martedì 12 novembre 2013

La Primavera araba: cosa resta della rivolta

da: Lettera 43

Guerra, le capitali in fiamme della Primavera araba
A Tripoli e Il Cairo si combatte. Damasco è in guerra. Cosa resta della rivolta che doveva cambiare il mondo islamico
di Barbara Ciolli

In Libia, la battaglia di Tripoli è ricominciata, o forse non è mai finita. A Damasco, in Siria, bombe e mortai hanno raggiunto la città vecchia. Il Cairo, in Egitto, è squassata dalla guerriglia dei Fratelli musulmani contro i generali del golpe. Tunisi è insanguinata da attentati politici e in balia nell'anarchia di governo.
I DESTINI DELLA PRIMAVERA ARABA. Tre inverni fa, in questi Paesi esplose la Primavera araba. Qualche Stato, come la Tunisia e l'Egitto, sembrò aver trovato la via verso la democrazia con le proteste e la cacciata dei tiranni. Altri, come la Libia e la Siria, sprofondarono nelle guerre di liberazione.
Caduto Muammar Gheddafi, tuttavia, la Libia che ha eletto alle urne i nuovi governanti e scrive la nuova Costituzione non trova pace. Anzi vive un'involuzione: dopo Bengasi, a novembre le battaglie tra bande e gruppi tribali sono esplose anche nelle strade della capitale.

BASHAR AL ASSAD RESISTE. In Siria il compagno d'armi di Gheddafi, Bashar al Assad è ancora in sella. Ma l'accordo sul disarmo chimico non ha placato la guerra civile. L'esercito del regime ha ripreso forza. E a Damasco, dopo mesi di pax armata, il centro storico è tornato a essere bersagliato dal fuoco d'artiglieria.
A Il Cairo, l'alternativa al sangue è il coprifuoco.
Dal 2011 le capitali della Primavera araba sono blindate, saccheggiate, distrutte. Il cambiamento ha prodotto uno stallo armato. Ma allora dov'è la rivoluzione?

Siria: il centro storico di Damasco sotto i colpi d'artiglieria
Il quartiere di rifugiati palestinesi di Yarmouk, a Damasco (nella foto sopra), a 8 chilometri dal centro, prima della guerra era capace di ospitare oltre 140 mila profughi.
Dopo mesi di raid dell'aviazione siriana e di razzi d'artiglieria, gli edifici sono semidistrutti.
Altri sobborghi della capitale siriana, come Tadamon (87 mila residenti) e Sbeineh, enclavi dei ribelli, sono ormai stati ridotti a quartieri fantasma.
RAZZI NELLA CITTÀ VECCHIA. Le bombe nelle ultime settimane hanno ripreso a colpire la città vecchia, dopo mesi di cessate il fuoco. Oltre che dagli attentati qaedisti, il centro storico di Damasco è scosso dai colpi d'artiglieria: gli ultimi razzi hanno ucciso un passante e feriti altri tre, vicino al mercato coperto di Hamidiya, a Hariqa, la cittadella medievale. Un colpo di mortaio ha colpito la nunziatura apostolica della Chiesa e l'esclusivo quartiere di Malki, sede di diverse ambasciate straniere, tra cui quella italiana.
Il centro della capitale, con i suoi monumenti, è in fiamme. Come quello di Aleppo e di Homs, terza città della Siria, rasa al suolo.

Libia: dagli attentati alla nuova battaglia di Tripoli
Lo scorso ottobre il premier ad interim Ali Zeidan è stato vittima di un tentato golpe, un mese dopo nella capitale sono tornati a volare razzi anti-aerei e granate.
A due anni dalla presa di Tripoli e dalla morte di Gheddafi, la Libia è caduta in una spirale di attentati e scontri. Il rischio che riesploda la guerra civile è concreto: nelle ultime settimane, di notte la capitale è teatro di guerriglia tra miliziani, a colpi di kalashnikov e artiglieria pesante.
Gli abitanti descrivono impauriti una città senza un esercito che difenda i civili. Le pallottole cadono ovunque.
ASSALTO DA SUD. Nell'ultima sparatoria, che ha fatto un morto e una dozzina di feriti, un gruppo di miliziani pesantemente armato avrebbe attaccato Tripoli da sud, lambendo il quartiere del ministero degli Esteri e della tivù di Stato.
Dal 2011, la capitale libica non ha mai smesso di essere bersaglio di pesanti attentati contro politici e attivisti. Lo stesso vale per Bengasi e altri centri.

Tunisia: kamikaze sulle coste e bombe pronte a esplodere nella capitale
Tutto il Nord Africa è ormai instabile e permeabile alle infiltrazioni di gruppi qaedisti. Non solo. I Paesi della cintura sono diventati un serbatoio di criminalità e mete per il traffico di armi, che hanno conosciuto un boom dopo l'esplosione delle rivolte.
LA POLVERIERA DEL MEDITERRANEO. Dal Mali all'Egitto, passando per la Tunisia travolta da una raffica di attentati contro politici e strutture turistiche, la fascia delle regioni scosse dalla Primavera araba sta diventando una polveriera affacciata sul Mediterraneo.
E proprio in Tunisia, sulla costa, gli estremisti wahabiti (radicali sunniti) hanno assaltato con kamikaze resort di lusso, per instaurare califfati islamici. Nella capitale sono stati sventati attentati all'hotel internazionale Sheraton e alla vicina sede della televisione di Stato.
L'ASSEDIO ISLAMISTA. Un gruppo di salafiti ha aperto il fuoco vicino a una scuola, un altro kamikaze si è fatto esplodere contro il mausoleo del primo presidente della Tunisia Habib Bourguiba a Monastir.
Un segnale ai politici che, divisi tra laici e islamisti, non trovano ancora un accordo sul nuovo premier.

Egitto: coprifuoco a Il Cairo. Decine di morti nella guerriglia
Il Maghreb non appare molto diverso dalla Siria di un anno fa. Il corridoio del traffico d'armi è l'Egitto, dove l'ordine è stato ristabilito solo con una controrivoluzione.
Piazza Tahrir, riconquistata dai militari, è stata sostituita dalle nuove piazze dei martiri di Rabaa e Nahda, basi dei supporter del presidente della Fratellanza musulmana deposto, Mohamed Morsi.
Nell'università di Al Azhar studenti pro e anti-Morsi si scontrano tra loro. E ogni venerdì di preghiera, a Il Cairo e sul delta del Nilo esplode la guerriglia contro la polizia.
CAPITALE A FERRO E FUOCO. Nella capitale, gli ultimi scontri tra i sostenitori laici del generale Abdel Fattah al Sisi, comandante supremo delle forze armate e anima del golpe soft, e i manifestanti islamici, sono scoppiati il 6 ottobre scorso: sul campo sono rimaste almeno 53 persone e oltre 400 oppositori sono stati arrestati.
La scintilla sono state le celebrazioni per il 40esimo anniversario della guerra dello Yom Kippur, che coinvolse Israele, Egitto e Siria. Quasi un segnale premonitore.

Nessun commento:

Posta un commento