martedì 4 febbraio 2014

Stefano Feltri: “Perfino Bankitalia conferma, il regalo alle banche c’è”

da: Il Fatto Quotidiano

Via Nazionale difende la ricapitalizzazione a 7,5 miliardi, ma ammette: saliranno i dividendi ai privati e migliorerà il patrimonio di vigilanza

L’aumento di capitale a 7,5 miliardi della Banca d’Italia è un regalo alle banche. Non lo dice soltanto qualche economista o il Movimento Cinque Stelle che è andato allo scontro con la presidente della Camera Laura Boldrini per fermare la legge Imu-Bankitalia. Lo conferma la stessa Banca d’Italia in una nota dal titolo “Conseguenze per la Banca d’Italia della legge 29 gennaio 2014, n. 5” diffusa ieri. Per essere precisi: via Nazionale e il governatore Ignazio Visco in persona rifuggono l’espressione “regalo” e difendono l’impianto complessivo della riforma che va nella direzione a lungo auspicata, cioè di fare chiarezza sull’assetto proprietario e di marcare l’indipendenza dalla politica (meglio legarsi alle banche vigilate che trovarsi sotto l’influenza del ministero del Tesoro, sembra la filosofia prevalente a palazzo Koch).

In un incontro con i giornalisti Visco spiega che la Banca d’Italia resta pubblica, che rispettare la legge del 2005 secondo cui lo Stato doveva ricomprarsi le quote del capitale di via Nazionale in mano alle banche dal 1936 era troppo complesso (anche in caso di esproprio, come si calcolavano i risarcimenti?), che lo Stato alla fine non dovrebbe rimetterci troppo.

Ma sui due punti cruciali Visco conferma le denunce dei critici. Primo: la rivalutazione delle quote, dal valore simbolico di 156 mila euro a 7,5 miliardi, migliora il patrimonio di vigilanza delle banche titolari delle quote. Tradotto: i loro bilanci appariranno all’improvviso più solidi per un ritocco contabile. Il Core Tier 1, la misura di solidità usata per i confronti internazionali, salirà in media dello 0,3 per cento e dello 0,4 per i 15 istituti principali. Certo, l’effetto ci sarà soltanto dal 2015, il balsamo contabile non vale durante l’esame europeo condotto in questi mesi dalla Bce come premessa dell’Unione bancaria (i tedeschi della Bundesbank avevano già fatto sapere in via preventiva che non lo avrebbero tollerato), ma il beneficio è soltanto differito.

Secondo punto sensibile: con la riforma, cambiano le regole per i dividendi assegnati ai “quotisti”, cioè alle banche proprietarie di fette del capitale. Si legge nella nota di Bankitalia: la riforma “implicherà presumibilmente per i partecipanti un dividendo accresciuto nell’immediato (ma non nel tempo) rispetto a quello percepito negli anni recenti”. Per decifrare la frase servono le spiegazioni del governatore Visco e del direttore generale Salvatore Rossi. In sintesi: prima della riforma gli utili prodotti dalla Banca d’Italia (dovuti al signoraggio, cioè all’emissione di moneta per conto della Bce, e alle altre attività finanziarie) andavano ad aumentare le riserve della Banca e in piccola parte diventavano un dividendo calcolato sulla base delle riserve. Un principio che in via Nazionale non piaceva, perché creava confusione: le banche private socie di Bankitalia possono accampare qualche pretesa sui frutti delle riserve, ma non sulle riserve stesse che sono patrimonio pubblico, della banca centrale e in fondo dello Stato. Ora invece il diritto dei soci è calcolato direttamente sull’utile, le riserve sono al sicuro. Vi siete persi? Con i numeri è più chiaro: prima il dividendo ai privati era 70 milioni, da quest’anno dovrebbe essere 450. Un bell’aumento. In via Nazionale preferiscono sottolineare che prima non c’era un tetto massimo (poteva andare in teoria da 70 a 300 milioni e poi crescere ancora con l’aumento delle riserve), mentre ora non si va sopra i 450 milioni. Le banche, da parte loro, sono ben contente di ottenere un aumento secco di oltre sei volte.
C’è soltanto un ostacolo per i due principali beneficiari, cioè Intesa Sanpaolo e Unicredit che hanno rispettivamente il 30,3 per cento e il 22,1: i dividendi sopra il 3 per cento, nuovo tetto massimo al possesso, sono congelati. La Banca d’Italia può ricomprare dalle due banche la quota in eccesso, con un esborso potenziale di 3,5 miliardi, ma fra tre anni e soltanto se nel frattempo Intesa e Unicredit non hanno trovato acquirenti sul mercato. Quindi i due colossi del credito dovrebbero trovare subito qualcuno a cui vendere le quote da dismettere per fare cassa, e non è detto che sia facile visto che nessuno sa se c’è un mercato per le azioni della Banca d’Italia. L’aumento dei dividendi non va a beneficio di Intesa e Unicredit, quindi, ma sarà redistribuito tra tutti gli azionisti, compresi quelli che rileveranno parte delle azioni oggi detenute dalle due grandi banche.

Le banche devono fare qualcosa in cambio di questi favori concessi dalla politica usando la leva di via Nazionale? Sulla carta no, non c’è modo di costringerle a usare i benefici contabili ottenuti dalla rivalutazione delle quote per dare più credito a imprese e famiglie (anche se un pezzo del Pd sostiene invece che questo risultato sia scontato). Ma il governatore Ignazio Visco ha fatto capire che farà moral suasion perché le banche usino al meglio le risorse ottenute grazie alla legge Imu-Bankitalia. Chissà se basterà.

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