da: la Repubblica
La retata di ultras della Lazio a Varsavia
viene giudicata con serena rassegnazione dalla nostra ambasciata, che segue la
vicenda nella convinzione che «la Polonia è un paese civile», e cerca di
assistere come può gli italiani fermati dopo gli scontri con la polizia; non
così il direttore sportivo della Lazio, Igli Tare, secondo il quale «non
avevano fatto niente di male, erano a Varsavia per vedere una partita di
calcio». I coltelli e le asce al seguito dei vivaci supporter erano,
evidentemente, oggetti d’uso personale: chi di noi, quando va all’estero, non
completa la sua borsa di viaggio con un’ascia? Le dichiarazioni di Tare sono la
miliardesima conferma della impossibilità congenita di risolvere la questione
del tifo violento in Italia. Non c’è niente da fare, le società sono complici
delle curve. O perché ne sono ricattate o perché — ed è anche peggio — non sono
più in grado di cogliere la differenza tra il tifo e la guerra per bande, che è
l’attività prediletta della quasi totalità dei curvaioli. La sola, decente
dichiarazione che il portavoce di una società di calcio potrebbe fare, quando i
suoi tifosi vanno in trasferta, è: scusateci. Ma non l’abbiamo mai sentita
fare.
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