lunedì 10 febbraio 2014

Gian Carlo Caselli: “Il decreto Svuota-carceri, la soluzione fragile”

da: Il Fatto Quotidiano

Ritardare all’infinito la trattazione di gravi problemi significa farli marcire. Quando poi si interviene lo si fa con l’acqua alla gola. Aprendo spazi a chi voglia sfruttare la tecnica del “prendere o lasciare”, della chiamata alle armi come extrema ratio per salvare la casa che brucia: con lo scopo di far passare soluzioni che altrimenti sarebbero indigeribili. Una situazione che in questi giorni si può constatare sia sul versante della legge elettorale che della legge “svuota-carceri”.
Parliamo di quest’ultima e registriamone le obiettive radici di indifferibile urgenza, derivanti dalla necessità di impedire che scatti la mannaia della sentenza “Torreggiani” emessa nel gennaio 2013 dalla Cedu (Corte europea dei diritti dell’uomo), sospesa fino a maggio 2014 per dare tempo al nostro Stato di rimediare al sovraffollamento delle carceri. Se non si fa subito qualcosa, diverrà inesorabile una straziante gogna internazionale dell’Italia come “Stato torturatore”, oltre a dover pagare sanzioni pecuniarie imponenti per i quasi tremila ricorsi già presentati per detenzione disumana e degradante.
E se siamo arrivati a questo drammatico punto di non ritorno è perché è mancato un progetto globale che preveda – tra l’altro – un’effettiva separazione fra imputati e condannati, concrete misure di
risocializzazione, il rilancio delle misure alternative, l’estensione del lavoro penitenziario da poche realtà (tipo Milano-Opera e Padova) alle altre carceri. Un libro dei sogni? Prospettive utopiche se si tiene conto che i fondi scarseggiano ogni giorno di più? No, se si considerano alcuni dati di base. Il rapporto numerico fra detenuti e popolazione del nostro Paese non si discosta molto dalla media della Ue. Abbiamo il miglior rapporto europeo fra detenuti e poliziotti penitenziari. Ottimo è anche il rapporto fra cubatura totale degli edifici penitenziari e metratura che conseguentemente potrebbe essere destinata ai detenuti. Francamente, a fronte di questi dati è paradossale che si parli ciclicamente di insufficienza degli organici della polizia penitenziaria pretendendo sempre nuove assunzioni (si noti che l’88% delle spese dell’amministrazione penitenziaria è assorbito dal personale). Così come è paradossale che possa verificarsi un sovraffollamento di dimensioni tali da causare la pesante condanna della Cedu. Sovraffollamento che viene percepito in maniera ancor più angosciosa per il fatto che l’organizzazione del nostro sistema carcerario è di tipo chiuso, vale a dire che salvo poche ore i detenuti sono costretti a trascorrere tutto il giorno in cella; e per il fatto che in cella, a volte, per stare un po’ di tempo in piedi si devono addirittura fare dei turni.
Vero è che ci sono nodi assai aggrovigliati che precedono e sovrastano il sistema carcerario. Per esempio, in Italia la risposta penale colpisce anche molti fatti che in altri paesi non sono reato e la sanzione carceraria è quella di gran lunga prevalente (anche se – attenzione – spesso essa non scatta subito, ma progressivamente: perché il sistema prevede via via la negazione della sospensione condizionale e delle attenuanti, oltre che dei benefici penitenziari, così da formare una catena che alla lunga imprigiona il soggetto). Altro nodo è che in Italia la disciplina delle misure alternative è certamente avanzata, ma la prassi applicativa è limitata rispetto agli altri paesi europei, anche per una certa “prudenza” della magistratura che obiettivamente risente della tendenza purtroppo “forcaiola” di ampi settori di opinione pubblica, che a sua volta si traduce nella carenza di sostegno esterno al reinserimento.
Così, se in Italia sono circa 30.000 a scontare la pena all’esterno, in Francia sono 173.000 e 237.000 nel Regno Unito. Restano però in ogni caso – e pesano – i paradossi di cui sopra, sintomatici di una destinazione certamente non ottimale sia degli spazi disponibili (molte sono le sezioni non utilizzate), sia della polizia penitenziaria (senza sminuirne il quotidiano impegno). Ciò che rappresenta l’interfaccia e al tempo stesso il riscontro di quella mancanza di un progetto globale d’intervento che è l’esatto contrario delle misure ispirate a logiche emergenziali come la legge “salva carceri” approvata dalla Camera.

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