da: Corriere della Sera
Il
mercato nero delle lezioni private
di Lorenzo
Salvia
Professore uguale evasore. O quasi. Sono 9
su 10 infatti gli insegnanti che danno lezioni private senza ricevuta. Il dato
è dell’istituto di ricerca Eures, che colloca i docenti al primo posto tra le
categorie che operano in nero. Di fare i conti all’industria delle ripetizioni
si incaricano invece i consumatori del Codacons: fatturerebbe 850 milioni di
euro. Il meccanismo dei voucher prepagati che i genitori dovrebbero fornire ai
professori è praticamente ignorato.
D’accordo, siamo il Paese dall’evasione fiscale.
Al primo posto in Europa in tutte le sue varianti, da quella in grande stile
nei paradisi off shore a quella di piccolo cabotaggio con lo scontrino che non
c’è. Eppure. Qualche mese fa l’istituto di ricerca Eures si è preso la briga di
confrontare la percentuale di evasione tra le diverse categorie di lavoratori.
Ed è venuto fuori che in cima alla classifica ci sono proprio loro, i
professori: nove volte su dieci le ripetizioni che danno agli studenti sono
senza ricevuta. Amanti del nero persino più degli idraulici. Un dato senza
dubbio non «scientifico», perché tutto ciò che è sommerso sfugge per
forza di
cose ad ogni misurazione. Come «non scientifici» sono gli 850 milioni di euro
che l’industria delle ripetizioni fatturerebbe ogni anno, secondo l’associazione
dei consumatori Codacons. Lo stesso giro d’affari che ha nel nostro Paese il
settore dell’olio d’oliva, tanto per farsi un’idea.
Un’esagerazione? Forse, ma
il problema esiste e finora nessuno è riuscito a risolverlo.
In teoria ci sarebbe il meccanismo
dei voucher, i buoni lavoro prepagati che dal 2012 possono essere utilizzati
per saldare (regolarmente) i cosiddetti lavoretti. Quasi nessuno lo sa ma anche
le ripetizioni rientrano in questa categoria. Sono i datori di lavoro, cioè i
genitori, che li devono comprare nelle sedi Inps o nelle tabaccherie per poi
girarli agli insegnanti. Nei dieci euro di un buono sono compresi i contributi
a carico dell’Inps e dell’Inail, cioè pensione e assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro. Ma non le tasse, che in questo caso non vanno pagate.
Anche perché per l’utilizzo dei buoni c’è un tetto di 5 mila euro l’anno per
singolo lavoratore. In ogni caso, nella scuola nessuno li usa.
In teoria ci sarebbe un’altra
strada. Nel 2007, quando si tornò ai vecchi esami di riparazione, l’allora
ministro Giuseppe Fioroni aveva previsto che fossero le stesse scuole ad
organizzare, gratuitamente, i corsi per quei ragazzi che avevano bisogno di
recuperare debiti formativi. Ma la realtà è molto diversa dalle intenzioni e quei
corsi sono una rarità. Restiamo fedeli al fai da te, con i singoli insegnanti
che al pomeriggio danno ripetizioni nel tinello di casa. C’è chi si fa pagare
poco, chi troppo. Chi aiuta davvero gli studenti a recuperare il terreno
perduto, chi pensa più che altro ad arrotondare lo stipendio. Ma — tolta
qualche rarissima eccezione — l’intero settore fa parte integrante della nostra
gloriosa economia sommersa. Possibile che non si riesca a trovare una
soluzione?
Tempo
fa uno dei sindacati degli insegnanti, lo Snals Confsal, aveva proposto di estendere alla scuola il sistema dell’intra
moenia, oggi utilizzato dai medici che lavorano in ospedale. Le ripetizioni
verrebbero date dagli insegnanti direttamente a scuola, naturalmente non agli
studenti della propria classe ma incrociando le sezioni fra loro. Il prezzo
diventerebbe controllato. E la somma andrebbe divisa fra i professori che
decidono volontariamente di aderire, e che dovrebbero aggiungerla nella loro
dichiarazione dei redditi, e la scuola che avrebbe più costi dovendo allungare
l’orario di apertura. I soldi che il fisco otterrebbe in più potrebbero essere
trasformati in detrazioni per la famiglie, che potrebbero scaricare le
ripetizioni dalle tasse. Ipotesi tutta da costruire, quest’ultima, visto che
proprio gli sconti fiscali (i rimborsi che arrivano a luglio per le spese
mediche e il mutuo, per capirsi) potrebbero essere tagliati per il solito
problemino di far quadrare i conti pubblici e tenere buoni i controllori di
Bruxelles. L’idea resta, però. E qualche piccola sperimentazione c’è anche
stata.
Naturalmente
anche questo modello si accompagna a qualche rischio. L’intra moenia ha i suoi
problemi negli ospedali, dove la sovrapposizione fra pubblico e privato ha
portato qualche zona grigia. Probabilmente ne avrebbe anche nelle scuole. Ma
non sarebbe meglio che restare fermi davanti al buco nero di adesso?
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