[..] Domande
autenticamente integrali che si poneva Karol Wojtila nella Centesimus Annus,
l’enciclica uscita nel secolare anniversario della Rerum Novarum, e che era
ancora intrisa culturalmente e psicologicamente dello scontro esistenziale fra
l’Occidente capitalista e il marxismo, di cui Giovanni Paolo II ha continuato
per tutta la vita ad avvertire il peso e la sfida.
[…] si
può forse dire che, dopo il fallimento del comunismo, il sistema sociale
vincente sia il capitalismo, e che verso di esso vadano indirizzati gli sforzi
dei Paesi che cercano di ricostruire la loro economia e la loro società? [..]
La risposta è ovviamente complessa. Se con «capitalismo» si indica un sistema
economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del
mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi
di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia, la
risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare
di «economia d’impresa», o di «economia di mercato» o semplicemente di
«economia libera». Ma se con «capitalismo» si intende un sistema in cui la
libertà nel settore dell’economia non è inquadrata in un solido contesto
giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri
come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e
religioso, allora la risposta è decisamente negativa.
E’ stato un
politologo di grande notorietà, Daniel Bell, l’inventore della formula sulla «fine
dell’ideologia», a illustrare gli effetti corrosivi del mercato sul sistema
culturale della società contemporanea. Riporta Anthony Giddens:
La
vita morale della modernità è stata lasciata senza guide trascendentali. La
cultura si è così separata dall’economia e dalla vita sociale. Il capitalismo
dipende da un «puritanesimo secolare» nella sfera della produzione, ma si è arreso
agli imperativi del piacere e del gioco in quella del consumo. Il liberalismo
(di nuovo nell’accezione americana) incoraggia la libertà individuale e la
sperimentazione nell’arte e nella letteratura così come nella vita economica. E
tuttavia, agli occhi di Bell, tale sperimentazione, allorquando penetra nelle
aree della vita familiare, della sessualità e dell’esperienza morale in
generale, produce un individualismo sfrenato che minaccia la struttura sociale
e crea il vuoto. «Nulla è proibito» e «tutto dev’essere esplorato»: «l’assenza
di un sistema di credenze morali radicate è la contraddizione culturale della
società, la più grave minaccia alla sua sopravvivenza».
D’altronde è stato
Keynes, nel 1925, a
scrivere che «il capitalismo moderno è assolutamente irreligioso […] Tale
sistema deve essere immensamente, non solo moderatamente, efficace per
sopravvivere». Proprio in relazione al lato dissolutivo dell’esperienza del
capitalismo estremo, e allo «scandalo» dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo,
Giovanni Paolo II non avrebbe esitato a parlare dei «grani di verità»
disseminati nell’ideologia marxista, considerata quasi alla stregua di
un’eresia cristiana rispetto al persistere dell’ingiustizia verso i deboli.
Karol Wojtila non aveva mai rinunciato a una prospettiva visionaria, in cui
l’Europa «santa» delle cattedrali cristiane si sarebbe riunita dopo la caduta
del marxismo e delle sue superfetazioni politiche, ma nella quale si sarebbe
mantenuta una differenza culturale e umanistica rispetto a un capitalismo senza
freni.
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