Barbara Spinelli è tra
i pochi giornalisti che vale la pena leggere. Com’è normale che sia, ha delle
opinioni politiche. Ma questo non la rende faziosa. Non solo. Diversamente da
certi suoi colleghi o presunti tali, di cosiddetta “sinistra” e/o
antiberlusconisti, la sua capacità di analisi si è mantenuta nel tempo. Non è mentalmente
“viziata” dall’ansia di arrivare nuovamente a vincere nelle urne elettorali per
continuare a perdere. Culturalmente, socialmente. “Ansia” che prende gli
Scalfari e tutti coloro – del gruppo Espresso e la Repubblica – e di altri
organi di stampa e media (tv), talmente frustrati dall’assenza di vittoria del
Pd che non vedono o fingono di non vedere la “sostanza” di Matteo Renzi e che “appoggiano”
ogni atto e parola del presidenzialismo di Giorgio Napolitano, vero capo dell’esecutivo
con l’hobby del presidente della repubblica.
La loro capacità
analitica – posto che sia mai stata allo stesso livello di quella della
Spinelli - si è persa da quando si sono “rilassati”. Dal novembre 2011, quando Berlusconi
è stato rimosso da Napolitano (che, ovviamente, ne aveva ben donde). E non vi
sono tracce di recupero perché la frustrazione dei perdenti mette una tale ansia che toglie
lucidità.
“Problema” che la
giornalista Barbara Spinelli non ha. Buon per lei e per noi che cerchiamo di
trovare un po’ d’informazione tra tante “ansie” e faziosità.
da: la
Repubblica
Davanti a noi, lo
spettacolo del berlusconismo che si sfalda. Sorge un nuovo partito, presto sarà
chiamato destra normale, e le Larghe Intese paiono rinascere come Afrodite dal
mare: più belle e lisce, più legittime; come purificate. Non è così purtroppo.
Una destra diversa da quella vista
nell’ultimo ventennio ancora non c’è.
Non c’è se per normale intendiamo l’adeguazione alle
norme della democrazia, alle sue leggi, alle sue forme costituzionali.
Non è neppure un
Termidoro, come fu denominata nel 1794 l’epoca che terminò il Terrore
rivoluzionario di Robespierre. In verità certe peculiarità riaffiorano, a
cominciare dal fulmineo trasformismo di parecchi fedeli del tiranno: Barras,
Tallien, e in primis Fouché, che aveva votato il regicidio, represso nel sangue
l’insurrezione di Lione. Anch’egli tramò contro Robespierre. Nel Termidoro sarà
ministro della polizia. Furono chiamati camaleonti, e ne esistono molti nel
Nuovo centrodestra di Alfano, pur se di minor stazza.
Quel che manca è la caduta di Robespierre. Riottosi, i vassalli di Berlusconi rimangono vassalli.
Annunciano il nuovo, ma non escludono patti con l’ex capo e promettono di
lottare contro la sua decadenza dal Senato. Le idee che avevano sulla
Costituzione, troppo parlamentare e giustizialista, son sempre lì. Piuttosto
viene in mente l’8 settembre ’43:
Badoglio proclamò un armistizio che
apriva agli anglo-americani senza chiudere a Hitler, poi col re fuggì da
Roma lasciando che i nazisti occupassero il paese. Tale fu la nazione allo
sbando narrata con maestria da Elena Aga Rossi.
Certo in Italia c’è
bisogno di una destra normale, il che vuol dire: decente. Vale dunque la pena
guardare oltre la nostra aiuola, e vedere come altrove, in simili circostanze,
si fece pulizia. Il caso più significativo è la Germania, una democrazia assai attenta alle norme. Lo dimostrò nel 1999-2000, quando scoppiò l’affare dei fondi neri che travolse Helmut Kohl e mise fine alla sua lunga
era: 16 anni di cancellierato, 25 di presidenza dei democristiani (Cdu).
Esemplare è innanzitutto
la cronologia: gelida, spedita, sbrigativa. Lo scandalo viene alla luce il 4 novembre ’99, sotto il governo
Schröder: indagato è il tesoriere Cdu Walther Leisler Kiep, ma Kohl è
coinvolto. Il 30 novembre, l’ex
Cancelliere ammette l’esistenza di fondi neri. Quattro giorni dopo, Angela Merkel che è segretario generale
della Cdu esige sia «fatta chiarezza, rapida e senza omissioni». Passa meno di
un mese e i toni si fanno più ruvidi: al canale della Tv pubblica Ard, dice che
il partito, se tiene al suo destino, deve uscire dall’impasse «con le proprie
forze». Poche ore dopo, il 22 dicembre, esce un suo articolo sulla Frankfurter
Allgemeine Zeitung, in cui spiega cosa significhi, per lei, «uscire».
Significa, scrive la Merkel, riconoscere che malcostume,
corruzione, non rispetto delle norme sono
«una tragedia, per la Democrazia cristiana e per l’intero sistema dei partiti».
Le illegalità commesse hanno gravemente danneggiato la Cdu, quale che sia la
grandezza di Kohl e il suo contributo all’unità tedesca, all’Europa, al nascere
della moneta unica. Non c’è da una parte lo scandalo, e dall’altra l’immagine
di Kohl: «le due cose stanno insieme». Risultato: il partito in futuro «deve
imparare, con fiducia, a camminare senza il vecchio cavallo di battaglia». Deve
imboccare una propria via, «come chi nella pubertà si stacca di casa», anche se
il «processo non sarà senza ferite». Si parla di parricidio, tradimento. Ma il
partito la sostiene. Nel Brandeburgo, il portavoce della Cdu Möricke chiede «un
taglio del cordone ombelicale». Il vice capogruppo parlamentare Friedrich Merz
dice: «Sottoscrivo ogni riga dell’articolo della Merkel».
Poco più di un mese: tanto durò fare i conti col passato, e renderne conto. Appena più ci volle perché al capo
venisse tolta la carica di presidente onorario della Cdu (18 gennaio 2000), e
il partito gli chiedesse di rispondere di qualcosa che veniva vissuto non come
un guaio mediatico, ma come tragedia.
E Kohl era un mito,
specie in Europa. E dopo la sconfitta alle politiche del ’98 la Cdu era in
risalita (alle elezioni europee del ’99, alle regionali a Brema, Berlino, in
Assia, nella Saar, in regioni chiave dell’ex Germania est): la Merkel lo
ricorda nell’articolo. Un reato è un reato, e nulla pesavano i successi alle
urne, il curriculum poderoso del leader, le messinscene di una fittizia
stabilità. Dirimente era un unico aggettivo, che appannava tutto il resto:
l’agire di Kohl era rechtswidrig, contro la legge. Questo era intollerabile, e
non fu tollerato. Ricordiamo che neanche il Watergate fu digerito. Nixon infine
fu abbandonato da chi nell’opinione pubblica, nei giornali, nella classe
politica, l’aveva sostenuto. Hugh Scott, leader repubblicano al Senato, lette
le carte dichiarò che la condotta presidenziale era stata «deplorevole,
disgustosa, squallida, e immorale».
Fare subito l’inventario del passato, non eludere un giudizio
storico-politico netto (sì sì; no no):questo fu per la Merkel rompere con il
capo. Se rinacque una destra decente,
fu perché la politica fece pulizia da sola, senza attese e rinvii. Gli
anticorpi che Sylos Labini giudicò assenti da noi (Repubblica 14-5-02), in
Germania esistevano. Prima che intervenissero i magistrati e la Commissione
d’inchiesta parlamentare, il partito seppe tagliare, con un gesto secco, il
ramo rivelatosi marcio. Nessuno ebbe l’impudenza di dire che Kohl era
immunizzato perché ancora in auge, a casa e fuori.
Non così I governisti di Alfano. Nessun inventario, nessun rendiconto del berlusconismo,
nessun taglio del cordone ombelicale (ma neanche idee su economia, Europa,
politica estera). Se si esclude la difesa del governo di Larghe Intese,
l’essenza berlusconiana è preservata. La lotta alla magistratura indipendente
prosegue, la decadenza del leader è rifiutata. Che destra normale può nascere
in queste condizioni, sempre che norma significhi norma? Si fa presto a dirsi
moderati, se la sovversione da cui ci si separa resta ingiudicata.
Qui è il pericolo che corre l’Italia: che cambino nomi e padroni dei partiti, ma non la cultura dell’illegalità che
ci ha ammorbati ben prima che Berlusconi andasse al potere: da quando la P2
pensò, negli anni ’70, il Piano di rinascita democratica.
Rimane il postulato
secondo cui la giustizia non è eguale per tutti, e «il vero potere è in mano ai
detentori dei media» (Licio Gelli). Continua la politica riservata a chiuse, immuni oligarchie, ancor oggi protette
dalla Chiesa: molti governisti sono in
Comunione e Liberazione. Tutto è permesso agli oligarchi. Anche le telefonate fatte dalla Cancellieri a amici privati, i Ligresti: telefonate in cui si «mette a
disposizione», e 4 volte dichiara «non
giusto» (lei che è Guardasigilli) l’arresto appena avvenuto di Salvatore
Ligresti e delle figlie per reato di falso in bilancio e manipolazione di
mercato (il figlio Paolo, latitante, evita l’incarcerazione). Se il Pd non sfiducia la Cancellieri, si
confermerà che il malcostume l’ha senza rimedio contaminato. Che ancora
sembra ignorarlo: non tutto quel che è legale, che non è reato, è decente in
politica.
È difficilmente
immaginabile che la Merkel abbia usato sbadatamente una parola tanto pesante:
tragedia.
Tragicamente degenera
la democrazia quando la legalità è facoltativa. Di fronte a noi sfilano
governisti (spesso indagati, spesso ex P2) che abrogano il passato per non
mettersi in pericolo.
Le tragedie si
superano con la catarsi: una purificazione. E con un giudizio, espresso
dall’opinione pubblica che è il Coro. In Italia non sono in vista catarsi, o
giudizi: né a destra, né per ora a sinistra. Forzatamente neppure nelle Larghe
Intese, e in chi s’ostina a commisurarle con le Grandi Coalizioni tedesche.
Nessun commento:
Posta un commento