da:
Corriere della Sera
Meno di uno studente su 10 fa la formazione in azienda
Il ritardo dell’Italia sull’alternanza scuola-lavoro
di Leonard Berberi
La legge: il
decreto legislativo n° 77 del 15 aprile 2005 definisce le norme generali sull’alternanza
scuola-lavoro. Gli studenti che abbiano compiuto i 15 anni di età possono
chiedere di svolgere l’intera formazione dai 15 ai 18 anni con l’alternanza di
studio e di lavoro, sotto la responsabilità della scuola.
Le convenzioni: i percorsi
di alternanza sono progettati, verificati e valutati sotto la responsabilità
della scuola, sulla base di convenzioni con le imprese, con le camere di
commercio e industria e artigianato e con gli enti pubblici e privati
In teoria dovrebbe
servire ai ragazzi per orientarsi meglio. E per avere un primo approccio con il
mondo del lavoro. Del resto, «laddove è stata introdotta», l’esperienza
funziona. Nella pratica, però, è una realtà che stenta a decollare. E coinvolge
ancora pochi studenti. Per non parlare dell’occupazione, un tema che «non è
visto come parte integrante del percorso formativo».
Alternanza
scuola-lavoro, nuovo capitolo. A certificare che la strada è ancora lunga sono
i dati elaborati da Indire per il ministero dell’Istruzione. Cifre e analisi
che saranno presentate dal ministro Maria Chiara Carrozza giovedì al «Job&Orienta
2013» di Verona.
I numeri,
innanzitutto. Dicono che nell’ultimo anno scolastico gli studenti coinvolti
dall’alternanza scuola-lavoro sono stati quasi 228 mila. In aumento rispetto ai
189 mila del 2011/2012. Ma comunque pari all’8,7 per cento – meno di uno su
dieci – tra tutti gli iscritti alle scuole superiori. Se poi si va guardare più
da vicino i percorsi formativi, l’alternanza l’hanno fatta poco più di due
liceali su cento, il 6,3 per cento degli studenti degli istituti tecnici e il
28,3 per cento dei giovani dei professionali. Aumentano, negli anni, anche le
scuole superiori che hanno attivato il percorso: l’ultimo anno erano 45 per
cento. Segno più anche per le strutture che hanno accolto gli studenti: quasi
78 mila, di cui sei su dieci sono imprese.
«I dati indicano che
si sta andando nella giusta direzione, proprio perché l’alternanza è utile»,
commenta Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Giovanni Agnelli. Ma
aggiunge anche che «non è ancora abbastanza». Soprattutto in un sistema
scolastico, come quello italiano, dove «l’astrazione viene preferita alla
praticità». E infatti i problemi arrivano quando si entra nel mondo del lavoro.
«Al netto delle difficoltà congiunturali – racconta Gavosto – molti direttori
del personale si lamentano di avere a che fare con ragazzi disorientati, che
non hanno idea di come si sta in un’azienda o di come ci si comporta con capi o
colleghi».
Insomma, l’alternanza
non serve solo ad avere le idee più chiare sul futuro, ma anche a capire come
muoversi in un’impresa.
Per questo Daniele
Checchi, docente di Economia politica all’Università Statale di Milano,
sostiene che «l’alternanza fa sicuramente bene soprattutto a livello culturale.
Il vero problema, però, è il “come” questa attività viene organizzata». E sul «come»
il professor Checchi ha molti dubbi. «In Italia si tratta di attività che durano
qualche giorno o addirittura qualche ora: come fa un ragazzo ad avere un
assaggio del mondo del lavoro in così poco tempo?».
Ed ecco che torna alla
ribalta l’idea di copiare il «modello tedesco», un sistema che unisce
formazione scolastica e apprendistato in azienda. Con risultati soddisfacenti,
se è vero che tra il 50 e il 60 per cento degli studenti poi viene assunto. «Ma
attenzione – avverte Checchi – non possiamo adottare quel meccanismo “a
pacchetti”: o si prende tutto, e allora si interviene anche sull’organizzazione
delle scuole superiori, o non funziona». Il «modello tedesco» non dispiace ad
Andrea Gavosto: «Ma non sono così sicuro di voler spingere un ragazzino a dover
scegliere già a 11 anni cosa fare da grande. Meglio una forma “ibrida” che dia
la possibilità al giovane di scegliere all’interno dell’anno scolastico di fare
alcune materie pratiche».
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