicazioni sappia di esserne coinvolto o addirittura
lo desideri. Il tratto unificante della categoria consiste nella rappresentazione
di un disvelamento: ecco cosa pensa davvero il ministro, ecco quanto è
ignorante il sottosegretario, ecco cosa si dicono i due avversari mentre
inciuciano. Ecco le parole, i modi di dire, i segreti.
Tra vedere (o addirittura sapere) e capire
c’è una bella differenza. In una democrazia da decenni trafitta da misteri
lancinanti e rapporti occulti dovremmo essere oramai abituati all’idea che la
verità è un foglio bianco e il centro del potere è un luogo vuoto. Pietro Nenni
entrò nella stanza dei bottoni, e non c’erano bottoni. Alla sua prima ascesa al
ministero degli Interni Roberto Maroni promise di svuotare gli armadi ma nulla
se ne seppe. Con la cerimonia dello streaming si è scoperto che a essere vuota
non è solo la Cosa in sé, ma anche la sua rappresentazione, o messinscena. La
solennità dell’incontro a Montecitorio, l’ambientazione pomposa, la forzata
cortesia esteriore all’inizio e alla fine dell’incontro non hanno fatto che
sottolineare quello che le parole dei protagonisti certificano. Non c’è proprio
nulla da vedere e ascoltare, più di quello che sappiamo già, per la sua sia
pure non ottica evidenza.
Presentato come il massimo della
comunicazione possibile, lo streaming ne totalizza il minimo, tendente a zero.
Nel caso specifico non sono volate volgarità verbali; si è avvertita una strana
complicità almeno esteriore: si sono dati subito del «tu», hanno riso alle
battute reciproche, hanno punteggiato gli interventi dell’altro con intercalari
semi-ironici («benissimo», «d’accordo») nella fretta di strappare di nuovo la
parola. Il vero gioco era a chi riusciva a farla dire più grossa all’altro
(«No, non sono democratico, con uno come te») e per vincerlo si sono evocati
fantasmi comunicativi dal passo sempre più strascicato: le «banche», il «sistema
marcio», il «dolore vero della gente».
Ma se lo streaming è svelamento dobbiamo
concludere che quella è la realtà dello scontro politico, fuori dalla finzione
dei rituali? Al contrario, il mancato dialogo fra Renzi e Grillo sottolinea
l’intervenuta incapacità di ogni elaborazione simbolica del reale da parte
della politica. Non aveva buco della serratura la porta dietro a cui Renzi
aveva da poco incontrato a tu per tu Berlusconi, per cinque minuti che sono
perfettamente simmetrici ai dieci che avrebbe passato con Grillo. Di questi
ultimi resta l’umorismo come un sintomo nevrotico. Beppe e Matteo si sono fatti
ridere a vicenda («Ti è piaciuta?», «Questa è bella!»), ognuno ha garantito di
non restare offeso per le prese in giro, hanno poi coniato hashtag spiritosi
per continuare a sfottersi. Il linguaggio su cui si intendono è l’umorismo.
Dasvelare quel buco della serratura aveva poco altro.
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