Siria, l'Onu fallisce ancora
Dalla Palestina al Kosovo, gli insuccessi dei piani
di pace
di Barbara Ciolli
Oltre 100 morti in
un giorno, più di 1.000 in
una settimana, con la guerra che, dalle impenetrabili città assediate, si
sposta sempre di più lungo i confini caldi del Libano e della Turchia.
A parole, la comunità internazionale si aspettava un raffreddamento degli scontri in Siria, dopo il sì formale del presidente Bashar al Assad all'improbabile piano di pace di Kofi Annan, inviato speciale dell'Onu e della Lega araba a Damasco.
A parole, la comunità internazionale si aspettava un raffreddamento degli scontri in Siria, dopo il sì formale del presidente Bashar al Assad all'improbabile piano di pace di Kofi Annan, inviato speciale dell'Onu e della Lega araba a Damasco.
SIRIA, L'ACCORDO
SALTATO. Invece l'accordo si è rivelato l'ennesimo buco nell'acqua della
diplomazia internazionale. Perché anziché mantenere l'impegno di ritirare le
truppe dai centri abitati entro martedì 10 aprile, il regime siriano ha
riaffermato il suo diritto a trasgredire, senza «garanzie scritte» dei ribelli
di sospendere le violenze entro l'alba del 12 aprile.
Assad non cede, né
gli insorti si fidano a deporre le armi. E la guerra va avanti, nonostante, a
marzo i punti per il cessate il fuoco fossero stati chiaramente esposti dall'ex
segretario generale dell'Onu al presidente siriano, nel suo faccia a faccia a
Damasco.
ONU, TUTTI I PIANI
INUTILI. Evidentemente, quando annuiva ad Annan, Assad sapeva bene quanto
aleatori fossero, per consuetudine, i piani delle Nazioni unite. E come fosse
facile aggirarli, vedendosi ritorcere contro al massimo qualche rimprovero
dell'Occidente e degli Usa.
Dall'inutile (e
dispendiosa) istituzione del Quartetto per il Medio oriente, incaricato di
risolvere il conflitto israelo-palestinese, ai sanguinosi fallimenti dei piani
dell'Onu nell'ex Jugoslavia e in Ruanda, fino al contenzioso in
Kosovo, la lista dei fiaschi diplomatici è lunga.
Kosovo, la lista dei fiaschi diplomatici è lunga.
E, per chi vuole,
approfittarne è drammaticamente prevedibile.
Gli interventi
falliti: dalla risoluzione 181 sulla Palestina alla 1244 sul Kosovo
È singolare,
infatti, che il primo piano per la divisione in due Stati della Palestina -
alla quale si appellano oggi gli Stati Uniti e, in linea con la posizione
dell'Unione europea, anche il premier Mario Monti - risalga alla risoluzione
Onu 181 del 1947: la madre di tutti i fallimenti del Palazzo di Vetro.
All'epoca respinta
dai palestinesi, la soluzione proposta segnò, nei fatti, il riconoscimento
dello Stato d'Israele e l'inizio della prima guerra per i territori contesi,
nel 1948.
PALESTINA,
L'INCONCLUDENTE QUARTETTO. Oltre mezzo secolo e quattro guerre dopo, dal 2002
il conflitto arabo-israeliano è in mano all'inconcludente consesso del
Quartetto per il Medio oriente (Stati Uniti, Russia, Ue e Onu), che nella sua road
map per la pace ha previsto la soluzione dei due popoli in due Stati,
ridisegnati entro i confini precedenti alla guerra dei sei giorni del 1967,
attraverso il ritiro dai territori occupati e il blocco dell'espansione delle
colonie (entrambi inapplicati) di Israele.
Dopo che, a
settembre 2011, il blitz della Palestina di aggirare l'impasse diplomatica
chiedendo il riconoscimento unilaterale all'Onu si è infranto sui veti del
Consiglio di sicurezza, la palla è passata di nuovo ai negoziatori del
Quartetto.
Ma questa non è
l'unica questione etnico-religiosa rimasta irrisolta.
KOSOVO, L'IMPASSE
DELL'ONU. Sui tavoli polverosi del Palazzo di Vetro pende anche l'annosa
questione del Kosovo. Protettorato delle Nazioni unite dalla fine della 'guerra
umanitaria' del 1999 (sferrata dalla Nato in mancanza di accordo su una
risoluzione Onu), da 13 anni la regione è sotto l'amministrazione straordinaria
provvisoria delle Nazioni unite. Contemporaneamente, però, la risoluzione 1244
dell'Onu che regola l'intervento internazionale di peacekeeping, la riconosce
anche come parte del territorio serbo.
VETO DI RUSSIA E
CINA SU PRISTINA. Il risultato è che, dopo la proclamazione unilaterale
d'indipendenza del 2008, il groviglio diplomatico non è ancora stato sciolto:
89 dei 193 Stati dell'Assemblea dell'Onu (tra i quali Stati Uniti e 22 Paesi
dell'Ue) hanno dichiarato il Kosovo Stato sovrano.
Russia e Cina, invece, come per la Siria, si sono opposti in Consiglio di Sicurezza. E, come per la Palestina, il veto delle potenze del consesso ha impedito a Pristina il suo riconoscimento.
Russia e Cina, invece, come per la Siria, si sono opposti in Consiglio di Sicurezza. E, come per la Palestina, il veto delle potenze del consesso ha impedito a Pristina il suo riconoscimento.
Ruanda e Bosnia:
due genocidi, nonostante l'Onu
L'avere scelto
Kofi Annan come mediatore per la guerra civile siriana, inoltre, significa aver
dimenticato - o, peggio ancora, soprasseduto - sull'ignavia, nel 1994, dei
caschi blu dell'Onu, schierati in Ruanda per limitare lo spargimento di sangue
nella guerra civile.
Nei 100 giorni che
segnarono il riesplodere degli scontri tra hutu e tutsi, culminato nel massacro
di 1 milione di persone a colpi di machete, le forze di peacekeeping
dell'Unamir (United nations assistance mission for Ruanda), create nel 1993 con
la risoluzione 872 delll'Onu, brillarono per la loro inadeguatezza.
IL RIFIUTO DI KOFI
ANNAN. Rimasto sguarnito con poche centinaia di uomini, invano il generale
Romeo Dallaire chiese rinforzi per almeno 5 mila unità al Palazzo di Vetro.
L'allora
responsabile Onu delle operazioni di pace in Africa Kofi Annan - poi promosso,
nel 1996, segretario generale - rifiutò di inviare nuovi militari in Ruanda,
fino a quando l'ondata di barbarie non si fosse placata. Esponendo,
contemporaneamente, alla mercé dei boia i pochi caschi blu rimasti
coraggiosamente sul campo.
In seguito, Kofi Annan avrebbe fatto mea culpa, ammettendo non aver saputo evitare un genocidio che, a cascata, ha provocato la nuova guerra civile in Congo del 1998: un teatro di violenze nel quale, come successivamente in Darfur, le titubanti missioni Onu hanno operato in modo egualmente infruttuoso.
IL MASSACRO DI SREBRENICA. Un anno dopo l'ecatombe tra hutu e tutsi, infine, un secondo genocidio si sarebbe consumato sotto gli occhi impotenti dei caschi blu e dell'Europa.
In seguito, Kofi Annan avrebbe fatto mea culpa, ammettendo non aver saputo evitare un genocidio che, a cascata, ha provocato la nuova guerra civile in Congo del 1998: un teatro di violenze nel quale, come successivamente in Darfur, le titubanti missioni Onu hanno operato in modo egualmente infruttuoso.
IL MASSACRO DI SREBRENICA. Un anno dopo l'ecatombe tra hutu e tutsi, infine, un secondo genocidio si sarebbe consumato sotto gli occhi impotenti dei caschi blu e dell'Europa.
Nel 1995, nella
Srebrenica posta sotto la tutela delle Nazioni unite, oltre 8 mila musulmani
furono massacrati e gettati in fosse comuni dalle truppe serbo-bosniache di
Ratko Mladíc, in una zona che per il Palazzo di Vetro era «area sicura».
Gli accordi di
Dayton, siglati nello stesso anno in Ohio, avrebbero poi posto fine alla guerra
civile esplosa nel 1992. Ma non alla frantumazione dei Balcani, presto sfociata
nel nuovo conflitto in Kosovo.
Tutt'oggi, mentre imperversano gli scontri in Siria e a 20 anni dagli eccidi delle squadracce della morte, la Bosnia-Erzegoniva - divisa dai diplomatici nella Federazione croato-musulmana e nella Repubblica serba - resta una grande incompiuta.
Tutt'oggi, mentre imperversano gli scontri in Siria e a 20 anni dagli eccidi delle squadracce della morte, la Bosnia-Erzegoniva - divisa dai diplomatici nella Federazione croato-musulmana e nella Repubblica serba - resta una grande incompiuta.
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