Più parole che musica in
«Banga», l'ultimo album di Patti Smith. Che per fortuna torna dal vivo
Per un artista la sfida più grande di tutte non è tanto farcela, quanto
restare all'altezza di sé stessi. Nel caso in cui si appartenga all'eletta
schiera delle leggende viventi, trattasi di vera e propria impresa titanica.
All'assunto non si sottrae certo la 65enne Patricia Lee Smith, meglio nota come
Patti Smith, già sacerdotessa del rock, icona post-punk,
epigona di Rimbaud.
Dal vivo la signora riesce ancora travolgente, soprattutto quando
interpreta pezzi di quella meravigliosa tetralogia che incise dal '75 al '79.
Qualche perplessità in più la destano invece le sue recenti prove
discografiche, piuttosto spente. Non fa eccezione «Banga», suo undicesimo album
in studio uscito proprio in questi giorni: qualche indiscutibile prova di
bravura, poi poca ispirazione ed enormi pretese. Come dire: se si esclude il
felice esperimento del penultimo «Twelve» - che era un album di cover – per
trovare un disco in cui la Nostra riesce (piuttosto) all'altezza di sé stessa
tocca tornare indietro fino a «Gone Again» del '96.
Internazionale «citazionista». L'opera
incisa nei leggendari Electric Ladyland Studios di New York, insieme con la
band che la accompagna in tour (l'immancabile Lenny Kaye alla chitarra, Tony
Shanahan al basso, Jay Dee Daugherty alla batteria) più amici e parenti (il
leader dei Televison Tom Verlaine, Jack Petruzzelli e i di lei figli Jackson e
Jesse Paris), come al solito abbonda di citazioni più o meno esplicite. Si apre
con «Amerigo», brano zeppo di recitativi che ripercorre le gesta datate 1497
dell'esploratore Amerigo Vespucci. In «Constantine» la rockeuse rivede «Il
sogno di Costantino» di Piero della Francesca, con tanto di voce italiana
impostata che recita Francesco d'Assisi («Signore, fa di me uno strumento della
tua pace…»). E la Signora chiacchiera per ben dieci minuti dieci. Nella ballata
acustica «Seneca» ci scappa pure l'omaggio al filosofo stoico condannato al suicidio dalle manie di persecuzione di Nerone. C'è spazio per le visioni di «Tarkovskij» e per quelle de «Il Maestro e Margherita»: la title track «Banga» porta infatti il nome del cane di Ponzio Pilato citato nel capolavoro di Michail Bulgakov. Poi un po' di Giappone in «Fuji-San», atto d'amore verso la terra martoriata da terremoti e tsunami. Citazioni da tutto il mondo. E in tutti casi parliamo di brani poveri di melodia, parlati piuttosto che cantanti. «Genere» cui ai tempi belli la divina Patti destinava massimo tre o quattro pezzi ad album. Non è un caso se, mentre ascolti «Banga», a un certo punto hai voglia di tirarlo via dall'impianto e mettere su «Horses», l'essenziale suo debutto datato 1975 e «illustrato» dal grande Robert Mapplethorpe.
acustica «Seneca» ci scappa pure l'omaggio al filosofo stoico condannato al suicidio dalle manie di persecuzione di Nerone. C'è spazio per le visioni di «Tarkovskij» e per quelle de «Il Maestro e Margherita»: la title track «Banga» porta infatti il nome del cane di Ponzio Pilato citato nel capolavoro di Michail Bulgakov. Poi un po' di Giappone in «Fuji-San», atto d'amore verso la terra martoriata da terremoti e tsunami. Citazioni da tutto il mondo. E in tutti casi parliamo di brani poveri di melodia, parlati piuttosto che cantanti. «Genere» cui ai tempi belli la divina Patti destinava massimo tre o quattro pezzi ad album. Non è un caso se, mentre ascolti «Banga», a un certo punto hai voglia di tirarlo via dall'impianto e mettere su «Horses», l'essenziale suo debutto datato 1975 e «illustrato» dal grande Robert Mapplethorpe.
Epitaffi per la Winehouse e la
Schneider. Cosa salvare allora di «Banga»? Qualche
guizzo c'è per fortuna. I due epitaffi, innanzitutto. «This is the girl» è una ballata delicata e commovente sulla
prematura scomparsa di Amy Winehouse, stella del nuovo R'n'b che a 27 anni è
naufragata in quello stesso mare di eccessi che Patti conobbe da ragazza. Brano
che fa idealmente il paio con «About a Boy», la traccia di «Gone Again» in
memoria di Kurt Cobain. «Maria» è una piano ballad di rara intensità, scritta a
commento della dipartita di un'eroina della controcultura anni Settanta: la
protagonista di «Ultimo tango a Parigi» Maria Schneider.
Meno male che c'è il vecchio Neil. Anche
«April Fool», primo singolo estratto dall'album, si difende. Segno che la
grande artista che ci regalò «Wave», quando non strafa, sa ancora cimentarsi
con la forma canzone. Carina «Nine», regalo musicale di compleanno per il suo
amico (e fan) Johnny Depp. La vetta più alta del disco è comunque l'ultima
traccia: la cover filologica di «After the Gold Rush» di Neil Young. Poche le
licenze che la Smith si concede rispetto all'originale: un verso cambiato (il
«1970» che diventa «21st Century») e il coro di voci bianche che prende il
posto del solo di flicorno. Quasi una logica prosecuzione di ciò che cinque
anni fa ha rappresentato «Twelve».
E per fortuna torna in tour. Perché a
Patti ultimamente due cose riescono bene: la riproposizione dei suoi classici
dal vivo e le cover. Si è visto alla scorsa edizione di Sanremo, dove ha dato
il meglio di sé tra «Because the Night» e «Impressioni di settembre» della Pfm.
E lo si vedrà a luglio prossimo: il 14 è a Novello Barolo, il 15 a Bologna, il 18 a Molfetta, il 19 al
Neapolis Festival di Giffoni, il 20
a Roma, il 22
a Gardone Riviera, il 23 a Milano, il 24 Perugia e
per concludere il 26 ad Arezzo. Andateci. Vale sempre il prezzo del biglietto.
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