da: http://www.lettera43.it/
Margherita tradita dall'art.18
Taranto: ex impiegata dell'Ilva in lotta dal 2006 per il reintegro.
di Antonietta Demurtas
Margherita tradita dall'art.18
Taranto: ex impiegata dell'Ilva in lotta dal 2006 per il reintegro.
di Antonietta Demurtas
Quando l'ex impiegata dell'Ilva, Margherita Pillinini, sente parlare di articolo 18, accenna un sorriso. Amaro. Perché a lei, ancora prima che la riforma di Elsa Fornero lo modificasse, questo strumento non l'ha mai tutelata.
Sei anni in attesa di giustizia. Licenziata nel 2005 dall'acciaieria di Emilio Riva, in cui lavorava come impiegata dal 1995, da sei anni vive con la sola liquidazione e il sostegno del marito, in attesa di un verdetto del giudice che disponga il suo reintegro.
Ma la sua
storia è ancora più lunga ed è una delle tante che hanno portato la Corte di
Strasburgo ad assegnare all'Italia, per il quinto anno consecutivo, la maglia
nera per il settore giustizia.
Nel 2011,
è il Paese con il maggior numero di sentenze inapplicate (2.522 su un totale di
10.689). E la maggior parte dei casi è legata alla lentezza della giustizia.
Voglia di dimenticare. In questo caso una lentezza ancora più estenuante,
perché Margherita è certa di avere ragione, tanto che i legali della
controparte le hanno chiesto di arrivare a un accordo. E lei in questi giorni
ci sta pensando. Dopo tanti veleni e frustrazioni, il suo licenziamento ha
cercato di rimuoverlo, «quasi non ci penso più», racconta a Lettera43.it
in un bar davanti al ponte girevole di Taranto. «Quando passo davanti all'Ilva
la guardo, ed è come se non avessi mai lavorato dentro quell'inferno».
Le tante
facce del mobbing: molestie, cassa integrazione e diffamazione
Perché
per lei dal 1999 è stato un vero inferno. Da quando un giorno il capo del
personale Italo Biagiotti la
convocò in ufficio e le disse: «Se vuoi rimanere nell'azienda devi trasformare il tuo contratto di lavoro da impiegata di settimo livello a operaia».
convocò in ufficio e le disse: «Se vuoi rimanere nell'azienda devi trasformare il tuo contratto di lavoro da impiegata di settimo livello a operaia».
Il ricatto: da impiegata a operaia. Un colpo per Margherita che dal
1995 lavorava in direzione e poi, quando l'ufficio legale fu trasferito a
Milano, passò a quello di liquidazione e fatture. «Io sono nata impiegata e
morirò impiegata», rispose.
Un
rifiuto che le sarebbe costato il trasferimento nella palazzina Laf (laminatoio
a freddo), se il procuratore Franco Sebastio non l'avesse appena sigillata. La
Laf era, infatti, un reparto punitivo dove venivano confinati gli impiegati
Ilva che si erano rifiutati di lavorare con qualifiche e mansioni inferiori a
quelle maturate.
I soprusi diventano quotidiani. Ma a far cambiare idea a
Margherita ci provarono comunque con un altro tipo di mobbing: «Biagiotti mi
convocava anche tre volte al giorno nel suo ufficio per farmi sempre la stessa
domanda e mi intimava 'guardi che le conviene accettare'». Ma Margherita,
nonostante le continue sollecitazioni, non fece mai un passo indietro.
Cercava
di non pensarci anche perché in ufficio aveva ben altri problemi: «Il mio capo
era un matto, un maniaco sessuale, ci insultava in continuazione». Fu lui a
metterla in cassa integrazione insieme ad altre colleghe che come lei erano
poco compiacenti nei suoi confronti. «Una di loro poi lo denunciò per molestie
sessuali», ha ricordato Margherita, «io fui chiamata a testimoniare e confermai
la sua versione».
Dirigente condannato per molestie sessuali. Un'onta terribile per l'azienda
che fu costretta a far dimettere il dirigente, arrestato e condannato a sei
mesi di reclusione, e cercare di non far cadere l'attenzione mediatica sul
caso.
Ma a
pagare le conseguenze per quella triste vicenda fu proprio Margherita: «Al mio
ritorno in ufficio dopo la cassa integrazione, un dirigente mi disse: «Signora,
per noi è un grande imbarazzo lavorare con lei».
Così le vessazioni e le discriminazioni continuarono in un crescendo, «sino a quando non trovarono il modo per farmi davvero fuori», racconta Margherita.
Licenziata con una falsa accusa, Margherita inizia la sua lotta
Così le vessazioni e le discriminazioni continuarono in un crescendo, «sino a quando non trovarono il modo per farmi davvero fuori», racconta Margherita.
Licenziata con una falsa accusa, Margherita inizia la sua lotta
Nell'ottobre
del 2005 un giovane operaio, Francesco Boccuni, che terminava il suo contratto
di formazione e lavoro all'Ilva fu coinvolto in un gioco di potere più grande
di lui. Per la sua riconferma a tempo indeterminato era necessaria la fedina
penale pulita, «un giorno lo zio, operaio anche lui all'Ilva, mi chiamò per
chiedermi se potevo dare un'occhiata alla sua pratica», ricorda Margherita, «e
io mi limitai a dirgli che risultavano alcuni precedenti penali e che l'Ilva di
solito non conferma mai questo tipo di persone».
False accuse e favori. Invece Boccuni fu assunto a tempo indeterminato. E
Margherita licenziata. Uno scambio di teste, di favori, di ricatti. Tutto
«orchestrato dal cugino di Boccuni, Gennaro Oliva, un sindacalista della Uilm»,
ha denunciato Margherita, «che d'accordo con il capo del personale Biagiotti,
fece scrivere una lettera a Boccuni dove dichiarava che io gli avevo chiesto
una tangente di mille euro per ottenere l'assunzione».
L'ammissione del ricatto. Un falsa accusa in cambio di una vera assunzione era il patto. Che il ragazzo accettò. E così dopo cinque giorni di sospensione, il 31 ottobre 2005 Margherita fu licenziata. A scoprire però il terribile inganno fu la mamma del ragazzo, «un giorno mi chiamò in lacrime per scusarsi e mi raccontò del ricatto a cui era stato sottoposto il figlio».
L'ammissione del ricatto. Un falsa accusa in cambio di una vera assunzione era il patto. Che il ragazzo accettò. E così dopo cinque giorni di sospensione, il 31 ottobre 2005 Margherita fu licenziata. A scoprire però il terribile inganno fu la mamma del ragazzo, «un giorno mi chiamò in lacrime per scusarsi e mi raccontò del ricatto a cui era stato sottoposto il figlio».
Processo in corso dal 2006. Un racconto che sconvolse Margherita, ma allo
stesso tempo le diede la forza di denunciare i responsabili. Nel 2006 si è
aperto il processo a carico di Italo Biagiotti, allora dirigente del
siderurgico, ora in pensione ma ancora consulente dell'azienda, e Gennaro
Oliva, il sindacalista Uilm. Il ragazzo invece, Boccuni, si è costituito come
parte offesa perchè vittima del ricatto occupazionale. «Io invece ho aperto una
causa civile per il licenziamento e una penale per diffamazione», spiega
Margherita, che ora aspetta che la giustizia faccia il suo corso convinta delle
sue ragioni.
Racconto diventato documentario. Di quella vicenda non ne vuole più parlare. Ma in
città tutti la conoscono ormai, grazie anche al racconto che la regista
Valentina D'Amico ha inserito nel documentario La Svolta. Donne contro
l'Ilva. E al disegno che Nico Pillinini, suo fratello e vignettista della Gazzetta
del Mezzogiorno le ha dedicato, ritraendola come un cavaliere che
sconfigge il drago. «Non sono mai scesa a compromessi e questo mi dà la forza
di continuare a vivere», dice Margherita con un sorriso, questa volta
raggiante.
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