lunedì 23 aprile 2012

Mediaset: cattive previsioni


da: Il Fatto Quotidiano
                       
Mediaset trasmette cattive previsioni
Niente frequenze e pubblicità in calo, bastano i tagli per non licenziare?
di Carlo Tecce

Pensate a una televisione che appare moderna a trent’anni, un po’ rugosa, forse decaduta. Pensate a un’azienda che fattura miliardi e distribuisce milioni, spesso oltre le regole e oltre  se stessa, ma che teme d’invecchiare povera. Pensate a Medaiset. E scoprirete che la soluzione è nel pizzone, sapore antico e ruggente. Il nastrone che il pioniere Silvio Berlusconi spediva fra Milano e Palermo, Torino e Trieste, per trasmettere in contemporanea e per ingannare le leggi. E’ un simbolo che ritona. Adesso che Cologno Monzese ordina di mandare i programmi in differita – mai più dirette per il varietà e l’informazione in salotto – per rastrellare quel mucchietto di spiccioli che naufraga in cassaforte. Il particolare non spiega la depressione Mediaset, ma ne misura perfettamente le paure.

Quelle paure che cicatrizzano la faccia di Fedele Confalonieri: non sopporta che il governo neghi le frequenze gratuite: non capisce perché la raccolta pubblicitaria evapori (-10% nel primo trimestre); non riconosce le cifre d’ascolto che suonano l’allarme; non accetta riduzioni del personale (si accontenta dei pensionamenti anticipati); non insegue il titolo in Borsa che si schianta a 1,7 euro. Bei ricordi, lontani, i 4,5 euro per azione di un anno fa. I numeri che prima correvano insieme, ora frenano con violenza.
L’impatto, però, va studiato con l’insidioso indice share. I tre canali generalisti, soltanto tre anni fa, sfioravano il 40 per cento e 4,2 milioni di telespettatori nell’intera giornata. Arriviamo al 2012, stesso periodo (gennaio-aprile): all’appello mancano 9 punti di share. Cifre ancora più ansimanti in prima serata, laddove si concentrano i milioni
veri con la pubblicità pregiata: i 10,7 milioni di italiani si riducono a 9. E non bastano le partite di calcio – che attirano pubblico e perdite fra investimenti e incassi a risollevare il Biscione. Il bilancio 2011 rilascia un utile di 225 milioni, e una tendenza che impressiona: l’indebitamento finanziario supera quota 1,59 e raggiunge 1,77 miliardi. L’azzardo multinazionale Endemol (casa di produzione), che doveva blindare il monopolio privato, svanisce con 145 milioni in bolletta. Quest’anno niente aiutino con la pubblicità, peggio: l’andamento lento fa ballare circa 250 milioni di euro, identica somma per i tagli previsti nei prossimi tre anni.
Non parlate di Spagna, per favore: seconda gamba azzoppata di un gruppo che affonda le radici nei paesi più involuti. Chi guarda Amici di Maria De Filippi non subisce le fibrillazioni in Mediaset, non fosse che la De Filippi è un tema centrale. No, la signora di cantanti e successi non fugge a Sky: la tentazione, però, l’ha provata davvero; e per il momento è sopita (non cancellata).

Il tormentato addio di Emilio Fede – che riempe di gioia Pier Silvio Berlusconi e capo Confalonieri – non risolve le discese di Canale 5 e Italia 1. La prossima estate, proprio Canale 5 convoca Salvo Sottile, conduttore di Quarto Grado su Rete 4, per richiamare le casalinghe disperse con la cronaca nera. Un bel contrappasso per l’azienda che vantava il pubblico più giovane e vivace d’Italia, ma serviva (anche) a giustificare il dominio pubblicitario.
I telegiornali già pagano un paio di rate: testata unica e inviati in comune, niente rinforzi estivi per le ferie. Esempio: chi finisce Matrix rientra al Tg5 di Clemente Mimun. A proposito. L’azienda vorrebbe rivoluzionare il telegiornale di Canale 5 (e dunque sostituire Mimun); ormai le notizie virano su Tgcom24 di Mario Giordano, un esperimento riuscito per contrastare Skytg24 e Rainews. Un particolare, ancora: non si trovano più giornali in redazione, non si comprano. Una stupidata, direte. Però, la carta nasconde quei dipendenti che vanno in pensione con l’incentivo e quei timori di Confalonieri: “Non licenziamo, per ora”. Il rischio è che i 250 milioni di risparmi siano uno zuccherino se la pubblicità diventa una malattia.

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