mercoledì 20 novembre 2013

Citigroup e Barclays: le banche americane indagate per manipolazione dei cambi

da: Affari e Finanza

Far West
di Federico Rampini

L’ultimo scandalo bancario lo chiamano “Il Cartello”, proprio come quello dei narcos di Medellin. Si tratta della maxi-inchiesta delle autorità americane ed europee sulla manipolazione del mercato delle valute: un mercato che muove 5.000 miliardi di dollari al giorno, assai più delle transazioni sui bond e sulle azioni. Tra le banche indagate figurano “i soliti noti”, nomi come Citigroup e Barclays. I loro trader, secondo l’accusa degli inquirenti, da tempo manipolavano i cambi a danno dei clienti. Bella scoperta. Nel mio piccolo... lo sapevo da anni.
Gran parte della mia carriera lavorativa si è svolta all’estero. Come dipendente di giornali italiani, sono quindi stato pagato mensilmente con bonifici bancari. Ogni mese, ricevere l’estratto conto bancario è una beffa. Se il tasso di cambio corrente è, come in questi giorni, 1,34 dollari per un euro, so già che la mia banca mi applicherà un cambio di 1,30. E’ un prelievo del 3% che si aggiunge alle spese di bonifico, una “cresta” che la banca si prende su quell’operazione. Naturalmente molti di voi avranno notato
qualcosa di simile nel cambiare valuta agli sportelli bancari. Lì la forbice a vantaggio della banca è ancora superiore. Se un turista italiano entra in un’agenzia bancaria a Manhattan vede subito il cartello coi tassi praticati: la banca compra i vostri euro valutandoli solo 1,20 dollari, mentre se è un turista americano in partenza per l’estero a voler comprare degli euro, la stessa banca glieli vende a 1,42. Qui la rapina sfiora il 10%. E tuttavia, nel caso del cambia-valute c’è almeno una parziale giustificazione. Gestire transazioni in banconote comporta dei costi, c’è una “merce” fisica che va custodita, spostata. C’è anche, per quanto ridotto, un minimo di rischio: esistono in circolazione banconote false (anche se le banche dovrebbero avere apparecchi in grado di individuarle). Ma nel caso di un bonifico da banca italiana a banca americana, l’unico “lavoro” consiste nello schiacciare un paio di tasti del computer. E ovviamente, trattandosi di trasferimenti virtuali, che non comportano il trasporto di banconote, non vi è il rischio che la banca ricevente si trovi delle banconote false. Nella gestione dei bonifici internazionali, i margini di profitto sono pazzeschi, vista la facilità di queste operazioni con le nuove tecnologie. Quello che subisco io, a differenza dei comportamenti del “Cartello” sotto indagine, risulta essere legale. Ho provato a cambiare banca, ma mi sono dovuto arrendere: così fan tutte. Non voglio neppure farmi in tasca i conti su tanti anni di stipendi sui quali mi hanno prelevato il 3% ogni mese: avessi messo da parte quella somma, mi ritroverei con un gruzzolo di risparmio che invece è finito nei bilanci voraci delle banche. Una cosa in comune c’è, tra il mio microscandalo privato e la vicenda del “Cartello”: le stesse autorità inquirenti che vogliono smascherare le manipolazioni sui tassi di cambio delle valute, ammettono che quel mercato è “poco regolato”. Praticamente una giungla, se questo termine non fosse contestato dagli etologi che vedono molta più civiltà tra le belve feroci.

Il mercato dei cambi, nelle parole di un banchiere centrale norvegese che collabora con gli americani nell’indagine globale, “è molto opaco, sul quale noi stessi dovremmo sapere di più”. E lo dice un banchiere centrale, che ha funzioni di vigilanza? Non sai se rallegrarti che abbia aperto gli occhi, o essere preso dallo sconforto per un’ammissione così tradiva. 

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