da: Il Fatto Quotidiano
Il governo delle facce nuove” (La Stampa).
“Più donne e giovani” (Corriere). “La nuova generazione”, “Le signore della
competenza” (la Repubblica). “I due partiti maggiori… stanno compiendo un atto
coraggioso. Sanno che per loro questa è l’ultima chiamata. Sanno che non
possono fallire” (Pigi Battista, Corriere). “Questa è l’ultima spiaggia della
Penisola: più in là c’è solo il mare in tempesta e un azzardo pericoloso…
L’Italia ha voglia di novità. È primavera: bisogna cambiare aria nelle stanze e
nel cervello” (Beppe Severgnini, Corriere). “L’Italia, paese considerato
gerontocratico, fa un salto in avanti inatteso e si colloca all’avanguardia in
Europa” (Aldo Cazzullo, Corriere). “Il risultato corrisponde pienamente
all’impegno preso… con una presenza femminile mai verificata prima… Se i fatti
corrisponderanno alle parole molte sofferenze saranno lenite e molte speranze
riaccese” (Eugenio Scalfari, Repubblica). Ecco, questi erano i commenti di
dieci mesi fa sul governo Letta.
Viceversa, ecco quelli sul Renzicchio.
“Giovani e donne: nasce il Renzi-1” (Sole-24 ore). “Un governo giovane e di
donne” (l’Unità). “Giovani e donne, il governo Renzi” (La Stampa). Negli
editoriali, oltre al concetto di ultima spiaggia già usati per Monti e Letta,
si nota lo sforzo sovrumano di rendere credibile l’excusatio
non petita di Sua
Altezza che rassicura: “con Renzi nessun braccio di ferro”. Come nella scena de
Il dormiglione, con Woody Allen e Diane Keaton che corrono per l’ospedale
dicendo “siamo dottori, non siamo impostori!”, così tutti capiscono che sono
impostori e cominciano a inseguirli. Solo che, nella stampa italiana, tutti si
bevono l’impostura, o almeno fanno finta. Napolitano ha “dissipato ogni
interpretazione maliziosa sul lungo colloquio con Renzi”, turibola Marcella
Ciarnelli dell’Unità. Ha “rimarcato la serenità del colloquio e il fatto che né
ieri né prima vi sia stato alcun ‘braccio di ferro’”, salmodia l’altra vestale
Antonella Rampino sulla Stampa.
Le tre ore di tortura nello studio della
Vetrata son cosa normale, anche perché Renzi ne ha approfittato per svolgere
“un lavoro parallelo”: non sapendo che fare, è salito al Quirinale tre ore
prima e ha sbrigato un pò di corrispondenza, poi “in un salottino attiguo ha
colmato le caselle che, a effetto-domino, si erano riaperte attorno alla
Giustizia”. Per il braccio di ferro su Gratteri? No, anzi, “non sapremo mai se
Renzi aveva inserito in quella casella il giudice Gratteri”: la verità – rivela
la Rampino – è che la “riconosciuta saggezza dell’argomentazione presidenziale”
ha posto una questione filosofica mica da ridere: “È opportuno un magistrato
per via Arenula, quando il governo ha in programma di riformare la giustizia?”.
No che non lo è. Purtroppo analoga saggezza il Monarca non manifestò con B. nel
2011, quando firmò senza batter ciglio la nomina a Guardasigilli del magistrato
Nitto Palma, che però aveva il merito di essere amico di Nick Cosentino (così
come fece nel ‘95 Scalfaro, nominando il giudice Filippo Mancuso nel governo
Dini). Gli inquisiti e gli imputati possono fare i ministri, i generali (da
Corcione a Di Paola) andare alla Difesa come nei governi golpisti, i prefetti
andare all’Interno e alla Giustizia, specie se amici di Ligresti (tipo
Cancellieri), ma i pm antimafia alla Giustizia no, specie se onesti e capaci.
“Meglio, molto meglio – scrive il Corriere
– un esponente politico con esperienze parlamentari e di governo già
acquisite”. Cioè Andrea Orlando, che con la sua maturità scientifica è quasi un
tecnico e soprattutto un “garantista” (cioè beniamino del partito degli
imputati: infatti s’è già espresso – sul Foglio, e dove se no?- per cancellare
l’ergastolo e l’azione penale obbligatoria). Non a caso è l’unico ministro che
piace al Giornale e a Libero, assieme alla berlusconiana Guidalberta Guidi.
Tutto è bene quel che finisce bene: pussa via Gratteri, brutta bertuccia.
Aldo Cazzullo conia nuove categorie
semantiche ad hoc. La Mogherini, avendo 40 anni, non è solo quarantenne, ma
addirittura una “neoquarantenne”, per meglio sottolinearne la
quarantennitudine. Fermo restando che – siccome “i quarantenni sono troppo poco
solidali tra loro per riuscire a fare rete”, come purtroppo sperimentato da
Letta – “ora tocca ai trentenni”. Anzi, ai neotrentenni. Tipo la Madia, “33
anni e incinta di 8 mesi”, “un segno di apertura al futuro in un paese a volte
gerontocratico”. A volte. Neo.
A vanificare gli sforzi papillari del pur
bravo collega corrierista provvede Giuliano Ferrara, che sfodera sul Foglio due
metri di lingua extralarge a doppio pennello, riuscendo a leccare Matteo e
Silvio in un colpo solo: “Partenza grandiosa”, “governo perfetto”, “Renzi, come
Berlusconi, è un colpo di scena vivente”, “se sta attento a non litigare con il
Cav.,se non per finta, il Cav. coautore di questo capolavoro che ha la metà dei
suoi anni, ce la farà”, “il governo Leopolda è il migliore possibile”. A questo
punto Renzi si gratterà: gli manca il bacio della morte di Scalfari ed è
spacciato. La Stampa, oltre a titolisti da Istituto Luce (“Poletti il
cooperatore”, “Padoan da teorico dell’austerità a suggeritore della svolta-crescita”,
“La Botticelliana e la Giaguara: Madia & Boschi, l’avanzata delle
‘amazzoni ’ di Matteo”, “Priorità Giannini: scuole più sicure”), schiera
agiografi da vite dei santi. Molto apprezzato Mauro Baudino sul neoministro
della Cultura: “Con la sua quarta prova narrativa, aveva dato un avviso che sta
fra Borges e l’amato Pessoa”. Sta parlando di Franceschini. I suoi romanzi sono
pregni di una “vena fantastica e ironica”, ma senza diventare “armi nelle mani
degli avversari”, forse perché sfuggiti ai più. “Il Franceschini scrittore
guarda a spiriti acri e ribelli, magari un Bolano, certamente uno Zavattini” e
“ha sempre avuto un buon successo di critica”. De Santis? Sapegno? No,
“Jovanotti” che lo “definì ‘visionario’. Come scrittore, non come politico”.
Viene in mente il miglior Calvino: “Nel Visconte dimezzato, quando le due metà
di Medardo di Torralba incrociarono le spade per il duello finale, fu
un’apoteosi”. Slurp.
Sempre su La Stampa, Teodoro Chiarelli
segnala un altro portento: “Renzi non è il solo scout al governo. Anche Roberta
Pinotti ha un passato fra i seguaci di sir Robert Baden Powell. Il suo primo
pensiero? Ovviamente per i nostri marò. Dobbiamo riportarli a casa” e lei ha
“idee già chiare”. Un blitz alla Chuck Norris, “Missing in action” con un pugno
di scout pronti a tutto. La scoutessa ha financo “volato su un Mb339 delle
Frecce Tricolori”. Insomma, è fatta.
Quando, ormai in vista del traguardo, la
classicissima Lecchino d’Oro 2014 pare una corsa a tre
Cazzullo-Baudino-Chiarelli, ecco spuntare dalle retrovie un Francesco Merlo in
grande spolvero, che stacca il gruppone e allunga la lingua oltre il fotofinish
proprio sul filo di lana. “Basta con la demagogia della giustizia che non è
politica, Gratteri… sarebbe stato l’ennesima supplenza di un magistrato”.
Dunque viva “Napolitano che, secondo il giudizio di Malaparte, ‘non perde mai
la calma neppure dinanzi all’Apocalisse’” e “ha imposto a Renzi il passo”. In
Matteo “la gioia era genuina… Ebbene, questa è l’allegria del rilassamento,
l’evviva del dopo-partita, la felicità della vittoria. Un presidente del
Consiglio così raggiante è una novità per l’Italia”. E vai con le papille di
velluto: “Solo grazie alla prudenza di Napolitano che lo ha dosato e
sorvegliato, Renzi è rimasto l’attor giovane con il bellissimo torto di
prendersi il futuro”. Il tempo di tirare il fiato e la lingua riprende a
vibrare: “Il vecchio e il giovane, appaiando la spada che ferisce e separa con
la spada che cuce e ripara hanno tenuto a battesimo la nuova classe dirigente”.
È l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende. Il finale è
chapliniano: il Vecchio e il Giovane incedono scattanti e sicuri, pancia in
dentro e petto in fuori, verso il tramonto: “Sorridono sia l’uomo della
politica sia quello dell’antipolitica, il principe Ippolito e il garibaldino
Lando”. Che meraviglia, che commozione. Ha vinto Merlo, gli altri si
rassegnino, chapeau.
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