mercoledì 9 ottobre 2013

Migranti: le ragioni della fuga dall’Africa nera

da: Lettera 43

Migranti, le ragioni della fuga dall'Africa nera
Guerre eterne. Obbligo di leva a vita. Pulizia etnica. Carestie. Così somali ed eritrei scappano.

C'erano centinaia di eritrei tra i migranti della strage di Lampedusa, l'ecatombe del mare che ancora non ha finito di restituire corpi straziati. Chi si è salvato ha raccontato ai soccorritori e alla stampa di una fuga dalla guerra e dalla dittatura, dalle privazioni e dalla paura. Così come, prima di loro, avevano fatto altri disperati in arrivo dall'Africa nera.

LA FUGA DEGLI ERITREI. I rifugiati eritrei sono oltre 70 mila soltanto in Etiopia, il Paese contro il quale combattono da mezzo secolo: 30 mila di loro sono stipati nei campi profughi di Berahle, Mayaini e Adiaharish. Altre migliaia hanno riparato nei centri d'accoglienza del Gibuti, gestiti da Addis Abeba. E poi, ancora più a Sud, gli eritrei si sono rifugiati nei campi del Sudan, in Uganda e in Kenya.
A loro si sono mischiati migliaia di civili somali, in fuga dall'anarchia, dalla carestia e dalla violenza: condizioni ormai permanenti nel Corno d'Africa.

DAL KENYA A LAMPEDUSA. Così somali ed eritrei in fuga dal 'Medioevo' partono per viaggi della speranza che spesso si trasformano in viaggi di morte. Ma non ci sono alternative.
Rientrare in patria significa infatti la persecuzione. I parenti di chi scappa o si oppone ai regimi vegono maltrattati o addirittura arrestati. Tanto che da almeno 10 anni la maggioranza dei migranti eritrei e somali gode del diritto d'asilo. Ma, come sa bene l'Unione europea, le richieste dai campi profughi africani, che scoppiano, impiegano anni per essere vagliate ed evase.
TRAFFICANTI E SCHIAVISTI. Solo i ricongiungimenti famigliari vanno rapidamente in porto. E per questo migliaia di profughi - soprattutto giovani - pagano profumatamente i trafficanti di esseri umani che popolano il deserto per raggiungere l'Europa.
L'Eritrea di Afwerki: pulizia etnica e guerra permanente

L'odissea degli eritrei comincia dal loro isolamento in patria.
REGIME MILITARE PERMANENTE. Nel Paese, dal 1993 in pugno al dittatore Isaias Afwerki, i ragazzi scappano dal regime militare obbligatorio e spesso prolungato a tempo indeterminato, che include lavori forzati per reclute e addestramento dei minori.
I dissidenti - circa 5 mila prigionieri politici in uno Stato di poco più di 5 milioni di abitanti - vengono incarcerati e torturati dal regime, le elezioni vengono rimandate e i movimenti d'opposizione soffocati. La minoranza Afar, di etnia asiatica, è vittima di pulizia etnica.
NESSUNA LIBERTÀ DI STAMPA. Dal 2007, per sei anni consecutivi, il Press freedom index (Indice della libertà di stampa) stilato da Repoter sans frontieres ha classificato l'Eritrea come il Paese con la minore libertà di stampa al mondo, seguito persino dalla Corea del Nord. Human right watch e Amnesty international hanno più volte denunciato la natura feroce della dittatura, in uno Stato piccolo ma multilingue e con nove gruppi etnici.
LA GUERRA MAI FINITA. A spingere alla fuga è anche la miseria di un Paese agricolo e ostinatamente chiuso in se stesso - nonostante sia ricco di risorse e dotato di uno sbocco strategico sul Mar Rosso - che non si è mai risollevato dall'ultima guerra con l'Etiopia, dalla quale ha ottenuto l'indipendenza nel 1993 dopo decenni di conflitto.
Le battaglie per definire i confini non sono mai finite: l'ultima è del 1998 (formalmente chiusa nel 2000 anche se l'esercito etiope continua a presidiare i centri assegnati dall'Onu all'Eritrea).
ISOLAMENTO INTERNAZIONALE. In due anni di scontri, tra il 1998 e il 2000, 19 mila soldati eritrei sono morti e migliaia di civili sono stati sfollati, senza più poter tornare nelle loro case.
Inoltre, a differenza dell'Etiopia che ha stabilito buone relazioni con gli Stati Uniti e l'Europa, godendo del sostegno della Banca mondiale, il regime di Asmara ha interrotto accordi e cooperazione con Bruxelles. E ha vietato l'ingresso nel Paese delle organizzazioni umanitarie, nonostante sia afflitto da siccità e da emergenze alimentari.

Somalia: senza uno Stato centrale, vittima dei terroristi e della fame

Anche la Somalia, tre volte più grande dell'Eritrea, è reduce da una lunga guerra con l'Etiopia.
Contesa dalle potenze occidentali nell'epoca coloniale, dopo il colpo di Stato del generale Siad Barre, nel 1969, la striscia del Corno d'Africa è diventata il campo di battaglia di una lunga guerra civile intermittente.
L'ONU SCONFITTO A MOGADISCIO. Il regime venne rovesciato nel 1991 e da allora la Somalia è finita in mano a gruppi tribali, in un crescendo di violenza culminato con il fallimentare intervento dell'Onu nella battaglia di Mogadiscio, nel 1933.
Da allora il Paese è caduto in mano prima ai Signori della guerra, che hanno messo in fuga i caschi blu dell'Onu e gli americani, per poi passare nelle mani delle Corti islamiche e all'estremismo di al Qaeda. In uno stato di costante emergenza umanitaria.
1 MILIONE DI PROFUGHI SOMALI.  Nel campo profughi più grande del mondo - Daaab in Kenya - si trovano 380 mila stranieri, per la maggioranza somali: il flusso d'ingresso è pari a 1.000 persone al giorno, l'80% dei quali donne e bambini malnutriti.
Nel 2012 l'Alto commissariato per i Rifugiati delle Nazioni unite (Unhcr) ha stimato in 1 milione i somali riparati in altri Paesi della regione.
Altri 1,3 milioni vivono in campi di sfollati all'interno della Somalia, dentro tende di tela e plastica, vittime frequenti di  stupri, razzie e violenze.
SEQUESTRI E TRAFFICO DI ORGANI. Non stupisce dunque che dal Sudan e dal Kenya questo popolo di 'senzaterra', insieme con gli eritrei, finisca per mettersi in marcia, scortato dai trafficanti, in un lungo esodo verso le rotte che portano in Nord Africa e poi in Europa.
Tra loro c'è chi viene ucciso dalle bande di predoni del Sinai che rivendono i loro organi, chi è sequestrato in Egitto in cambio di un riscatto, e chi salta da un camion a un altro per approdare infine in Libia. Dove spesso è costretto a lavorare in nero come schiavo per pagare gli scafisti, oppure rischia di essere rinchiuso in prigione.
Un inferno che può durare anni, lungo rotte sconosciute e segnate da sofferenze di ogni tipo.

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