lunedì 5 marzo 2012

Russia: vittoria scontata di Putin



Russia, il trionfo annunciato di Putin
Le lacrime in piazza: "Vittoria onesta"
Il premier passa al primo turno col 63%, l'opposizione protesta. 
Zyuganov: "Elezioni illegittime"
di Domenico Quirico

Putin ha vinto. Ovviamente. Non è questa la novità. Stavolta però non tutto va a modino. C’è chi fa chiasso, contesta, accusa, elucubra apertamente di brogli a bigonce, di turlupineidi nei seggi. E il rumore ha un’eco grande come 50 milioni di internauti. Il risultato che in passato sarebbe stato archiviato senza patos, seguito da un rapido rompete le righe, ha una rugginosa appendice: gli insoddisfatti danno appuntamento al presidente già per oggi, in piazza con una manifestazione. Sèguito pericoloso, zeppo di sinistre chances. Si annuncia per lo zar un nuovo, forse imprevisto, tempo di torbidi.

Dunque 64,3 per cento allo «zar cechista», quanto basta per sfogare l’ego autocratico per altri sei anni almeno, da aggiungersi ai 12 precedenti. Poi, dopo un abisso, gli altri, i soliti palafrenieri: Zyuganov comunista con il 17,1 per cento; e l’ultras a vita Zhirinovsky, l’oligarca ultraliberista Prokhorov e il dubbio socialista Mironov si spartiscono i rimasugli.

Un minuto dopo l’annuncio dei risultati Zyuganov era in tv per annunciare che «le elezioni non sono state legittime»: «Di questa illegalità soffre tutta la Russia, noi comunisti siamo pronti a combattere e alzeremo la pressione sia in strada sia in modo organizzativo».

Ma non è dei neo-bolscevichi che Putin deve preoccuparsi. In piazza ci andrà soprattutto l’opposizione informale, che nelle urne non era rappresentata, i radical-sinistri, la gente di Internet, i seguaci del blogger anticorruzione Navalny, il dissidente dell’epoca del Web.

Abituato a rivali belanti, gli scombinano la geometria autoritaria. Sono la prima vera incrinatura negli immancabili destini dell’ex Kgb, la prova ancora embrionale ma chiassosa che il terreno si sta muovendo, che è iniziato un ennesimo, forse promettente, disgelo.

I brogli certamente ci sono stati, la rete di osservatori presente in massa comunque solo a Mosca e Pietroburgo ne ha indicati almeno 5 mila. Ieri alla stazione della metropolitana vicina all’aeroporto di Vnukovo i capibastone - si racconta - pagavano i voti 2 mila rubli. Tanto, segno che qualcuno nel Potere era inquieto. Sono tanti, troppi 5 mila possibili maneggi. Ma non abbastanza per mettere in dubbio politicamente quanto è uscito dai 93 mila seggi di tutta la Russia.

Putin ha vinto perché il suo carisma, che assomiglia a quello di un boa constrictor, funziona sempre. Perché l’ordine conta nelle teste della maggioranza ancora più della legalità. Perché la verticale del potere, giù giù senza interruzioni, resta lo scheletro di questo Paese dove convivono «success stories» all’americana e fallimenti che darebbero i brividi a Dickens, isole di modernità ed economia di sussistenza, un centinaio di miliardari e una popolazione che vive senza protezione sociale.

Mescolarsi al popolo putiniano ieri sera riunito, anzi convocato con significativo anticipo, alla festa della vittoria in piazza del Maneggio, 100 mila persone, guarnite dall’apparato di bandiere, lumini, collari con la doppia w, «Vladimir Vladimovic», aiutava a capire. Alle 19, due ore prima della chiusura dei seggi, già sbucavano dalla metropolitana: in file ordinatissime, inquadrati, attenti a non smarrire le guide che li precedevano tenendo in alto cartelli con i numeri: «gruppo 8», dipartimento risorse territoriali («tenetevi in colonna»); «c6», dipartimento della proprietà («presenti!»); dipartimento presidenziale («spostatevi sull’altra piazza dove sono pochini ancora»), fabbrica Likhaciov («siete in ritardo!»). Marciavano svelti, lo sguardo smorto, come se svolgessero un lavoro. Facevano così già ai tempi del socialismo reale. È la risorsa amministrativa. Nei giorni scorsi i capi sezione negli uffici pubblici, negli ospedali, nei distretti scolastici hanno convocato i dipendenti: «Domenica 4 marzo giornata lavorativa, tenetevi a disposizione, dobbiamo fare bella figura».

Seguire le elezioni russe dà un leggero senso di vertigine: le forme esteriori della democrazia si accoppiano con le strutture reali e autoritarie di governo. Nuova è la tecnologia del potere, non la sua ideologia. Nessuno ha vietato i controlli nei seggi. Ma nessun giudice accoglierà mai i ricorsi, o porterà fino in fondo le istruttorie. Per questo i petrorubli e il nazionalismo bastano a Putin per farsi rieleggere all’infinito: il vitello d’oro e la patria russa. Quelli che lo hanno votato sanno benissimo cosa c’è dietro il palcoscenico ma lasciano fare; e questo per Putin vuol dire adesione.

La sintesi perfetta la offre una signora modestamente vestita, con in mano la bandierina russa, in attesa di superare i controlli di un’armata di poliziotti che presidiano la festa: «Ho così sofferto durante gli anni della fine dell’Urss! Non voglio rivivere tutto questo. Le accuse, le proteste sono provocazioni. I video dei presunti brogli li hanno preparati da settimane, non so chi. Io non ci credo».

Alle dieci, molti putiniani lasciavano la piazza e il vento assassino. Si sono persi così l’ostetrico della Russia nuova, sbucato dal Cremlino con passo bersaglieresco alle 22.45, accoppiato a Medvedev, già in tinta da ex presidente. Quello che doveva diventare il Bruto russo ha fatto da spalla diligente: «Il nostro Paese aveva bisogno di questa vittoria e noi non la cediamo a nessuno». Poi ringrazia gli elettori anche nei luoghi più sperduti: «Abbiamo vinto in una sfida aperta libera giusta. È stato un test della nostra maturità e della nostra indipendenza. Abbiamo capito che il nostro popolo sarà capace di distinguere la vera modernizzazione dalle provocazioni e dai tentativi di dividerci. Non passeranno. Gloria alla Russia». Ha le lacrime agli occhi, ma poi dira: «Erano vere, ma solo perché c’era il vento». Bandiere, tripudi, se ne va.

Il vero problema russo è che la distinzione tra essi e noi, tra società e potere, rimane intatta. Lo squarcio che si era aperto nel periodo di Gorbaciov e poi sotto Eltsin, brevemente, è stato già ricucito. Il potere è di nuovo una macchina implacabile, bizantina. Appuntamento oggi in piazza Pushkin.

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