da: il Fatto Quotidiano
Riciclato
il programma economico di Letta con pochi numeri precisi dietro gli annunci.
Parla di un “cambio radicale delle
politiche economiche”, ma il presidente del Consiglio Matteo Renzi non spiega
come. Nel suo discorso al Senato non c’è l’annuncio della revisione
dell’aliquota sui rendimenti dei titoli di Stato, evocato da Graziano Delrio
domenica, non c’è l’annuncio esplicito di sfondare il vincolo europeo del 3 per
rapporto tra deficit e Pil, nessun accenno alle grandi storie aziendali
(Electrolux, Telecom, Monte Paschi, Fiat) mancano numeri precisi e – ma questo
è un classico dei discorsi di insediamento – ogni riferimento alle coperture
necessarie per mantenere le promesse.
Il discorso al Senato di Renzi parla del
Pil perso, nove punti tra 2008 e 2013 “mentre qualcuno si divertiva”, della
disoccupazione al 12,6 per cento, “sono i numeri di un tracollo”. Ma le
risposte che offre Renzi a questo disastro sono le stesse di cui hanno parlato
gli ultimi due premier, Enrico Letta e Mario Monti. Il primo punto del
programma è “lo sblocco totale, non parziale, dei debiti della Pubblica amministrazione
attraverso un diverso utilizzo della Cassa depositi
e prestiti”. Che vuol dire?
Al momento il ministero del Tesoro ha pagato 22 miliardi di euro di debiti
arretrati e ne ha già pronti altri 24,5 che verranno erogati nei prossimi mesi.
A giugno, con 47 miliardi, il Tesoro dovrebbe aver saldato tutti gli arretrati
iscritti a bilancio, i ritardi sono colpa delle amministrazioni locali (la
Sicilia , per esempio, non ha mai ritirato il miliardo che le spetta per
saldare i conti con i fornitori della Regione). Esauriti i 47 miliardi, restano
i debiti fuori bilancio che, per definizione, sono difficili da calcolare e da
pagare, secondo la Banca d’Italia sono 40 miliardi circa. I renziani forniscono
l’interpretazione autentica: “Matteo sta promettendo di accelerare il pagamento
dei 47 miliardi già stanziati, visto che al Tesoro i tempi sono lunghi”, i
debiti fuori bilancio sono un mostro contabile di cui per ora non si può
affrontare.
Anche la seconda promessa è vaga:
“Costituzione e sostegno di fondi di garanzia per le Piccole e medie imprese”,
di nuovo con ricorso alla Cassa depositi e prestiti. Il Fondo già esiste, sotto
l’ombrello del ministero dello Sviluppo, la legge di Stabilità 2014 lo ha
rafforzato con 1,6 miliardi, quello che Renzi potrebbe fare è integrarlo ancora
(con risorse dalla Cdp, par di capire).
Il terzo impegno è il più gravoso: “Una
riduzione a doppia cifra del cuneo fiscale attraverso misure serie e
irreversibili, legate alla revisione della spesa”, il tutto entro giugno. Il
cuneo fiscale è la differenza tra il costo di un lavoratore per l’azienda e la
sua busta paga, si può ridurre tagliando l’Irpef (al lavoratore) o l’Irap
(all’impresa) oppure i contributi previdenziali. Gli economisti de lavoce.info,
di recente, hanno stimato che una riduzione del cuneo del 10 per cento (quindi
il minimo della doppia cifra) per i lavoratori sotto i quarant’anni costa circa
27,5 miliardi di euro. Ma il piano che ha pronto Filippo Taddei, responsabile
economico del Pd, è più fattibile: tagli per 8 miliardi, 2-3 all’Irap e 5
all’Irpef, per dare più soldi in busta paga ai lavoratori. Le coperture
arriveranno per tre quarti dalla spending review del commissario Carlo
Cottarelli (che deve trovare 32 miliardi in tre anni), il resto da una riforma
delle aliquote sulle rendite finanziarie. Scenderanno quelle sul risparmio
pensionistico, potrebbero salire quelle sui titoli di Stato, come ha annunciato
domenica Delrio, ma i dettagli si capiranno pù avanti.
Questu sarebbero – per quanto fumosi,
complice la scelta di Renzi di parlare a braccio – i cardini del programma
renziano. Poi c’è l’annuncio di un “piano per il lavoro” con annessa riforma
degli ammortizzatori sociali, un “intervento strutturale” per attrarre
investimenti esteri in Italia (quale?) e un piano straordinario di edilizia
scolastica “nell’ordine di qualche miliardo e non di qualche decina di
milioni”, lavori da fare durante le vacanze estive per ammodernare gli edifici
e sostenere un settore edilizio in crisi. Non c’è una cifra, solo la promessa
di andare oltre i 450 milioni stanziati da Letta (che, nel suo ultimo
documento, aveva promesso ulteriori 2 miliardi).
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