La carneficina
Se
una banca ha «sofferenze», cioè perde su certi titoli o prodotti – come
accadeva nel 2008 con i mutui immobiliari subprime in America -, grazie ai
derivati «impacchetta» il passivo in altri titoli, sempre più complicati,
sempre più lontani dall’oggetto originale, che vengono poi venduti e rivenduti
decine di volte in giro per il mondo ad altre banche e altri soggetti finanziari,
per cui l’effetto leva (leverage)
sarà sempre tale che il primo emittente guadagna una montagna di soldi e quelli
che arrivano ultimi non sanno nemmeno più cosa hanno comprato. Se però la
catena di Sant’Antonio va in stallo e il giocattolo si rompe, tutti perdono.
Insomma, una frode legalizzata che funziona finchè funziona, poi il castello di
sabbia si sgretola all’improvviso, quando c’è più bisogno di liquidità, mentre
i soldi non sono più disponibili. Questo è vero per i prodotti a leva, quando anche una buona attività si deteriora in
valore rapidamente e gli intermediari finanziari hanno bisogno di cedere titoli
tutti insieme in un mercato non più liquido. Parte l’effetto domino, il panico,
e un attimo dopo il sistema va in tilt sui
computer di 300.000 broker nelle
sale trading delle banche globali: non ci sono compratori e ci si accorge che i
valori erano taroccati; così accadde il 18 settembre 2008. Ecco per quale
motivo i derivati sono allo stesso tempo causa ed effetto delle degenerazioni
di quello che il sociologo Gallino chiama «finanzcapitalismo».
«Un
incidente locale, tutto sommato circoscritto – spiega Gallino – rischiò
nell’autunno del 2008 di portare al collasso l’economia mondiale. Indubbio che
il rischio contagio, la degenerazione rapida dell’effetto domino in economie
dove la finanza prevale sulla produzione e sul commercio, resta tra le
principali cause della fragilità sistemica del capitalismo finanziario,
soprattutto per l’eccessivo effetto leva utilizzato dalle grande banche
globali.»
Lo
hanno fatto approfittando della licenza concessa loro dalla legge di non
iscrivere a bilancio volumi enormi di derivati. Quando un’istituzione
finanziaria ha debiti pari a 30-40 volte il proprio capitale, oppure controlla
una piramide di società detenendone in tutto solamente l’1 o il 2 per cento del
capitale complessivo, basta una richiesta di rimborso di una certa consistenza
da parte di un prestatore, o il fallimento di una delle componenti della
piramide, per obbligare l’ente stesso a chiedere immediatamente un grosso
prestito a un terzo; ma se questo si trova a sua volta in una situazione
analoga, l’intero sistema entra in fibrillazione.
I
mercati finanziari globali dunque sono oggi inondati da centinaia di migliaia
di miliardi di derivati, gli stessi strumenti che hanno giocato un ruolo
centrale nella crisi globale del 2008, per via del loro brutale effetto
moltiplicatore che ha amplificato la magnitudo della carneficina. Ci sono stati
contratti che hanno causato perdite totali dieci volte maggiori rispetto alla
valutazione iniziale: 100 milioni di dollari sono diventati 1 miliardo. Il
problema è che può accadere di nuovo, in qualsiasi momento.
Questi
prodotti servono alla finanza per aumentare la liquidità del sistema, ma vanno
regolati con fermezza; non è più possibile avere uno squilibrio con una
quantità di derivati in circolazione pari a dieci volte il Pil mondiale. E
necessario definire regole di sicurezza senza demonizzare i derivati in blocco,
ma eliminando la componente più propriamente speculativa di questi processi.
La
mancanza di controlli efficaci è dovuta anche al fatto che controllore e
controllati appartengono alla stessa casta, cioè al sistema bancario. E’ un
tavolo del casinò truccato, dove il banco vince sempre. La vera corruzione risiede
nel fatto che, se la scommessa funziona, l’istituto di credito guadagna, in
caso contrario, le perdite vengono socializzate. Un espediente diabolico di cui
tutti noi ormai siamo vittime in prima persona, in quanto il nostro tenore di
vita, si singoli e di paese, continua a calare.
Nessun commento:
Posta un commento