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Affari e Finanza
Il social network delle grandi inchieste
Evan Williams, uno dei cofondatori di Twitter, inizia una
nuova avventura con “Medium”, una via di mezzo fra un sito di contatti e un
blog: punta su racconti e servizi giornalistici anche ampi da condividere in
rete
di Valerio Maccari
Dal tweet al racconto
il passo è breve. Almeno per Evan Williams, uno dei quattro cofondatori di
Twitter. Il quale, dopo aver fatto una fortuna con il social network della
sintesi, ha deciso di andare oltre i 140 caratteri. E insieme al sodale Biz
Stone, che lo ha accompagnato anche nell’avventura di Twitter ora abbandonata
da entrambi, ha fondato Medium: una piattaforma a metà tra il blog e il social
network, che invita gli utenti a produrre e a leggere contenuti più estesi.
«Storie che contano - sottolinea Williams decisamente più lunghe di un tweet.
Con Medium stiamo provando a creare il luogo ideale per la condivisone di
storie e di idee. Contenuti di sostanza, che non possono essere racchiusi in
140 caratteri, e che non sono stati pubblicati solo a uso e consumo degli
amici”, come invece accade spesso sui social network». L’idea alla base di
Medium, fondato circa un anno fa, è proprio quella di rendere più
semplice ed
efficace la condivisione di contenuti di maggiore ‘spessore’. E di permettere
loro di diventare virali, proprio come accade per le vignette e i memesu
Twitter e Facebook. «Su Medium trovano spazio molti argomenti diversi»,
sottolinea Williams, che della start-up è anche Ceo e l’ha presentata in grande
stile con un’ampia intervista al mensile Wired, edizione americana. «Possono esserci
post di natura professionale o personale, di fiction o di non fiction. Su
Medium ci sono prospettive, idee e persino reportage giornalistici».
Per questo il
servizio, invece di raccogliere i post per autore, preferisce un raggruppamento
sulla base dei temi trattati. E se da un lato offre un’esperienza utente
semplificata, con un’interfaccia minimale che permette l’autopubblicazione in
pochi semplici passi , dall’altro mette in campo un’importante limitazione: un
algoritmo che valuta la qualità dei contenuti editoriali e l’interesse
suscitato negli utenti. Una sorta di filtro che mette in luce i post ritenuti
di maggior qualità, a scapito di quelli individuati come di bassa fattura, e
che costituisce il vero valore aggiunto del nuovo servizio. A questo si
aggiunge una squadra di 40 editor e accordi con vari produttori di contenuti
professionali, fra cui Epic, azienda americana che si occupa di trovare storie
interessanti da trasformare in libri o film: industrial writer, come li chiama
Williams, contrapponendoli a blogger e giornalisti della rete.
La rivoluzione
cui punta Medium, infatti, parte dalla presa di coscienza che la comunicazione
su Internet, oggi, premi più la velocità e la praticità che la profondità.
«Molti servizi hanno avuto successo nell’aprire a tutti la possibilità di
produrre contenuti e condividerli - aggiunge il Ceo - ma ci sono stati meno
progressi nell’innalzamento della qualità dei contenuti prodotti ». Invertire
la tendenza non è semplice, ma secondo Williams è più che mai necessario: «Le
necessità economiche portano i siti di news ad attirare l’attenzione degli
utenti senza preoccuparsi della qualità editoriale». Basta, dunque, con le
notizie a base di sesso, sangue e soldi: «Stiamo costruendo un sistema dove i
buoni contenuti possono brillare e ad avere attenzione. E c’è un pubblico per
idee e storie che fanno leva su qualcosa di più dei desideri di base degli
esseri umani». Con Medium, ha precisato ulteriormente il fondatore, «non stiamo
tentando solo di creare la piattaforma giusta per la condivisione. Ci sono già
altri servizi che danno questa possibilità. Ognuno può crearsi il proprio blog,
anche se pensiamo che la creazione di un blog non sia un’attività per tutti. Il
buco che cerchiamo di riempire è principalmente sul lato della creazione». E
dal punto di vista della creazione di contenuti, la precedente esperienza
professionale di Williams è sicuramente d’aiuto. Nel curriculum del quarantenne
americano, infatti, spicca, oltre a Twitter, anche la fondazione di Blogger, il
servizio per la pubblicazione semplificata di blog, acquistato nel 2003 da
Google. Un’evoluzione che sembra tracciare un disegno preciso: Twitter ha
aperto la rete a chiunque avesse 140 caratteri da comunicare, Blogger a chi
volesse avere una presenza sul web più strutturata. Adesso Medium – il cui nome
sembra indicativo – si pone a metà tra i due modelli, fondendo sistema
editoriale e social network. Presentando funzioni, come il commento dei singoli
paragrafi e l’indicazione del tempo necessario per la lettura, di cui non
dispongono nemmeno le più avanzate piattaforme di blog. Una forma di
comunicazione che Williams ha contribuito a lanciare qualcuno ritiene che lo
stesso termine blog sia stato reso popolare proprio da lui – ma che ai suoi
occhi adesso sembrano segnare il passo.
«I blog spesso creano una cultura
superficiale», dice il Ceo sempre a Wired. «Parte della ragione per cui molti
blog di tecnologia sono di cattiva qualità è che le persone che ne scrivono i
contenuti non capiscono davvero la materia di cui si occupano. Le notizie, la
maggior parte delle volte, sono irrilevanti. E le persone preferirebbero
spendere il loro tempo consumando meno notizie e più idee». Tutto il web, nella
visione di Williams, è infestato di contenuti di bassa qualità. Ce ne sono sui
blog, ce ne sono su tutta la rete. E ce ne sono, a volte, anche su Medium: il
servizio, quest’estate, è stato criticato per aver dato spazio a post
offensivi, contrariamente all’obiettivo dichiarato. «Anche su Medium abbiamo
contenuti di scarsa qualità», ammette Williams. «Ma stiamo lavorando per
filtrarli e lasciare spazio a quei grandi contenuti che sono presenti sulla
piattaforma e che senza Medium non vedrebbero la luce del sole». Alcune cifre
sui due maggiori social network, Facebook e Twitter. Ora si aggiunge Medium per
contenuti di qualità.
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