venerdì 20 aprile 2012

Lavoro, art. 18: Margherita Pillinini, licenziata dall’Ilva, in attesa di giustizia da sei anni


da: http://www.lettera43.it/

Margherita tradita dall'art.18
Taranto: ex impiegata dell'Ilva in lotta dal 2006 per il reintegro. 
di Antonietta Demurtas 

Quando l'ex impiegata dell'Ilva, Margherita Pillinini, sente parlare di articolo 18, accenna un sorriso. Amaro. Perché a lei, ancora prima che la riforma di Elsa Fornero lo modificasse, questo strumento non l'ha mai tutelata.

Sei anni in attesa di giustizia. Licenziata nel 2005 dall'acciaieria di Emilio Riva, in cui lavorava come impiegata dal 1995, da sei anni vive con la sola liquidazione e il sostegno del marito, in attesa di un verdetto del giudice che disponga il suo reintegro.
Ma la sua storia è ancora più lunga ed è una delle tante che hanno portato la Corte di Strasburgo ad assegnare all'Italia, per il quinto anno consecutivo, la maglia nera per il settore giustizia.
Nel 2011, è il Paese con il maggior numero di sentenze inapplicate (2.522 su un totale di 10.689). E la maggior parte dei casi è legata alla lentezza della giustizia.
Voglia di dimenticare. In questo caso una lentezza ancora più estenuante, perché Margherita è certa di avere ragione, tanto che i legali della controparte le hanno chiesto di arrivare a un accordo. E lei in questi giorni ci sta pensando. Dopo tanti veleni e frustrazioni, il suo licenziamento ha cercato di rimuoverlo, «quasi non ci penso più», racconta a Lettera43.it in un bar davanti al ponte girevole di Taranto. «Quando passo davanti all'Ilva la guardo, ed è come se non avessi mai lavorato dentro quell'inferno».

Le tante facce del mobbing: molestie, cassa integrazione e diffamazione
Perché per lei dal 1999 è stato un vero inferno. Da quando un giorno il capo del personale Italo Biagiotti la
convocò in ufficio e le disse: «Se vuoi rimanere nell'azienda devi trasformare il tuo contratto di lavoro da impiegata di settimo livello a operaia».
Il ricatto: da impiegata a operaia. Un colpo per Margherita che dal 1995 lavorava in direzione e poi, quando l'ufficio legale fu trasferito a Milano, passò a quello di liquidazione e fatture. «Io sono nata impiegata e morirò impiegata», rispose.
Un rifiuto che le sarebbe costato il trasferimento nella palazzina Laf (laminatoio a freddo), se il procuratore Franco Sebastio non l'avesse appena sigillata. La Laf era, infatti, un reparto punitivo dove venivano confinati gli impiegati Ilva che si erano rifiutati di lavorare con qualifiche e mansioni inferiori a quelle maturate.
I soprusi diventano quotidiani. Ma a far cambiare idea a Margherita ci provarono comunque con un altro tipo di mobbing: «Biagiotti mi convocava anche tre volte al giorno nel suo ufficio per farmi sempre la stessa domanda e mi intimava 'guardi che le conviene accettare'». Ma Margherita, nonostante le continue sollecitazioni, non fece mai un passo indietro.
Cercava di non pensarci anche perché in ufficio aveva ben altri problemi: «Il mio capo era un matto, un maniaco sessuale, ci insultava in continuazione». Fu lui a metterla in cassa integrazione insieme ad altre colleghe che come lei erano poco compiacenti nei suoi confronti. «Una di loro poi lo denunciò per molestie sessuali», ha ricordato Margherita, «io fui chiamata a testimoniare e confermai la sua versione».
Dirigente condannato per molestie sessuali. Un'onta terribile per l'azienda che fu costretta a far dimettere il dirigente, arrestato e condannato a sei mesi di reclusione, e cercare di non far cadere l'attenzione mediatica sul caso.
Ma a pagare le conseguenze per quella triste vicenda fu proprio Margherita: «Al mio ritorno in ufficio dopo la cassa integrazione, un dirigente mi disse: «Signora, per noi è un grande imbarazzo lavorare con lei».
Così le vessazioni e le discriminazioni continuarono in un crescendo, «sino a quando non trovarono il modo per farmi davvero fuori», racconta Margherita.


Licenziata con una falsa accusa, Margherita inizia la sua lotta
Nell'ottobre del 2005 un giovane operaio, Francesco Boccuni, che terminava il suo contratto di formazione e lavoro all'Ilva fu coinvolto in un gioco di potere più grande di lui. Per la sua riconferma a tempo indeterminato era necessaria la fedina penale pulita, «un giorno lo zio, operaio anche lui all'Ilva, mi chiamò per chiedermi se potevo dare un'occhiata alla sua pratica», ricorda Margherita, «e io mi limitai a dirgli che risultavano alcuni precedenti penali e che l'Ilva di solito non conferma mai questo tipo di persone».
False accuse e favori. Invece Boccuni fu assunto a tempo indeterminato. E Margherita licenziata. Uno scambio di teste, di favori, di ricatti. Tutto «orchestrato dal cugino di Boccuni, Gennaro Oliva, un sindacalista della Uilm», ha denunciato Margherita, «che d'accordo con il capo del personale Biagiotti, fece scrivere una lettera a Boccuni dove dichiarava che io gli avevo chiesto una tangente di mille euro per ottenere l'assunzione».
L'ammissione del ricatto. Un falsa accusa in cambio di una vera assunzione era il patto. Che il ragazzo accettò. E così dopo cinque giorni di sospensione, il 31 ottobre 2005 Margherita fu licenziata. A scoprire però il terribile inganno fu la mamma del ragazzo, «un giorno mi chiamò in lacrime per scusarsi e mi raccontò del ricatto a cui era stato sottoposto il figlio».
Processo in corso dal 2006. Un racconto che sconvolse Margherita, ma allo stesso tempo le diede la forza di denunciare i responsabili. Nel 2006 si è aperto il processo a carico di Italo Biagiotti, allora dirigente del siderurgico, ora in pensione ma ancora consulente dell'azienda, e Gennaro Oliva, il sindacalista Uilm. Il ragazzo invece, Boccuni, si è costituito come parte offesa perchè vittima del ricatto occupazionale. «Io invece ho aperto una causa civile per il licenziamento e una penale per diffamazione», spiega Margherita, che ora aspetta che la giustizia faccia il suo corso convinta delle sue ragioni.
Racconto diventato documentario. Di quella vicenda non ne vuole più parlare. Ma in città tutti la conoscono ormai, grazie anche al racconto che la regista Valentina D'Amico ha inserito nel documentario La Svolta. Donne contro l'Ilva. E al disegno che Nico Pillinini, suo fratello e vignettista della Gazzetta del Mezzogiorno le ha dedicato, ritraendola come un cavaliere che sconfigge il drago. «Non sono mai scesa a compromessi e questo mi dà la forza di continuare a vivere», dice Margherita con un sorriso, questa volta raggiante.

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