Soldi ai partiti, più trasparenza ma il sistema resta
lo stesso
Da una lunga
riunione fra i tecnici dei tre partiti di maggioranza che sostengono il governo
(Pd, Pdl, Udc) sono infine uscite le norme che dovrebbero riformare il metodo
di finanziamento pubblico ai partiti politici, garantendo più trasparenza nella
gestione e prevedendo pene più severe per i trasgressori.
Niente da fare per
coloro - tanti - che speravano che le nuove norme prevedessero perlomeno una
ridiscussione del sistema stesso di finanziamento; magari l'annullamento di
norme incomprensibili come quella che garantisce ai parlamentari i rimborsi per
tutti e cinque gli anni della legislatura anche nel caso in cui questa duri
pochi mesi; sicuramente una riduzione di quella pioggia di denaro che foraggia
le casse dei partiti alimentando inevitabilmente meccanismi di corruzione.
Niente di tutto
ciò. Le direttive si limitano a regolare l'aspetto gestionale e si articolano
su una serie di punti, molti dei quali incentrati sulla questione del bilancio.
Innanzitutto i bilanci dei partiti dovranno essere sottoposti, per legge, al
controllo e alla certificazione di società di revisione iscritte nell’albo
speciale Consob.
Si istituisce
inoltre una Commissione per la trasparenza ed il controllo dei bilanci dei
partiti politici, presieduta dal presidente della Corte dei Conti e composta
dal presidente del Consiglio di Stato e dal primo presidente della Corte di
cassazione o da loro delegati. La Commissione sarà incaricata di effettuare il
controllo dei rendiconti, delle relazioni e delle note integrative dei bilanci
che i singoli partiti dovranno depositare entro il 15 luglio di ogni anno.
La commissione
trasmetterà ai presidenti della Camera e del Senato, entro il 30 settembre di
ogni anno, una relazione sull’esito dei controlli. Nel caso in cui emergessero
irregolarità, sono previste multe. In quel caso i presidenti di Camera e Senato
dovranno applicare “sanzioni amministrative pecuniarie pari a tre volte la
misura delle irregolarità stesse”.
Una volta
approvati, i bilanci verranno pubblicati sui siti internet di ciascun partito,
oltre che su una apposita
sezione del sito ufficiale della Camera. Anche i
partiti che non percepiscono più rimborsi elettorali saranno comunque soggetti
all’obbligo di rendicontazione di cui alla legge 2/1997 fino al loro
scioglimento.
Sul fronte
investimenti, per evitare che i soldi escano dal paese e finiscano in altri
circuiti economici – si pensi ai soldi della Lega investiti in Tanzania e Cipro
-, si prevede che i partiti possano investire la propria liquidità
esclusivamente in titoli di Stato italiani.
Infine, dovranno
essere rese pubbliche le donazioni ai partiti politici superiori a 5mila euro,
mentre nel caso in cui siano i partiti a versare contributi – superiori a
50mila euro annui - a fondazioni, enti e istituzioni o società, è previsto
l’obbligo per questi ultimi di sottoporsi ai controlli della Commissione.
Queste le novità.
È innegabile che si tratta di provvedimenti necessari, ma è altrettanto vero
che essi trattano solo un aspetto – quello della trasparenza dei conti – di una
questione che andrebbe affrontata in maniera ben più complessa e, per certi
versi, radicale. Il discredito in cui è caduta la politica non si risolve certo
istituendo l'ennesima commissione (la quale peraltro non prevede alcun
controllo pubblico).
Sarebbe necessario
un cambiamento repentino, che dimostri la volontà della politica di liberarsi
dalle sue stesse catene, da quel “viluppo di corruzione e privilegi, di uso
privato di risorse pubbliche e di spudorata impunità [...] sempre più
stringente, che soffoca una democrazia in affanno e ne aggrava una crisi già
drammatica”, nelle parole di Stefano Rodotà
su Repubblica. Ma non sembra che questo sia nell'agenda dei nostri politici,
non per il momento.
A.D.
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