La Cassazione: "Dell'Utri mediò tra mafia e Berlusconi"
«Il
Cavaliere pagò cospicue somme per la sua sicurezza»
Non c’è
dubbio che fu Marcello Dell’Utri, negli anni Settanta, a fare da «mediatore»,
da «trait d’union», tra il suo amico e datore di lavoro Silvio Berlusconi,
all’epoca solo lanciatissimo imprenditore, e Cosa Nostra. Lo sottolinea, a
sorpresa, la Cassazione nelle motivazioni della sentenza 15727 che spiega in
146 pagine perchè lo scorso 9 marzo, suscitando polemiche, aveva annullato con
rinvio la condanna a sette anni di reclusione per concorso esterno inflitta al
senatore il 29 giugno 2010 dalla Corte di Appello di Palermo che aveva ridotto
di due anni la pena Dell’Utri - scrive la Suprema Corte - è stato il
«mediatore» dell’accordo protettivo per il quale Berlusconi pagò alla mafia
«cospicue somme» per la sua sicurezza e quella dei suoi familiari. In maniera
«corretta», rileva la sentenza, sono state valutate, dai giudici di Palermo, le
«convergenti dichiarazioni» di più collaboratori sul tema «dell’assunzione, per
il tramite di Dell’Utri, di Mangano ad Arcore, come la risultante di
convergenti interessi di Berlusconi e di Cosa Nostra». Provata anche la «non
gratuità dell’accordo protettivo, in cambio del quale sono state versate
cospicue somme da parte di Berlusconi in favore della mafia». In tutto questo,
Berlusconi pagò «in posizione di vittima», sentendosi in «stato di necessità»
per proteggere sè e i suoi familiari dal rischio, soprattutto, di sequestri di
persona. Anche se, osservano i supremi giudici, rispetto ad altre possibili
scelte, Berlusconi «risentiva di una certa, espressa propensione a ’monetizzarè,
per quanto possibile, il rischio cui era esposto e a spostare sul piano della
trattativa economica preventiva l’azione delle fameliche consorterie criminali
che invece si proponevano con annunci intimidatori».
In nessun caso, in questo capitolo giudiziario relativo al periodo del patto sulla protezione ad Arcore, la posizione di Dell’Utri è assimilabile a quella di «una vittima che subisce», anche lui, come Berlusconi, il ricatto mafioso. La
tesi è «implausibile». Per quanto, invece, riguarda il capitolo del sostegno
di Cosa Nostra alla discesa in campo di Berlusconi con ’Forza Italià, la
Cassazione concorda con i giudici di merito nel non ritenerlo sufficientemente
provato e ventila la possibilità di spostare in avanti la prescrizione che
altrimenti cadrebbe il 30 giugno 2014. «È infatti evidente - scrive il
consigliere relatore Maria Vessicchelli in questo verdetto che ’rivitalizzà il
concorso esterno - che non è una regola generale quella per cui un continuativo
rapporto illecito su base patrimoniale con Cosa Nostra, di per sè gratificata
per un certo arco di tempo dalla apertura del canale privilegiato di
comunicazione con l’imprenditore Berlusconi, possa avere implicato, come
risposta, da parte della stessa associazione, una necessaria e naturale
disponibilità al sostegno di iniziative di tipo politico, assunte dopo un
ventennio dall’inizio dei primi rapporti, che il soggetto ’estortò intendeva
assumere».In nessun caso, in questo capitolo giudiziario relativo al periodo del patto sulla protezione ad Arcore, la posizione di Dell’Utri è assimilabile a quella di «una vittima che subisce», anche lui, come Berlusconi, il ricatto mafioso. La
Bocciata anche la richiesta della Procura di Palermo di dare ascolto a Massimo Ciancimino e alle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, gli ultimi a parlare di rapporti tra mafia e il partito di Berlusconi, costruito da Dell’Utri con i manager di Publitalia, molti eletti in Parlamento. I supremi giudici concordano nel giudizio di inattendibilità del primo e approssimazione del secondo. Passa alla storia, convalidato dalla Suprema Corte, l’incontro diretto avvenuto nel 1974, in uno degli uffici milanesi del Cavaliere, tra i boss Di Carlo - che lo ha raccontato - Teresi e Bontade alla presenza, ovviamente, di Dell’Utri. L’esito del summit fu quello di rendere operativo l’accordo sulla protezione e inviare subito Mangano ad Arcore. Ma c’è un grosso vuoto che la Corte di Appello dovrà colmare, quello che riguarda il concorso esterno dal 1978 al 1982, quando Dell’Utri andò a lavorare con il finanziere Rapisarda. Per questi quattro anni servono prove oggettive e soggettive del fatto che il senatore continuò a favorire Cosa Nostra. Mentre per il periodo dal 1982 in poi, contatti con i clan ci furono, ma occorre dimostrare che l’intenzione reale di Dell’Utri era quella di aiutare la mafia e non altri o altro. Per Massimo Krogh, legale di Dell’Utri, la cosa fondamentale è che la Cassazione ha scritto che per «trenta anni di accuse di concorso esterno, dal 1978 al processo di primo grado, non ci sono prove. Tutto il resto non è importante, è solo la tendenza dei media a pescare nelle sentenze solo gli aspetti più suggestivi».
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