da: Il
Fatto Quotidiano
Masterpiece,
il talent con la letteratura intorno: l’idea c’è, la realizzazione meno
Bella
l'idea, meno come è stata tradotta in tv. Ma intanto il programma di Rai3 con
De Cataldo, De Carlo e Taiye Selasi ha sbancato Twitter, con l'hashtag in testa
ai trending topic
Poteva andare meglio,
ma anche molto molto peggio. La prima puntata di Masterpiece, l’atteso talent sulla letteratura di RaiTre, con Giancarlo De Cataldo, Taiye Selasi e
Andrea De Carlo in giuria, ha comunque ottenuto già un risultato
importante, nell’epoca della sociale tv: ha
sbancato Twitter, con l’hashtag in testa ai trending topic. La formula è
semplice: 5mila romanzi inediti inviati, 70 selezionati, un vincitore a puntata
e poi la finalissima, con un premio in
palio mica da ridere: 100mila copie
targate Bompiani che invaderanno le librerie di tutta Italia.
L’inizio è debole, con
provini alla XFactor che relegano in un angolino quello che dovrebbe essere il
protagonista: il romanzo. Emergono, però, alcuni personaggi interessanti, quasi
freak, che aiutano la narrazione televisiva: il trentenne
bolognese nevrotico
con un passato in un Ospedale psichiatrico, l’ex galeotto palermitano (13 anni
di galera) che vive di espedienti e di partite a poker, l’operaia toscana che
sogna di lasciare la fabbrica, la donna pacata e ordinaria (e tremendamente
politically correct) che ha sconfitto l’anoressia, il ragazzo ribelle che ha
vissuto da clochard nel quartiere a luci rosse di Amsterdam. La giuria è ben
assortita, con De Cataldo decisamente più adatto ai tempi televisivi e un De
Carlo che gioca a fare il Cracco, con poca convinzione e naturalezza.
Dopo una prima
scrematura (raccontata televisivamente con troppa approssimazione), i quattro
selezionati si dividono tra una visita in un centro accoglienza e una balera
frequentata da anziani. Dovrebbero essere esperienze forti, almeno secondo le
intenzioni dei giurati, ma il racconto è troppo sbrigativo e frammentato. Poi,
una volta tornati in studio, inizia la parte più sbagliata del programma: una
prova di scrittura in 30 minuti che produce quattro elaborati da terza
elementare. Ma la colpa non è degli aspiranti scrittori. Il problema è che la
scrittura non è questo, e i tre giurati dovrebbero saperlo bene.
I due finalisti (il
ragazzo ribelle e l’operaia), ora devono affrontare l’ultimo ostacolo prima di
approdare in finale: l’incontro con Elisabetta Sgarbi, direttore editoriale di
Bompiani. La Sgarbi sembra la Miranda de Il
Diavolo veste Prada, i due finalisti spiegano in maniera raffazzonata
mentre l’ascensore della Mole Antonelliana sale veloce. Alla fine, la spunterà
il ragazzo che si ispira a John Fante.
L’idea di base del format sembra reggere. Un talent sulla letteratura è così
assurdo che funziona, nonostante gli evidenti limiti narrativi (il colmo!) e
televisivi. Troppi vuoti, troppi salti
troppo poca letteratura. Ma il potenziale
è enorme, e con qualche accorgimento il
format può dare qualche soddisfazione ad Andrea Vianello, coraggioso direttore
di RaiTre che sta provando, con alterne fortune, a svecchiare una rete
dall’identità granitica.
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