Litigi
& Scissioni, fine della diversità grillina
Correnti,
faide interne e cavilli regolamentari. Al Senato la resa dei conti: «Siamo
stravolti»
di Marco
Fattorini e Marco Sarti
Correnti, scissioni, faide interne e
minoranze che promettono battaglia. C’era una volta il grillismo. Oggi il
Movimento Cinque Stelle scopre di essere un partito a tutti gli effetti. A far
deflagrare lo psicodramma collettivo è l’espulsione di quattro senatori. «Dopo
svariate segnalazioni dal territorio di ragazzi, di attivisti, che dicevano che
Battista, Bocchino, Campanella e Orellana si vedevano poco e male - scrive
Beppe Grillo sul suo blog - i parlamentari del M5S hanno fatto un’assemblea
congiunta decidendo l’espulsione dei suddetti senatori». Alle 19 di ieri gli
iscritti al Movimento hanno votato in Rete e deciso l’espulsione di tutti e
quattro i senatori: 29.883 sì contro 13.485 no.
Intanto il M5S si scopre partito. Attorno
ai quattro dissidenti si coalizza una corrente di critici. Sul tavolo vengono
messe le dimissioni di altri sei parlamentari. Nel pomeriggio i senatori
pentastellati si incontrano nell’aula della commissione Esteri di Palazzo
Madama per fare il punto della situazione. Le urla
e gli insulti si sentono
fuori dalla sala. Si impugnano i cavilli e sono in molti a chiedere di
invalidare l’assemblea congiunta di martedì sera: da regolamento la procedura
prevede un primo passaggio tra i senatori, che invece non c’è stato. Le voci di
corridoio e i retroscena giornalistici impazzano. I dieci senatori sarebbero
pronti a formare un nuovo gruppo con i civatiani, magari persino a sostenere il
governo Renzi. Uno dei parlamentari al centro del caso, Francesco Campanella,
viene accusato di aver già pronto il logo e il nome di un nuovo movimento. In
tanti studiano le procedure per formare una nuova formazione al Senato. Poi si
apprenderà che quasi tutti sono orientati a rassegnare le dimissioni. Le accuse
si sprecano, rigorosamente a mezzo stampa: «Fascisti», «Traditori». I toni sono
drammatici, come ogni scissione che si rispetti.
Al centro non ci sono solo le intemerate
dei quattro aperturisti, rei di aver criticato pubblicamente la performance di
Grillo durante il faccia a faccia con Renzi. Dal merito al metodo, il fardello
stellato segna questioni legate a regole, confronto e democrazia interna
coinvolgendo anche chi dissidente non è mai stato. E non è un caso che
nell’assemblea congiunta dei parlamentari M5s per decidere il destino dei
quattro incriminati, la maggioranza dei senatori abbia votato contro
l’espulsione: «Solo quindici di noi hanno detto sì». Anche ortodossi
insospettabili come Alberto Airola ed Elisa Bulgarelli si sono opposti
all’epurazione, mentre i ragazzi della Camera continuavano a sparare ad alzo
zero.
«I dissidenti buttano badilate di fango sul
resto del gruppo», racconta Giulia Di Vita. E con lei marciano i pasdaran di
Montecitorio, che vogliono cogliere l’occasione per «fare pulizia e continuare
la nostra battaglia in santa pace». Per dirla con le parole di Giorgio Sorial,
«è l’ufficializzazione di una situazione logorante che va avanti da mesi». C'è
chi parla di «scrematura necessaria», mentre da Manlio Di Stefano a Roberta
Lombardi trionfa la metafora guerrafondaia per spiegare la strategia del
Movimento con il governo Renzi. «Meno siamo meglio stiamo, dobbiamo essere più
compatti e combattere finalmente senza spine nel fianco», che poi è
l'interpretazione autentica del dettato di Beppe Grillo.
Intanto il fronte interno si allarga.
Sempre più parlamentari rompono il silenzio e scendono in campo al fianco dei
colleghi «accusati per reati di opinione, o peggio di lesa maestà nei confronti
di Grillo». Alessio Tacconi chiede di essere considerato «il quinto», mentre il
deputato Tancredi Turco attacca: «C’è qualcuno che ha più potere di altri alla
faccia dell’uno che vale uno, chiunque piscia un centimetro fuori dal vaso è
bollato come dissidente». E ancora: «Ci lamentiamo della Boldrini e ora noi
vogliamo mettere la ghigliottina ad alcuni di noi che vogliono dire il loro
pensiero». «Sono peggio dei fascisti» si lamenta una senatrice dissidente.
Maurizio Romani, uno dei parlamentari che ha annunciato le dimissioni, attacca:
«Sono convinto che espellere ed epurare siano metodi antidemocratici e
assolutamente inefficaci a farci ottenere quel cambiamento che i cittadini si
aspettano da noi». Giusto. Eppure, spiegano tanti altri, le espulsioni saranno
decise in Rete, dagli attivisti. Giusto o sbagliato, fascista o meno, nel M5S
si è sempre fatto così.
In realtà alla Camera il disagio sembra più
contenuto. Nel gruppo di Montecitorio non mancano i dissidenti, ma la scissione
per ora è lontana. È una questione di numeri, soprattutto: per formare un
gruppo autonomo servono almeno venti deputati. Ma anche di gestione del lavoro:
«Qui tutti i parlamentari sono stati sempre coinvolti nelle decisioni. Tutti
hanno pieno diritto di parola». Diversa la scena a Palazzo Madama. Il Senato è
una polveriera. Nel corso dell'assemblea convocata nel primo pomeriggio si
sostanzia una guerra tra parenti serpenti dove vincono nervi tesi, urla e
lacrime. Gli ortodossi tengono la linea, qualcuno media e altri si disperano:
«Siamo stravolti, qui ci abbiamo messo la nostra vita». Quello che fino a
qualche mese fa era un gruppo tendenzialmente omogeneo adesso rischia di
saltare, e con esso i rapporti umani dei protagonisti. Laura Bignami, Maria
Mussini, Maurizio Romani e Alessandra Bencini, Cristina De Pietro e Monica
Casaletto mettono sul tavolo le dimissioni da parlamentari, gesto fortissimo
«ma anche una scelta di libertà estrema». Altri ancora sarebbero pronti a
mollare la compagine pentastellata in segno di protesta: qualcuno pensa a dire
addio al Senato, altri fanno i conti per traslocare nel gruppo misto.
I numeri per una nuova formazione
parlamentare ci sono. A prescindere dalla votazione online Luis Orellana
ammette: «Non sappiamo se rimanere, dobbiamo pensarci». Poi nel tardo
pomeriggio annuncia, come Lorenzo Battista e gli altri colleghi, le dimissioni
dalla carica di senatore. Troppi i meccanismi incrinati e i rapporti andati in
frantumi nella maratona delle ultime settimane. C’è un gruppo che ormai non si
sente rappresentato né garantito dai diarchi Grillo e Casaleggio. Un gruppo che
si muove da corrente interna e chiede che «pure gli intransigenti comincino una
riflessione».
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