da: la Repubblica
Giovani per la pensione, vecchi per un posto a 40
anni con l’incubo della disoccupazione
Gli annunci di lavoro nell’87% dei casi sono per gli
under 44. Sono cresciuti dell’8% i contratti a termine per i 40-49enni
di Roberto Mania
Scarti a 40 anni. Scarti dopo aver perso un lavoro e non riuscirne a trovare un altro. Scarti. Quella degli over 40 espulsi dal mercato del lavoro rischia di diventare presto una nuova emergenza sociale. Perché non ci sono solo i giovani precari del lavoro. Secondo alcune stime sarebbero quasi un milione e mezzo i disoccupati e gli scoraggiati cosiddetti “maturi” (età media 45 anni), troppo giovani per la pensione, troppo vecchi per una nuova occupazione stabile. Con una differenza: i giovani possono tornare (e in molti casi lo fanno) alla famiglia d’origine, i “vecchi” hanno moglie e figli da mantenere e un mutuo da pagare.
Il 65% dei
disoccupati over 40 è capofamiglia, l’80% è uomo. È una vita che finisce quando
si viene licenziati a 40 anni e passa. Ne comincia un’altra dominata
dall’incertezza. Meno del 5% ritrova un lavoro solido. Non si torna più
indietro. È uno sconquasso, anche emotivo. Gli esodati, nuova categoria sociale
prodotta dall’ultima durissima riforma delle pensioni, ci hanno mostrato un
pezzo del fenomeno in carne ed ossa che altrimenti sarebbe rimasto in
chiaroscuro. Come in tutti questi anni mentre in silenzio si ingrossavano,
dalla fine degli anni Novanta, le file degli over 40 senza lavoro: disoccupati,
mobbizzati, scoraggiati, precari, discriminati, sommersi, invisibili, poveri e,
infine, abbandonati. Gli ultimi figli del baby boom, vittime della
globalizzazione che ha dettato anche i tagli al welfare state nazionale.
Aggrediti nella propria identità. Perché «il lavoro - ha scritto il sociologo
Luciano Gallino - non è soltanto un mezzo di sussistenza.
Il lavoro rimane ed è
destinato a rimanere per generazioni un fattore primario di integrazione sociale
».
IL TURN OVER
A metà degli anni
80 l’economista torinese Bruno Contini studiò il processo di sostituzione del
personale all’interno delle aziende italiane attraverso la leva dei contratti
di formazione e lavoro, incentivati dagli sgravi fiscali e contributivi. Parlò
allora di “old out, young in”: i giovani assunti al posto degli anziani
espulsi. Quasi un patto tra padri e figli, un patto non proprio raffinato, ma
un patto.
«Oggi non ha più
senso parlarne - dice Contini - . Oggi continuano ad esserci gli old out, ma non ci sono più i giovani che entrano nelle
imprese. Da più di dieci anni a questa parte, il ricambio è scarsissimo.
Gli over quaranta senza lavoro sono
uno dei nuovi soggetti della precarietà. Molti di loro sono entrati nel mercato del lavoro con i contratti flessibili, e sono rimasti precari ». Stefano Giusti è un
cinquantenne. Vive a Roma. È il presidente di Atdal, l’associazione per la
tutela dei lavoratori over 40. È laureato in sociologia. Nel 2004 si ritrova
senza lavoro: chiude la società con cui collaborava. «Nessun problema, mi
dissi. Figuriamoci se non trovo un altro lavoro! Mi sbagliavo. Cerco, ma non
trovo nulla per quasi un paio d’anni. Qualunque lavoro. Faccio il cameriere,
l’addetto dei call center, il giardiniere. Faccio di tutto, ma non tutti mi
vogliono. Un giorno vedo un cartello affisso sulle vetrine di un negozio di
calzature: “Cercasi commesso”.
Eccomi! Il titolare mi chiede il curriculum e quando glielo porto mi fa:
“Ma lei è laureato. No, non me la sento
di prenderla”». Perché l’85% dei disoccupati over 40 - secondo Atdal - è in
possesso di una laurea o di un diploma di scuola media superiore. Sa usare il
computer e conosce l’inglese. Ma alle aziende non interessa: è vecchio. Qualche
anno fa la Sda Bocconi ha effettuato una ricerca sugli annunci di lavoro
pubblicati sui quotidiani. Quasi il 43%
delle inserzioni indica un vincolo
anagrafico e nell’87% dei casi è inferiore ai 44 anni. In media si cerca
personale con un’età compresa tra i 24 e
34 anni. Gli altri sono out. Ma gli annunci che escludono gli anziani sono
contro le leggi europee recepite in Italia e che vietano le discriminazioni
anche per l’età.
UOMINI A RISCHIO
Per gli uomini è
peggio che per le donne. Perché gli uomini non sanno gestire l’insuccesso
sociale. Molti ricevono la lettera di licenziamento ma non lo dicono a nessuno,
nemmeno alla moglie. Fingono di continuare a condurre la vita precedente.
Raccontano innanzitutto a se stessi una grande bugia che allunga e complica il
recupero dopo lo shock della perdita del lavoro. «Che - spiega Laura Menza,
psicologa del lavoro, impegnata da anni tra i disoccupati maturi - è un trauma
pari a quello di un lutto. I disoccupati maturi hanno una serie di
responsabilità sulle proprie spalle: la famiglia, i figli da mantenere, spesso
i genitori anziani da sostenere. Privati del lavoro non possono più affrontare
queste responsabilità. È la perdita di una parte di sé. All’inizio c’è
l’incredulità e, soprattutto tra gli uomini, si coltiva un senso di colpa: ho
perso il lavoro, è colpa mia. C’è un senso di vergogna. Si frantuma la propria
identità. Si perde l’autostima».
Quello che
rimarcano di più i disoccupati over 40 è il senso di abbandono che sono costretti a vivere. Le istituzioni
evaporano perché nei fatti i centri per l’impiego non funzionano e il sostegno
al reddito (cassa integrazione o mobilità) non è per tutti (solo un lavoratore
su quattro è protetto). «Per l’azienda sei diventato un nemico dopo che gli hai
dato tutto per anni », dice Aurelio D., 55 anni, che per una cessione di ramo
d’azienda (settore delle consulenze) si è ritrovato senza niente dalla sera
alla mattina. E il sindacato? «Quando sei licenziato non c’è più il sindacato
». Resta, anche in questo caso, la famiglia nei casi in cui l’altro coniuge
lavora. E la famiglia regge se c’è
«una situazione ben strutturata», spiega ancora Menza. Altrimenti si frantuma,
pure sul piano affettivo. «Almeno nel
30% dei casi finisce con la separazione».
Poi c’è la rete informale, i rapporti di amicizia, quei pochi fili che non si
rompono e tengono in collegamento gli ex colleghi.
«Ora lavoro
all’Università - racconta Giusti -. Ho trovato un contratto a termine grazie
alla segnalazione di un mio amico. Scado a luglio. Poi si vedrà».
TREND IN CRESCITA
Pure l’ultimo
Rapporto dell’Istat certifica che i contratti a termine crescono tra gli
adulti: nel 2011 la quota dei 30-39enni sul totale degli occupati a termine è
stata pari al 12,6 % e quella dei 40-49enni all’8,8 % (erano, rispettivamente,
il 7,7 e il 5,3% nel 1993). Nella maggioranza dei casi, l’over 40 licenziato si
trasforma da dipendente a partita Iva
forzata, diventa consulente. Si mette in proprio. È un modo per
ricostruirsi un’identità sociale. Spesso per non rivelare di essere
disoccupato. Da qui lo scarto tra i numeri dell’Istat che per gli over 40
registra nel suo ultimo Rapporto 846 mila disoccupati (erano 540 mila nel 1993)
e le stime di Atdal che parla di almeno 1,5 milioni.
Inviare il
curriculum non serve a niente. Lo sanno tutti, eppure tutti lo fanno. Marco N.
ha 54 anni, da quasi dieci è in cassa integrazione a zero ore. È un informatico
che non ama l’informatica. Il suo sogno professionale rimane quello di fare il
ferroviere, «macchinista, operatore, qualunque cosa tra i binari». «Ho mandato
il curriculum a Ntv di Montezemolo anche in inglese. Nessuna risposta: vogliono
solo giovani». Il paradosso, nel continuo sordo declino italiano, è che questi
over 40 senza lavoro sentono di contare meno, nel dibattito pubblico, dei
giovani precari. Eppure l’età media dell’elettore italiano coincide proprio con
la loro. «Ma noi - sostiene Aurelio - non blocchiamo il traffico ferroviario,
non saliamo sui tetti, non incendiamo i cassonetti. Noi siamo invisibili».
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