mercoledì 18 aprile 2012

Edmondo Berselli: L’Economia giusta / 4


[..] Domande autenticamente integrali che si poneva Karol Wojtila nella Centesimus Annus, l’enciclica uscita nel secolare anniversario della Rerum Novarum, e che era ancora intrisa culturalmente e psicologicamente dello scontro esistenziale fra l’Occidente capitalista e il marxismo, di cui Giovanni Paolo II ha continuato per tutta la vita ad avvertire il peso e la sfida.

   […] si può forse dire che, dopo il fallimento del comunismo, il sistema sociale vincente sia il capitalismo, e che verso di esso vadano indirizzati gli sforzi dei Paesi che cercano di ricostruire la loro economia e la loro società? [..] La risposta è ovviamente complessa. Se con «capitalismo» si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia, la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare di «economia d’impresa», o di «economia di mercato» o semplicemente di «economia libera». Ma se con «capitalismo» si intende un sistema in cui la libertà nel settore dell’economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa.

E’ stato un politologo di grande notorietà, Daniel Bell, l’inventore della formula sulla «fine dell’ideologia», a illustrare gli effetti corrosivi del mercato sul sistema culturale della società contemporanea. Riporta Anthony Giddens:

La vita morale della modernità è stata lasciata senza guide trascendentali. La cultura si è così separata dall’economia e dalla vita sociale. Il capitalismo dipende da un «puritanesimo secolare» nella sfera della produzione, ma si è arreso agli imperativi del piacere e del gioco in quella del consumo. Il liberalismo (di nuovo nell’accezione americana) incoraggia la libertà individuale e la sperimentazione nell’arte e nella letteratura così come nella vita economica. E tuttavia, agli occhi di Bell, tale sperimentazione, allorquando penetra nelle aree della vita familiare, della sessualità e dell’esperienza morale in generale, produce un individualismo sfrenato che minaccia la struttura sociale e crea il vuoto. «Nulla è proibito» e «tutto dev’essere esplorato»: «l’assenza di un sistema di credenze morali radicate è la contraddizione culturale della società, la più grave minaccia alla sua sopravvivenza».

D’altronde è stato Keynes, nel 1925, a scrivere che «il capitalismo moderno è assolutamente irreligioso […] Tale sistema deve essere immensamente, non solo moderatamente, efficace per sopravvivere». Proprio in relazione al lato dissolutivo dell’esperienza del capitalismo estremo, e allo «scandalo» dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, Giovanni Paolo II non avrebbe esitato a parlare dei «grani di verità» disseminati nell’ideologia marxista, considerata quasi alla stregua di un’eresia cristiana rispetto al persistere dell’ingiustizia verso i deboli. Karol Wojtila non aveva mai rinunciato a una prospettiva visionaria, in cui l’Europa «santa» delle cattedrali cristiane si sarebbe riunita dopo la caduta del marxismo e delle sue superfetazioni politiche, ma nella quale si sarebbe mantenuta una differenza culturale e umanistica rispetto a un capitalismo senza freni.

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