mercoledì 19 febbraio 2014

Luca Ciarrocca: I padroni del mondo /6

La carneficina

Se una banca ha «sofferenze», cioè perde su certi titoli o prodotti – come accadeva nel 2008 con i mutui immobiliari subprime in America -, grazie ai derivati «impacchetta» il passivo in altri titoli, sempre più complicati, sempre più lontani dall’oggetto originale, che vengono poi venduti e rivenduti decine di volte in giro per il mondo ad altre banche e altri soggetti finanziari, per cui l’effetto leva (leverage) sarà sempre tale che il primo emittente guadagna una montagna di soldi e quelli che arrivano ultimi non sanno nemmeno più cosa hanno comprato. Se però la catena di Sant’Antonio va in stallo e il giocattolo si rompe, tutti perdono. Insomma, una frode legalizzata che funziona finchè funziona, poi il castello di sabbia si sgretola all’improvviso, quando c’è più bisogno di liquidità, mentre i soldi non sono più disponibili. Questo è vero per i prodotti a leva, quando  anche una buona attività si deteriora in valore rapidamente e gli intermediari finanziari hanno bisogno di cedere titoli tutti insieme in un mercato non più liquido. Parte l’effetto domino, il panico, e un attimo dopo il sistema va in tilt sui
computer di 300.000 broker nelle sale trading delle banche globali: non ci sono compratori e ci si accorge che i valori erano taroccati; così accadde il 18 settembre 2008. Ecco per quale motivo i derivati sono allo stesso tempo causa ed effetto delle degenerazioni di quello che il sociologo Gallino chiama «finanzcapitalismo».
«Un incidente locale, tutto sommato circoscritto – spiega Gallino – rischiò nell’autunno del 2008 di portare al collasso l’economia mondiale. Indubbio che il rischio contagio, la degenerazione rapida dell’effetto domino in economie dove la finanza prevale sulla produzione e sul commercio, resta tra le principali cause della fragilità sistemica del capitalismo finanziario, soprattutto per l’eccessivo effetto leva utilizzato dalle grande banche globali.»
Lo hanno fatto approfittando della licenza concessa loro dalla legge di non iscrivere a bilancio volumi enormi di derivati. Quando un’istituzione finanziaria ha debiti pari a 30-40 volte il proprio capitale, oppure controlla una piramide di società detenendone in tutto solamente l’1 o il 2 per cento del capitale complessivo, basta una richiesta di rimborso di una certa consistenza da parte di un prestatore, o il fallimento di una delle componenti della piramide, per obbligare l’ente stesso a chiedere immediatamente un grosso prestito a un terzo; ma se questo si trova a sua volta in una situazione analoga, l’intero sistema entra in fibrillazione.
I mercati finanziari globali dunque sono oggi inondati da centinaia di migliaia di miliardi di derivati, gli stessi strumenti che hanno giocato un ruolo centrale nella crisi globale del 2008, per via del loro brutale effetto moltiplicatore che ha amplificato la magnitudo della carneficina. Ci sono stati contratti che hanno causato perdite totali dieci volte maggiori rispetto alla valutazione iniziale: 100 milioni di dollari sono diventati 1 miliardo. Il problema è che può accadere di nuovo, in qualsiasi momento.
Questi prodotti servono alla finanza per aumentare la liquidità del sistema, ma vanno regolati con fermezza; non è più possibile avere uno squilibrio con una quantità di derivati in circolazione pari a dieci volte il Pil mondiale. E necessario definire regole di sicurezza senza demonizzare i derivati in blocco, ma eliminando la componente più propriamente speculativa di questi processi.
La mancanza di controlli efficaci è dovuta anche al fatto che controllore e controllati appartengono alla stessa casta, cioè al sistema bancario. E’ un tavolo del casinò truccato, dove il banco vince sempre. La vera corruzione risiede nel fatto che, se la scommessa funziona, l’istituto di credito guadagna, in caso contrario, le perdite vengono socializzate. Un espediente diabolico di cui tutti noi ormai siamo vittime in prima persona, in quanto il nostro tenore di vita, si singoli e di paese, continua a calare.

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