lunedì 11 giugno 2012

Nomine Rai: il decisionismo di Monti un’operazione di maquillage non un intervento chirurgico


da: Lettera 43

Monti cambia pensioni e lavoro, ma non la Rai  
ll premier rinnova i vertici, ma non tocca la governance dell'azienda. Che resta nelle mani dei partiti
di Paolo Madron  


Modesta domanda al governo, magari a rischio di risultare irritanti: perché in pochi mesi si riescono a cambiare (tagliandole) pensioni e mercato del lavoro, e invece non si riesce a riformare la Rai?
Perché ci si mette così poco a essere forti con i deboli, a fare strame del loro portafoglio nonché delle aspettative di vita, e invece su certe questioni che, con tutto rispetto della televisione pubblica, non toccano gli interessi collettivi, ci si muove a rilento?
E allora parliamo di questa Rai, un tema che irrompe nel pubblico dibattito dopo il perentorio intervento con cui Monti ne ha azzerato i vertici nominando due outsider, Anna Maria Tarantola e Luigi Gubitosi, rispettivamente presidente e direttore generale.
DIFFICILE LA NOMINA DEL PRESIDENTE. Il problema, nella fattispecie, non sono le persone, ma il metodo. Ovvero: che senso ha agire sulle linee di comando dell’azienda lasciando intatto il suo meccanismo di governance? Quale senso la soddisfazione di aver scelto due tecnici svincolati dall’influenza dei partiti se poi si lascia ai medesimi il governo dell’azienda.
Toccherà  infatti alla Commissione di vigilanza, il parlamentino che governa sui destini della Rai, ratificare a maggioranza qualificata la nomina del nuovo presidente. E, a sentire gli uomori che girano, tutto sarà meno che 
una passeggiata.

MONTI INDICA ANCHE IL DIRETTORE. Toccherà poi al consiglio d’amministrazione fare altrettanto con quella del direttore generale. Qui per inciso, come è stato subito notato, il governo ha commesso una invasione di campo arrogandosi con l’indicazione di Gubitosi una decisione che spetta invece per legge al consiglio.
C’è da immaginare, ovviamente , lo scatenarsi di veti incrociati, inciuci tra partiti o correnti, nonché il solito globale mercanteggiamento che a viale Mazzini riguarda le poltrone di vertice come gli ultimi strapuntini.
Ma come, si fa in un mese una riforma drastica e dolorosa tagliando le pensioni, ci si sbarazza (anche se con i dovuti distinguo) di un totem inviolabile come l’articolo 18, e sulla Rai si rimanda tutto a tempi migliori?
Migliori per cosa, viene da chiedersi. Per rinviare nelle mani di qualcun altro la patata bollente, o perché la partitocrazia rinunci sua sponte ai suoi famelici intenti spartitori?
MEGLIO METTERE IN VENDITA LA RAI. Risultato: Tarantola e Gubitosi arriveranno con le migliori intenzioni, forti del mandato di risanare un’azienda che, se non si interverrà tempestivamente, potrebbe chiudere l’anno con quasi 400 milioni di debito. Ma si troveranno il fiato sul collo della Commissione di vigilanza, ovvero i partiti, e del consiglio d’amministrazione (ovvero dei rappresentanti in Rai del partiti) che nella migliore delle ipotesi faranno ostruzione.
Il premier Monti avrebbe dovuto senza indugio mettere in vendita la Rai, forse l’unico modo per recidere definitivamente il cordone ombelicale che la lega alla politica. Non avendolo fatto, doveva almeno introdurre una riforma della governance che alla politica la rendesse il più possibile impermeabile.
Invece ha scelto un maquillage di superficie, innestando due facce nuove su un corpo decrepito e maleodorante.
Un altro errore di indecisionismo che gli costerà caro.

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