Peccato che, manchi un
“peccato” in questo articolo di Travaglio.
Peccato che Esposito
abbia fatto un’intervista anziché tacere. Non c’era nessun motivo per cui
dovesse rilasciare interviste. Citando o non citando Berlusconi.
Il diritto di
esprimere le proprie opinioni, che vale anche per i magistrati, non significa: devo
rilasciare interviste e girare di talk in talk.
Ogni tanto si può
anche stare a casa a fare il bucato. Pardon: a mettere i panni in lavatrice
lasciando alle donne impostare il programma di lavaggio.
da: Il
Fatto Quotidiano
Marco Travaglio: “Nausea con vomito”
Anziché seguitare a
trafficare intorno al giudice Antonio Esposito, cercando ogni pretesto per
punirlo, il Csm potrebbe dire chiaramente ciò che abbiamo capito tutti. Esposito
si è reso “divisivo” perché ha osato fare ciò che nessuno aveva mai fatto:
condannare definitivamente Silvio Berlusconi. Diversamente da plotoni di toghe
che, al primo cenno del Quirinale, si mettono sull’attenti e sospendono
processi, interrompono requisitorie, si bevono impedimenti-farsa, congelano
udienze, rinviano camere di consiglio, Esposito ha obbedito soltanto alla
legge.
Come presidente della
sezione feriale della Cassazione, ha emesso la sentenza del processo Mediaset
il 2 agosto, prima che scattasse la solita prescrizione. E così ha disturbato
la “pacificazione” ordinata da Napolitano e Letta jr. per tener buono il
Caimano. Dunque bisogna trovare il modo di punirlo, anche se non ha fatto altro
che il suo dovere, anzi proprio per questo. Il pretesto è noto: l’intervista
apparsa sul Mattino il 6 agosto, intitolata “Berlusconi condannato perché
sapeva”. Peccato che, nel testo concordato col giornalista, Esposito non
parlasse mai di B.. Peccato che la domanda su B. fosse stata aggiunta dopo,
senza il suo consenso, appiccicata a una risposta sull’infondatezza del “non
poteva non sapere” nei processi. Peccato che le motivazioni depositate il 29
agosto siano totalmente diverse dai princìpi enunciati nell’intervista.
Ma non è bastata la
prova provata che Esposito non ha mai anticipato le motivazioni della sentenza
Mediaset. Il Csm ha aperto un procedimento per trasferirlo d’ufficio (e dove,
di grazia, visto che la Cassazione è competente su tutt’Italia?). E il Pg ha
avviato un’istruttoria disciplinare. Due iniziative che hanno alimentato il
linciaggio sugli house organ della Banda B. Ma due iniziative illegali. La
prima perché il trasferimento d’ufficio dipende da situazioni incolpevoli di
incompatibilità ambientale, che prescindono dalle condotte volontarie (come le
le interviste). La seconda perché la legge che regola i procedimenti
disciplinari, la 269/2006, ritiene illecite solo le “dichiarazioni o interviste
che riguardino soggetti coinvolti negli affari in corso di trattazione ovvero
trattati e non definiti”. E il processo Mediaset era già definito con sentenza
definitiva. Ed Esposito non aveva neppure nominato il “soggetto coinvolto” (ma,
se l’avesse nominato, non avrebbe commesso illeciti ugualmente).
Nei giorni scorsi
Esposito ha appreso dai giornali, che riprendevano un lancio di agenzia, che la
sua pratica di trasferimento stava per essere archiviata, e con quale
motivazione. Bel paradosso: il Csm anticipa a mezzo stampa la sentenza su un
giudice accusato di aver anticipato a mezzo stampa una sentenza. Il relatore ha
smentito di averla spifferata lui. Ma ieri s’è scoperto che il verdetto
corrisponde alle indiscrezioni. Dunque qualcuno dal Csm l’ha fatto uscire
prima. Peccato che l’interessato non ne sapesse nulla: del resto non l’hanno
neppure ascoltato per consentirgli di difendersi. Alla fine, con 17 Sì, 2 No e
5 astenuti, il Plenum ha deciso di non trasferirlo. Ma ha trovato comunque il
modo di sputtanarlo: “Il comportamento può integrare profili disciplinari,
deontologici e professionali, da affrontarsi eventualmente nelle sedi
competenti”. Anche se la legge non lo prevede.
Perché fosse tutto
ancor più chiaro, i signori del Csm hanno infilato nella delibera l’ultimo
monito di Napolitano alle toghe: “misura e riservatezza“, niente “fuorvianti
esposizioni mediatiche” né “atteggiamenti protagonistici e personalistici”.
Come se i moniti valessero più delle leggi. Immediata l’esultanza del laico del
Pdl Niccolò Zanon, che è pure uno dei 35 saggi ricostituenti di Letta &
Napolitano: “Il lato positivo è che la delibera parla di aspetto disciplinare.
Speriamo che la Procura generale faccia quello che deve fare”. Se si danno da
fare, magari riescono a punire il giudice innocente prima che decada il
pregiudicato colpevole.
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