lunedì 7 ottobre 2013

Zagrebelsky: L’applicazione della Costituzione ci può salvare dal berlusconismo

da: la Repubblica – di di Liana Milella
Il costituzionalista parla della situazione politica attuale, non risparmiando affermazioni caustiche. E ribadisce: "Non farò un partitino con Rodotà"

Letta e la fine del ventennio? «Un’affermazione valida per la messinscena della politica». Lo scontro dentro il Pdl? «Vedo un tentativo di eliminare gli “incommoda”». Si va verso una nuova Repubblica? «Non vedo né la prima né la seconda né la terza». Berlusconi è finito? «Non mi interessa lui, ma i problemi che lui ha contribuito a creare».
Il professor Gustavo Zagrebelsky non si smentisce. Caustico. Netto nel non assolvere “questa” politica. Ma pronto a negare la prospettiva di una prossima avventura nella politica.
Lei, Rodotà, don Ciotti, Landini e Carlassare. Nomi che fanno rumore se si ritrovano assieme. Come succede il 12 ottobre. Che accade, alla fine voi di Libertà e giustizia vi siete decisi a far nascere un nuovo partito?
«Sgomberiamo il campo fin da subito. La risposta è no e aggiungo, siccome da diverse parti si è fatto credere il contrario, che è un “no” evangelico: Quel che è sì è sì, quel che no è no, e tutto è opera del maligno».
Però il Vangelo non mette mai un limite alla provvidenza…

«Se fosse sì, non sarebbe la provvidenza, ma la “sprovvidenza”. Ci mancherebbe solo che si pensasse di fare un nuovo, ulteriore, partitino».
Però… però… mi lasci dire, quando il manifesto dell’incontro, che non a caso si intitola “La via maestra”, parla di «miserie, ambizioni personali, rivalità di gruppi spacciate per affari di Stato» non può che venire in mente il rifiuto di “questa” politica. Che ne richiama una nuova.
«Certamente. Ma per operare un rinnovamento o addirittura un ribaltamento delle pratiche politiche e sociali che ci affliggono in questi anni non c’è bisogno “di nuovi soggetti politici” — espressione, tra le tante, che io odio —. C’è bisogno invece, secondo noi, che ciascuno, quale che sia il suo impegno nella società, faccia valere nelle sedi che gli sono proprie (politica, sindacato, cultura, scuola, tutto insomma ciò che ha riguardo con la vita civile) l’esigenza del rinnovamento. Comprenda e faccia comprendere che, continuando così, il nostro Paese si mette su un binario morto».
Lei, come sempre, è bravissimo nello scegliere espressioni e concetti forbiti, ma parliamo politichese: ci giura che un partito nuovo non nascerà?
«Nessuno di noi è profeta. Ma il 12 ottobre non c’è la fondazione di alcun partito. Anzi, il nostro intento è quello di raccogliere le preoccupazioni e le forze, non di dividerle ulteriormente».
Scusi se insisto, ma mi pare che qualcuno sia convinto che state proprio lavorando verso quell’approdo.
«Ribadisco, il nostro è un intento politico, ma non nel senso dei partiti. Se si può dir così, è un intento anche più ambizioso: lavorare alla rinascita di una politica, nel senso autentico della parola».
Lei non vede la politica “giusta” in Italia?
«In Italia esiste solo una messinscena della politica. La politica comporta il confronto tra idee e progetti. Oggi mancano le idee e i progetti, e a maggior ragione manca il confronto. Dunque, manca la politica. Venendo meno la politica, la democrazia stessa deperisce. Perché mai i cittadini si dovrebbero impegnare, anche solo nella cabina elettorale, se tanto tutto è destinato a restare quello che è? Viviamo da alcuni anni in stato di necessità. Ma la democrazia è lo stato della libertà».
Come mai, però, associazioni che pur avrebbero potuto rispondere al vostro appello solo rimaste silenti?
«L’adesione è larghissima. Chi si è tenuto in disparte, l’ha fatto, mi sia permesso di osservare, perché è caduto nell’equivoco del “nuovo soggetto politico”. Chiarito il quale, mi auguro che ci siano ripensamenti».
La nostra Costituzione. Lei torna lì, alla Carta del ‘48. Contestata, e che si cerca di riscrivere. Perché va tenuta ferma?
«C’è un paradosso. Tutti o quasi rendono omaggio alla prima parte della Costituzione, quella che tratta dei diritti, dei doveri, della giustizia, del lavoro, della libertà, della solidarietà. Quella parte descrive un tipo di società, molto lontana da quella in cui viviamo, che a noi invece pare tuttora di vivissima attualità. Proprio questa parte della Carta, però, è quella più largamente inattuata o violata. Le si può rendere omaggio in astratto perché ce ne si può dimenticare in concreto. C’è poi la seconda parte, che riguarda l’organizzazione della politica, e quindi i mezzi necessari per promuovere quel tipo di società. Oggi la discussione riguarda la riforma di questa seconda parte. Ma prima e
seconda parte sono collegate e alcune delle modifiche che si prospettano, modifiche che definirei oligarchiche, si muovono nella direzione opposta all’attuazione della prima parte».
Costituzione e costituzionalisti. La Moralità pubblica. Che pensare quando si legge dello scandalo dei professori sotto accusa per i concorsi truccati?
«Nel campo universitario c’è un ineliminabile aspetto di cooptazione. Naturalmente, quella che dovrebbe essere cooptazione dei migliori può degenerare in corruzione. La linea di confine è labilissima. Anche se, oltre un certo limite, lo scandalo diventa evidente. Mi auguro che si chiarisca che quella linea di confine non è stata superata».
Letta ha detto che mercoledì «si è chiuso un ventennio». Alfano ha vinto su Berlusconi, il Parlamento ha confermato il governo. Davvero un ventennio è finito?
«Chi e come lo si può dire?».
Letta lo dice.
«Temo che sia un’affermazione valida per la messinscena, quello che volgarmente si definisce il teatrino della politica. Quando evochiamo “ventenni” che si chiudono, credo che si debba pensare a quel rinnovamento profondo della politica di cui dicevo prima. Qualcuno potrebbe ipotizzare che si tratti solo di una razionalizzazione di ciò che ci sta appena alle spalle e che sta cercando di mettere ai margini gli “incommoda”».
A proposito di “incommoda”, guardiamo all’estate di Berlusconi, al disperato tentativo di evitare la condanna, una politica concentrata su questo mentre la gente è sempre più povera. Lei pensa davvero che si possa tornare indietro? Non c’è troppa prima repubblica, addirittura peggio della prima, in questa seconda?
«È difficile non vedere una profonda continuità nelle strutture e nelle concezioni profonde del potere politico, economico e sociale, e perfino criminale, della nostra società. Da questo punto di vista non c’è stata né una prima, né una seconda, né una terza Repubblica. Sono mutate le forme esteriori. Il 12 ottobre ci interrogheremo non sulle forme, ma sulla sostanza. E ci auguriamo che da qui possa nascere un vero rinnovamento».
Un giudizio flash su Berlusconi. È ancora “vivo” politicamente, ha ancora appeal da spendere o è politicamente già in archivio?
«A me non interessa tanto questo; mi interessa piuttosto che, Berlusconi o non Berlusconi, ci si occupi dei problemi del nostro Paese, la cui gravità Berlusconi ha contribuito ad accentuare e che rimarranno tali e quali davanti a noi, anche senza di lui».

Lo spauracchio delle elezioni. Minacciato da mesi. Che vantaggi avrebbero gli italiani da un nuovo voto?
«Un voto che riproduca la situazione attuale non serve a niente. Un voto che rimetta in moto il confronto politico sarebbe invece essenziale. Ma per questo occorrerebbe un’altra legge elettorale».

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