venerdì 22 novembre 2013

Carlo Tecce: “I moniti di Re Giorgio, la storia di un governo suddito del Colle”

da: Il Fatto Quotidiano

Spifferi e moniti del Quirinale, incontri pubblici e privati. Ecco come il presidente della Repubblica ha commissariato governo e partiti. E protetto, da polemiche e scandali, i ministri Alfano e Cancellieri.

L’agenda Letta fabbricata al Quirinale
20 maggio 2013
“Il presidente della Repubblica ha ricevuto nel pomeriggio il ministro per le Riforme costituzionali, Gaetano Quagliariello, con i presidenti delle Commissioni Affari costituzionali dei due rami del Parlamento, Anna Finocchiaro e Francesco Paolo Sisto. L’incontro ha consentito di verificare la comune volontà di avviare senza indugio e di portare avanti in Parlamento un processo di puntuali modifiche costituzionali relative ad aspetti dell’ordinamento della Repubblica che richiedono di essere adeguati a esigenze da tempo individuate di un più lineare ed efficace funzionamento dei poteri dello Stato”.
Napolitano osserva la nascita del governo di Enrico Letta come se fosse, e nei fatti è, un’estensione del Quirinale. L’investitura includeva un programma da eseguire in 18 mesi (al massimo) e, soprattutto, la riforma costituzionale che passa attraverso la modifica dell’articolo 138, la cassaforte della Carta: tempi
più rapidi per il presidenzialismo. In più di un’occasione, in pubblico con gli ormai famosi moniti e in privato con riunioni con i capi di partito (spesso democratici), Napolitano ha aumentato le pressioni su Parlamento e Palazzo Chigi. Il 2 di giugno ripeteva:
“Vigilerò”. Il 3 giugno Napolitano fa sapere che il governo con un decreto vuole nominare una commissione di saggi per il riassetto costituzionale, precisa che “la composizione dell’organo è discrezione di Palazzo Chigi”. Ma l’appunto ufficiale ricorda che il Quirinale aveva già nominato dei saggi che possono tornare utili anche a Letta (suggerimento accolto). E il 23 ottobre, dopo aver rimproverato Matteo Renzi sulla legge elettorale, arringa: “Il fuoco di sbarramento non ci fermerà”.

Vietata la caccia ai caccia F-35
3 luglio 2013
Miliardi e armamenti. Scrive l’Ansa: “Il presidente della Repubblica, in piena sintonia con il governo e i ministri interessati, in una complessa nota ha spiegato come ‘tale facoltà del Parlamento non può tradursi in un diritto di veto su decisioni operative e provvedimenti tecnici che, per loro natura, rientrano tra le responsabilità costituzionali dell’Esecutivo’”.
A cosa si riferisce la “complessa nota”? A una commessa da decine di miliardi di euro che mezzo Parlamento vuole disdire, quella dei fragili (lo dicono svariate perizie di svariati eserciti) caccia F-35. Spesso il Quirinale consiglia al potere legislativo dove, come e quando agire. In questa circostanza, il presidente della Repubblica, capo delle Forze Armate, ammonisce deputati e senatori: la decisione spetta al governo. Che coincide con la decisione del Colle.

La benedizione a Elkann per Rcs
4 luglio 2013
La casa editrice Rcs soffre un faticoso aumento di capitale, mentre i debiti sono fuori controllo . La Fiat aumenta le quote in Rcs e John Elkann, presidente di Fiat, fa sapere di aver telefonato a Giorgio Napolitano per comunicare la quota di azioni raddoppiata al 20%. Il Quirinale non smentisce e non richiama alla discrezione. Il socio Diego Della Valle s’infuria: “Una cosa da Istituto Luce”.

Lo scudo kazako per Angelino Alfano
18 luglio 2013
“Dico che anche, ma non solo, per dei ministri è assai delicato e azzardato evocare responsabilità oggettive, ovvero consustanziali alla carica che si ricopre”.
Da una settimana l’Italia s’indigna per l’espulsione notturna, misteriosa e per tanti disumana, di Alma Shalabayeva, moglie di un dissidente kazako, e di una bambina di 7 anni, la figlia Alua. Alfano, ministro degli Interni, liquida uno scandalo internazionale con un pilatesco “non mi avevano informato”. Le notizie rincorrono anche la Farnesina e il ministro Emma Bonino. Così Napolitano interviene e, con un paio di frasi, salva Alfano, Bonino e Letta.

Cavaliere: grazia sì grazia no
1 agosto 2013
“Ritengo e auspico che possano ora aprirsi condizioni più favorevoli per l’esame, in Parlamento, di quei problemi relativi all’amministrazione della giustizia, già efficacemente prospettati nella relazione del gruppo di lavoro da me istituito il 30 marzo scorso”.
Non sono trascorse neanche due ore dal dispositivo in Cassazione letto dal giudice Esposito: Berlusconi, condannato a quattro anni per frode fiscale Mediaset. Il Quirinale detta una nota alle agenzie per sottolineare la reazione composta del Cavaliere e, come se fosse uno scambio, per evocare l’ennesima riforma, stavolta della giustizia. A Berlusconi non serve più a nulla. E così, il 13 agosto, il Colle illustra all’ex premier come chiedere la grazia. E lo rassicura: “A proposito della sentenza passata in giudicato, va innanzitutto ribadito che la normativa vigente esclude che Berlusconi debba espiare in carcere la pena detentiva irrogatagli e sancisce precise alternative, che possono essere modulate tenendo conto delle esigenze del caso concreto”. B. opterà per i servizi sociali.

Fuori tutti: amnistia e indulto
28 settembre 2013
Da Poggioreale: “Pongo al Parlamento un interrogativo: se esso ritenga di prendere in considerazione la necessità di un provvedimento di clemenza, di indulto e di amnistia”.
Le carceri italiane sono in condizioni pietose, ma anziché rivedere i termini di custodia cautelare e numerose leggi che rendono troppo affollati i penitenziari – come vorrebbe gran parte del Pd – Napolitano ‘propone’ il palliativo. Per un casuale gioco d’incastri, chissà se voluto, il provvedimento favorirebbe anche il condannato Berlusconi, imputato in altri processi. Il Parlamento non è entusiasta, protesta il Movimento Cinque Stelle e Napolitano li accusa: “Se ne fregano del Pa e s e”. Quando Renzi manifesta le sue perplessità, e si dice contrario, il presidente cerca di convincerlo con una telefonata.

La ministra dei Ligresti non si tocca
18 novembre 2013
“Il presidente della Repubblica ha apprezzato la chiarezza e il rigore delle decisioni e delle precisazioni venute dalla Procura di Torino”.

Mancano due giorni al voto a Montecitorio sulla mozione di sfiducia al ministro Anna Maria Cancellieri, un pezzo del Pd vuole le dimissioni. La Procura di Torino, nel trasferire gli atti ai magistrati competenti di Roma, non iscrive la Cancellieri nel registro degli indagati per una questione tecnica, e non di merito. Ma dal Colle arriva la segnalazione al governo: la faccenda è chiusa, la Cancellieri (in quota Quirinale) resta dov’è. Lo stesso Letta sarà costretto a immolarsi davanti all’assemblea del Pd, che si allinea.

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