mercoledì 5 febbraio 2014

Luca Ciarrocca: I padroni del mondo /4

«Ecco, firmate»

Lavorando giorno e notte, gli avvocati del Tesoro avevano preparato il piano di bailout che i nove banchieri avrebbero dovuto sottoscrivere. Hank Paulson fu molto spiccio, perfino brusco. Andare subito al sodo era d’obbligo, fuori la guerra infuriava. A ciascuno di loro fu consegnato un solo foglio, poche righe, zero allegati e niente note. C’era scritto che le loro rispettive banche accettavano la vendita delle proprie azioni al governo degli Stati Uniti. Il ministro, senza perdere tempo, disse: Ecco, firmate.
  E i potenti Ceo obbedirono. Pochi secondi, e il golpe soft era compiuto, le maggiori banche statunitensi erano salve. Il governo di Washington entrava in forza nel capitale di giganti bancari sull’orlo del fallimento. Il sistema non sarebbe crollato, il capitalismo aveva vinto un’altra battaglia, anche se con l’infamia, utilizzando il denaro pubblico degli ignari contribuenti. Una dozzina di persone, nove banchieri, più i vertici di Fed e Tesoro, quel 13 ottobre 2008 avevano riscritto la storia economica.
  Il patto prevedeva l’acquisto di azioni privilegiate da parte del governo. Cioè, in pratica, il Tesoro statunitense prestava denaro alle banche a un tasso d’interesse annuale iniziale del 5 per cento (molto piu basso rispetto a quello di mercato, anche se era previsto che salisse al 9 per cento dopo cinque anni) per un periodo di tempo perpetuo. Le banche non avrebbero dovuto restituire il prestito, se non avessero voluto.

  Fu quindi un ex banchiere di Goldman Sachs a generare il mostro che tuttora spadroneggia e ci ricatta. In un sussulto scaturito dall’emergenza e dall’istinto di sopravvivenza, subito prima dell’ineluttabile implosione del sistema, Paulson, la massima autorità politica e monetaria degli Stati Uniti, sotto la regia della Federal Reserve, con un atto senza precedenti decise di salvare il capitalismo americano e mondiale correndo in soccorso a un super network di banche che avrebbero dovuto quasi tutte portare i libri in tribunale. Erano nate le Tbtf (Too Big To Fail), un Frankenstein finanziario che continua a fare danni, diretti e collaterali, di proporzioni colossali, di cui tutti paghiamo le conseguenze.
  Dal settembre del 2008, quindi, gli istituti di credito, anche se mal gestiti, indebitati e zeppi di titoli tossici, sono diventati troppo grandi per fallire. Da oltre cinque anni, l’abnorme creatura e un monumento all’inefficienza, al rischio, all’azzardo morale, all’antieconomicita, all’asservimento ai poteri forti e – diciamolo – al sonno della ragione. Un moloch che sbeffeggia la pattuglia di estremisti fautori del libero mercato per i quali sarebbe stato meglio, in quei giorni da apocalisse, far collassare il sistema bancario americano, lasciando fallire gli istituti ormai compromessi. Darwinismo in economia, anche a costo di alterare per sempre lo scenario e i rapporti di forza. Si poteva azzerare e ripartire. Invece Tbtf e oggi il vero strumento grazie al quale i bankster prosperano e si arricchiscono impuniti, mentre la gente comune soffre. Un totem medievale di cui liberarsi.

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