da: Il Fatto Quotidiano
Siae,
Gino Paoli sulla copia privata: ignoranza o demagogia
In una lunga intervista sul Corriere.it, Gino
Paoli, Presidente della Società italiana autori ed editori torna
sulla questione dell’equo compenso da copia privata con la scusa di voler
far chiarezza e fugare i troppi equivoci, a suo dire, esistenti sul tema.
Gli equivoci in questione, secondo il
Maestro Paoli, sarebbero due ovvero quello di considerare l’equo compenso una
tassa e quello di imputarlo ai consumatori anziché ai produttori e
distributori di dispositivi e supporti di registrazione. Paoli non ha dubbi
nell’escludere che l’equo compenso sia una tassa e nel dichiarare che debbano
essere i produttori o i distributori a pagarlo senza riaddebitarlo poi ai
consumatori.
Sono dichiarazioni che lasciano senza
parole soprattutto in considerazione del fatto che a pronunciarle è il
Presidente della Siae, ovvero del soggetto al quale la legge sul diritto
d’autoreattribuisce – in regime di esclusiva – la raccolta dell’equo compenso
da copia privata. Entrambe le dichiarazioni, infatti, costituiscono
macroscopici errori, da matita blu e bocciatura, senza appello, in qualsiasi
esame di diritto d’autore.
Tanto per cominciare è circostanza pacifica
– chiarita, di recente, anche dai
giudici amministrativi – che l’equo compenso da copia
privata è una c.d. prestazione patrimoniale imposta ovvero un istituto del
diritto tributario delle cui vicende, tanto per intendersi, dovrebbe eventualmente
occuparsi la giustizia tributaria. Che poi si tratti di una prestazione
imposta di natura tributaria che ha l’obiettivo di indennizzare gli autori del
pregiudizio che soffrono quando i consumatori fanno una copia privata delle
loro opere, questo è un altro discorso.
Ma, ancor più grave, è l’errore nel quale
incorre il Maestro Paoli a proposito del soggetto tenuto al pagamento dell’equo
compenso.
Non c’è, infatti, ombra di dubbio che tale
soggetto, in linea di principio, debbano essere esclusivamente i consumatori
che effettuano una copia privata di un’opera legittimamente acquistata e che
solo in via del tutto eccezionale, l’ordinamento consente – per comodità e
stante la difficoltà di recuperare l’equo compenso da ogni consumatore – di
imporre l’obbligo di pagamento ai produttori e distributori di supporti e
dispositivi di registrazione a condizione, ovviamente, che questi ultimi siano
poi liberi di riaddebitare i relativi costi sui consumatori finali.
È un principio assolutamente pacifico nel diritto
dell’Unione Europea e, benché non necessario, chiarito al di là di ogni
ragionevole dubbio dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in una recente Sentenza.
Le dichiarazioni di Paoli possono, quindi,
avere due sole spiegazioni, entrambe preoccupanti: o il presidente della Siae
ed il suo staff ignora le regole del diritto d’autore o le conosce bene, ma
preferisce interpretarle a proprio uso e consumo per fare della facile
demagogia e provare a mettere i consumatori contro l’industria dei dispositivi e
supporti di registrazione.
In un caso e nell’altro, in tutta
franchezza, si tratta di dichiarazioni che meriterebbero un’immediata rettifica
anche perché la questione vale centinaia di milioni di euro ma, soprattutto,
rappresenta un’importante scelta politica di compromesso tra gli interessi
della cultura, quelli dell’industria high tech e, soprattutto, quelli dei
consumatori.
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