La
recensione: Noemi - “Made in London” (CD)
di Stefano
Bonagura
Adesso arriva questo quarto
album, “Made In London”, che segna sicuramente una tappa importante
per Noemi: ha 32 anni, l’età delle scelte, artistiche e no, che lei ha
descritto nelle note che accompagnano il disco, con la decisione di prendersi
più responsabilità, di scrivere, comporre, di scegliere i compagni di viaggio e
di lavoro, con l’obiettivo di cambiare qualcosa, di crescere, senza rinnegare
il percorso fatto finora.
Di questo (e di altro) le va concesso il
merito, perché è inutile continuare a dubitare, sempre e comunque, di
tutti quelli lanciati nell’universo dai talent musicali, “X
Factor”, “Amici”, “The Voice”, “Ti lascio una canzone”, “Io
canto”.
Bisogna avere la forza e il coraggio di
distinguere, che deriva dalla capacità di ascoltare, senza pregiudizi. Quando
ci sono delle qualità, si tratta di farle emergere: avere talento vuol dire
anche essere capaci di sfruttarle al meglio. Per un artista, è questione di
lucidità, umiltà, repertorio e collaboratori, perché da soli non si fa
nulla. Noemi già in passato ha mostrato abbastanza di cosa è capace:
avendola seguita dal vivo diverse volte, ho visto l’evoluzione, mi
sembra più
portata per i lenti, i tempi medi, brani nei quali distendere la voce,
interpretare con cura, vedi soprattutto“Briciole”, “L’amore si
odia”, “Vuoto a perdere”, “Sono solo parole”. Gusto personale, però
questi sono anche i suoi brani di più larga diffusione e successo, per cui non
sono proprio il solo...
In questi giorni Noemi viene data
tra i favoriti (con Renga) alla vittoria del prossimo Festival di Sanremo, dove
porterà due brani inclusi qui, “Bagnati dal sole” e “Un uomo è un albero”.
Due giorni dopo il debutto sanremese,
uscirà “Made In London”, album prodotto esecutivamente da Charlie
Rapino, che Noemi dice “mi ha permesso di conoscere e di lavorare con
gente veramente talentuosa e inserita nella realtà musicale londinese e nel
sound made in UK. Aver avuto la possibilità di collaborare con autori come Paul
Statham, Paul O’Duffy e Shelly Poole, con produttori inglesi tra cui Steve
Brown - appena nominato per i Brit Awards come miglior album di quest’anno con
Laura Mvula - e gli Electric - un duo di giovanissimi produttori di cui
sentirete parlare molto presto - è stata una bellissima esperienza”.
Ci sono anche collaboratori italiani: tre
autori, cui Noemi è affezionata, Diego Mancino e Luca
Chiaravalli (che hanno collaborato con lei alla stesura di due brani)
e Daniele Magro, senza dimenticare gli Italians.
Detto questo, un cappellone che serve
da premessa, arrivo dritto sparato alle conclusioni: l’evoluzione è evidente,
come la voglia di fare nuove esperienze, di avere un suono internazionale, meno
“chitarroso”, con ottimi missaggi (voce però abbastanza davanti,
italianamente), piacevoli sprazzi vocali black e la voce che spesso spinge.
Quello che dicevo sugli slow/mid-tempo è
evidente in “Passenger”, brano
in inglese, che senza essere travolgente è comunque uno dei brani migliori e
che all’inizio mi fa venire in mente addirittura Adele; la codina acustica
invece mi sembra un po’ appiccicata...
Molto
bello l’arrangiamento firmato
da Steve Brown per “Se
tu fossi qui”, di grandissimo impatto, coi cori, che contribuiscono
parecchio al risultato, nel brano più cantautorale di tutto il disco.“Don’t Get
Me Wrong” gira, lato più soul di Noemi, che lo sostiene bene vocalmente:
capace che funzioni!
Apprezzo “Un fiore in una scatola”,
l’arrangiamento, certe citazioni sonore di Kate Bush (il disegno
della batteria di “Running Up That Hill”, 1985).
Un disco
credibile, tostino, da ascoltare e rispettare, con alcuni spunti interessanti, per
capire chi è Noemi oggi. Sarà in tour tra aprile e maggio.
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