Stato
mafia, concluse le indagini. Dell'Utri mediatore
Gli indagati sono dodici, ma della trattativa rispondono in dieci:
cinque mafiosi, quattro uomini dello Stato e Marcello Dell'Utri, personaggio
che negli anni oggetto dell'inchiesta, il '92-'93 e i successivi, era border
line tra l'imprenditoria, la politica e - secondo l'accusa - anche la mafia.
L'avviso di conclusione delle indagini sulla cosiddetta trattativa tra Stato e mafia, e' stato e notificato a partire da ieri sera ai 12 indagati. Tra le novita' il ruolo attribuito a Dell'Utri, che avrebbe fatto da mediatore - cosi' sostiene la Procura di Palermo - con Silvio Berlusconi, pure lui oggetto del ricatto, nella qualita' di presidente del Consiglio appena nominato, nel 1994.
Fra coloro che i pm ritengono responsabili anche l'ex capo della
polizia, Vincenzo Parisi, e l'ex vicedirettore del Dipartimento
dell'amministrazione penitenziaria, Francesco Di Maggio, entrambi morti nel
1996.
Un intreccio di ampio respiro, tra i vertici delle forze investigative e dello Stato e i vertici di Cosa nostra, avrebbe partecipato, con reciproche concessioni,
a questa intesa inconfessabile: da una parte Parisi, Di Maggio,
due ex generali dei carabinieri del Ros, Mario Mori e Antonio Subranni, l'ex
colonnello Giuseppe De Donno, l'ex ministro Calogero Mannino e Dell'Utri;
dall'altra parte, quella di Cosa nostra, il superkiller Leoluca Bagarella,
l'attuale pentito Giovanni Brusca, il medico-boss Antonino Cina', Toto' Riina e
Bernardo Provenzano. Un intreccio di ampio respiro, tra i vertici delle forze investigative e dello Stato e i vertici di Cosa nostra, avrebbe partecipato, con reciproche concessioni,
Nella lista delle persone cui e' stato notificato l'avviso di conclusione delle indagini preliminari (per le quali si prospetta la richiesta di processo) ci sono anche altri due indagati che non sono materialmente accusati di avere partecipato alla trattativa: l'ex ministro Nicola Mancino, che rispondera' di falsa testimonianza al processo Mori, e Massimo Ciancimino, accusato di concorso in associazione mafiosa e di calunnia aggravata nei confronti dell'ex capo della polizia, Gianni De Gennaro. Fuori dall'elenco i nomi di Giovanni Conso e Adalberto Capriotti: l'ex guardasigilli e l'ex direttore del Dap sono accusati di false informazioni al pubblico ministero, reato che pero' presuppone che sia concluso il processo principale, per potere procedere nei confronti degli indagati. Non e' secondario a questo punto il dato anagrafico: Conso ha 90 anni, Capriotti 89. Le accuse principali sono di violenza o minaccia a corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato, reato che, in presenza di piu' persone e di un'associazione armata, prevede una pena da tre a 15 anni.
L'avviso conclusivo non e' stato firmato ne' dal procuratore capo, Francesco Messineo, ne' dal sostituto Paolo Guido. Messineo non e' formalmente titolare del procedimento, anche se ha partecipato a numerosi atti di indagine; Guido, titolare a tutti gli effetti, ha invece espresso un dissenso netto e aperto rispetto alla linea portata avanti dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dai sostituti Nino Di Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene, che sono gli autori dell'atto di accusa.
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